LA MALAFEDE È PROBLEMATICA

 

Se tanti proverbi sono in rima – mogli e buoi dei paesi tuoi, nessuno ti piglia se non t’assomiglia – è perché la rima sembra confermarli e farli sentire come “predestinati”. A volte le parole suonano convincenti per ragioni indipendenti dal loro senso, per pura suggestione; o perché rappresentano una brillante sintesi – cuius regio eius religio – o infine perché sorprendono e fanno temere che non si sia abbastanza intelligenti per capirle ed eventualmente contestarle. Un buon esempio è questa frase di Michele Ainis(1): “Chi tratta gli argomenti altrui partendo dalla malafede del proprio interlocutore, dimostra d’essere a sua volta in malafede”. Troppo bella per non essere vera, si direbbe. E tuttavia.

Se è vero che chi trova che un altro è in malafede è egli stesso in malafede, se ne deduce che solo chi è in malafede può riconoscere la malafede altrui. E per conseguenza che chi è in buonafede non la riconoscerà mai. Sicché chi è in buonafede, più che essere un galantuomo, è un ingenuo. Infatti o la malafede non esiste – ed è soltanto un’idea delle persone che credono gli altri in malafede – oppure essa esiste e il galantuomo è troppo stupido per riconoscerla. Poiché invece di fatto tutti crediamo che la malafede può esistere, rimane da vedere che cosa sia e come possiamo riconoscerla.

La malafede è simile all’errore ma si differenzia da esso perché il soggetto è consapevole della falsità della tesi che sostiene. Chi sbaglia ha un limite intellettuale, chi mente ha un limite morale.

In concreto ci si pone il problema della buonafede quando si trova talmente inaccettabile la tesi dell’interlocutore da dubitare che ci creda lui stesso. Purtroppo questo sentimento non prova nulla. Se la tesi dell’altro è enormemente distante dalla nostra, dovremmo ricordarci che la nostra gli appare altrettanto distante: il percorso è uguale nei due sensi. Un principio che non capiva un amico che a volte troncava la discussione con questa perentoria affermazione: “Se sostieni questo o sei cretino o sei in malafede”. Rischiando di sentirsi rispondere: “Se dici questo o sei un maleducato e un imbecille, oppure sei un imbecille e un maleducato”.

Un più serio orientamento – tra errore e malafede – è fornito dalla qualità dell’interlocutore. Se chi ci sta di fronte è tutt’altro che un genio, l’ipotesi della malafede è sprecata. L’ignoranza e un angusto orizzonte intellettuale possono indurre l’individuo a credere le massime balordaggini. La doppiezza implica invece un disegno cosciente, un’organizzazione mentale e una capacità dialettica che non tutti hanno. E poiché tutto ciò implica uno sforzo, bisogna anche chiedersi che interesse ha l’interlocutore a dire ciò che dice. Infatti, se non vi ha interesse, o se la tesi è troppo incredibile, bisogna reputare più probabile l’ipotesi dell’errore.

Fra i professionisti della “malafede intelligente” ci sono gli avvocati, che non illustrano al giudice “tutta la verità”, ma quella parte della verità che è utile al loro cliente. Ci penserà l’avvocato della controparte ad illustrare l’altra metà della verità. È questo lo schema del processo.

Possono inoltre essere in malafede – anch’essi lodevolmente – i politici. Chi appartiene ad un partito è normalmente d’accordo con la sua linea, ma ciò malgrado occasionalmente potrà dissentirne. E tuttavia, per disciplina, dovrà sostenere la tesi ufficiale. Ed anche votarla. Non diversamente da come un avvocato, pur se ha ricevuto la confessione del suo cliente (cosa improbabile), sosterrà in tutti i modi la sua innocenza. Analogamente il partito preferirà mandare a sostenere la tesi ufficiale un suo rappresentante intelligente e dotato di grande dialettica (anche se personalmente di parere diverso) che un militante in buonafede ma poco efficace.

Riguardo alla possibilità di errori marchiani, di essi è capace anche una persona colta e intelligente: basta che la sua competenza sia lontana dal campo di cui si discute. L’intelligenza, in questi casi, si dimostra stando zitti e comunque non affermando nulla.

Un’ultima nota, forse la più importante, riguarda l’emotività. La verità non è un valore neutro: è qualcosa che può farci piacere o può farci soffrire. E anche una data tesi può essere un puro dato intellettuale o qualcosa cui ci aggrappiamo come a un caposaldo della nostra vita. Quando è così, la nostra intelligenza ne risulta molto limitata. Per questo con le persone emotive è meglio non discutere di religione o di politica: spesso in questi campi il calo delle diottrie è impressionante.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

8 aprile 2014

(1)http://www.corriere.it/editoriali/14_aprile_08/i-virtuosisimi-che-non-servono-e38f8cf2-bedc-11e3-9575-baed47a7b816.shtml

LA MALAFEDE È PROBLEMATICAultima modifica: 2014-04-09T16:12:08+02:00da gianni.pardo
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