IL PUNTO DI VISTA DELL’ASTENSIONISTA

 

Ogni persona ragionevole si esprime contro l’astensionismo. A batterlo basta una semplice considerazione: “Se non hai un candidato che desideri vinca, puoi almeno votare contro colui che vuoi non vinca”.

Se, dopo aver aderito a questo ovvio invito per anni, ci si scopre improvvisamente con tendenze astensioniste, c’è di che essere allarmati. Ci sbagliavamo prima? È un segno di decadenza intellettuale? E se abbiamo dimenticato le buone ragioni che ci hanno convinti per tanto tempo, è un segno di Alzheimer?

L’astensionismo ha noti moventi. Uno è la pigrizia di chi non vuole muoversi da casa per partecipare alla vita pubblica. Un altro è un generico disprezzo per i politici, tanto da non voler essere responsabili del successo di nessuno di loro. Un atteggiamento che spesso – a sentire la gente – si traduce in questo atteggiamento: “Governate pure, governate anche male, non potrete comunque dire che lo fate come miei rappresentanti”. Come se ai governanti un simile discorso potesse mai interessare. Loro biasimano solo l’astensionismo di quelli che avrebbero potuto votare per loro.

Ma è anche possibile concepire un astensionismo di segno diverso. Non l’atteggiamento di Pilato (“Non m’interessa se farete la cosa giusta o la cosa sbagliata”) ma quello della disperazione più nera: “Vi prego, fate la cosa sbagliata, se è l’unica che potrà insegnare qualcosa alla gente”.

Per alcuni l’Italia è proprio a questo punto. Economicamente è bloccata dai trattati europei e soprattutto dalla sua mentalità collettivista, di cui sono perfetti rappresentanti i sindacati. Politicamente ha un centrodestra in calo di consensi e di credibilità; un centro inconsistente, rappresentato da personaggi che tengono soprattutto alla propria sopravvivenza; infine una sinistra velleitaria, pubblicitaria e soprattutto divisa al suo interno. Cioè un Pd pronto a scoppiare alla prima occasione, per dare libero corso a vendette a lungo meditate. E, nel frattempo, come giudica tutto questo il popolo italiano? La folla simpatizza con un demagogo scurrile che istiga alla violenza, che inneggia alla forca, che vuole buttare giù tutto, che vuole azzerare le istituzioni del Paese, probabilmente inclusa la stessa democrazia. Un comico che vorrebbe rifondare la nazione, senza avere la minima idea di quanto sia difficile e di quanto poco egli stesso sia attrezzato per riuscirci.

Come salvare l’Italia da questo sfacelo? Come convincere la gente che non si guida uno Stato con delle idee da quattro soldi, da avvinazzati di giacobinismo semplicistico, da plebe che ignora Montesquieu e crede Erostrato un politologo? Come farlo, mentre l’esasperazione ha guadagnato alla sua bandiera perfino persone tranquille come le massaie, gli artigiani, i piccoli commercianti? Milioni di cittadini che non sanno che cosa bisognerebbe fare per salvare la nazione, ma di una cosa sono sicuri: non si può avere alcuna fiducia nell’élite del Paese.

È difficile spiegare a gente ubriaca di moralità che i frutti del pero saranno sempre pere e mai mele o ciliegie. Il nostro popolo è capace di esprimere soltanto questa élite. L’unica scelta che abbiamo è tra politici – come ad esempio quelli del Pd – che sono esperti di come si guida lo Stato, anche se poi lo guidano male, e politici, come quelli del M5S, che di come si guida lo Stato non hanno la più pallida idea. E se qualche idea hanno, è patentemente sbagliata.

L’unico modo di insegnare qualcosa a questa Italia disperata è quella di farle assaggiare la medicina che vagheggia. È questa la ragione per la quale oggi la persona ragionevole, che così spesso ha biasimato l’astensionismo, rischia di rassegnarsi ad esso perché l’unica alternativa è quella di votare per Grillo. Non soltanto alle elezioni europee – un puro sondaggio proporzionale delle convinzioni politiche – ma a quelle future, per il nuovo Parlamento.

Ognuno fonda le proprie idee sull’esperienza che ha fatto personalmente, ma se si parla di politica la vita dei singoli è troppo breve, per raccogliere una mole sufficiente di dati. Ecco perché ciò che conta, quando si tratta di guidare lo Stato, è l’esperienza storica, economica e politica, non quella personale. E purtroppo la cultura delle masse in questo campo inevitabilmente scarseggia. Da noi scarseggia persino la saggezza degli apologhi, quella di Esopo che ha inventato la favola del Re Travicello. Si crede che peggio non potrebbe andare e l’unico modo di dimostrare che si è in errore, per molti, è l’esperienza concreta. Dopo la Prima Guerra Mondiale i tedeschi furono trattati fin troppo rudemente e concepirono piani di rivincita. Ma quanti di loro non avrebbero dato chissà che cosa, nel 1945, per rimettere il calendario indietro al 1938?

Bisogna rassegnarsi a pensare che, quando va male, potrebbe ancora andare peggio. L’Italia ha bisogno d’impararlo.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

19 maggio 2014

 

IL PUNTO DI VISTA DELL’ASTENSIONISTAultima modifica: 2014-05-19T15:14:14+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo