DUE PD O DUE ITALIE?

 

 

I giornali sono pieni di due immagini: Renzi che parla alla Leopolda, la Camusso che parla a Roma. I media tendono a descrivere il contrasto come riferibile agli uomini, ai luoghi, alle collocazioni politiche. Così da un lato ci sarebbero i renziani, dall’altro gli anti-renziani; da un lato quelli che discutono alla Leopolda di Firenze, dall’altro quelli che gridano e applaudono a Roma; infine, da un lato coloro che appartengono alla sinistra moderata e strizzano l’occhio ai centristi, ai berlusconiani e persino alla Confindustria, dall’altro quelli che non rinnegano la bandiera rossa, i sindacati e l’antica, bellicosa  retorica di sinistra.

La sintomatologia è questa, ma manca l’eziologia. Un partito non rischia una scissione soltanto a causa di un contrasto fra i maggiorenti. In tanto si può concepire una separazione, in quanto la stessa minoranza  pensi di portare con sé un sufficiente gruppo di sostenitori. Diversamente si parlerebbe soltanto di uscita dal partito di alcuni dissidenti. Dunque bisogna cercare le ragioni profonde del dissidio, anche nella base.

Nel caso specifico bisogna innanzi tutto notare un’anomalia. Di solito è la minoranza ad essere eretica, e invece stavolta i discorsi di un Fassina o di un Civati non hanno nulla di nuovo o di speciale. Rispecchiano perfettamente l’ortodossia e la tradizionale dottrina del partito. Di nuovo c’è soltanto il fatto che facciano scandalo. Prevale infatti una maggioranza che ha risolutamente deviato dalla retta via, che rinnega alcuni dogmi della sinistra, e ciò malgrado non soltanto non perde consensi – ché anzi la sinistra estrema si disgrega sempre di più – ma ne guadagna al centro, a spese dei partiti moderati.

Ciò fa comprendere che la forza di Renzi e di quelli che lo seguono consiste nell’essere i soli ad aver capito che noi italiani siamo cambiati. Nei lunghi anni dello Stato spendaccione abbiamo potuto credere a certi principi, ed anche a certe “lotte”, perché, dopo ogni contrasto, le acque si acquietavano, i benefici acquisiti si mantenevano e tutto rientrava nell’ordine. Ora invece, nel momento in cui viviamo una crisi gravissima, ci rendiamo conto della totale impotenza dello Stato. Prima eravamo come ragazzi che lottavano contro il loro padre e credevano di ottenere qualcosa con la minaccia; ora ci siamo finalmente resi conto che il padre ci concedeva qualcosa perché ci amava e poteva permetterselo, mentre ora continua ad amarci ma non ha più nulla da darci. O ce lo procuriamo da noi, o è inutile aspettare che ci pensi lui.

La lezione delle imprese che chiudono è molto più sonora della voce della Camusso. A che scopo parlare di investimenti, se lo Stato non ha denaro e se gli investitori stranieri hanno paura delle nostre istituzioni e delle nostre cattive abitudini? A che scopo parlare di lotta alla disoccupazione, se si sa che i posti di lavoro pubblici sono già un fardello che ci schiaccia, e i posti di lavoro privati non si creano per volontà del governo? A che scopo parlare di lotta all’evasione, di tagli alla spesa, di riforme, se poi, anche se i governi cambiano, tutto rimane come prima? Gli italiani hanno smesso in buona misura di credere ai miti della sinistra, a cominciare da quello statalismo che per oltre mezzo secolo è stato il dogma intangibile di tutti i partiti.

Ciò spiega la geniale intuizione di Renzi. Egli ha capito che la forza nuova non risiedeva nelle idee dei bonzi mummificati della sinistra ma in un centrosinistra capace di inglobare anche gli elettori di Berlusconi. E infatti ha cominciato a mettersi d’accordo con lui prima ancora d’andare al governo. Gli elettori del Pd non credono più a Landini: perché lo sciopero che egli può minacciare rischia di fare felice un’impresa che già pensa a chiudere. Non credono più ad un aumento degli interventi dello Stato, perché anche loro sono stanchi di pagare tasse su tasse per tenere in piedi un’Amministrazione Pubblica inefficiente e corrotta. E allora ben venga il rinnovamento a qualunque costo. Ben vengano le riforme, persino quelle che rischiano di “far felice la Confindustria”, se questo dovesse creare posti di lavoro. Ben venga l’empia commistione dei voti del Pd con quelli dei berlusconiani: quando si ha fame si pensa al cibo, non a chi sono gli altri commensali.

Le due sinistre sono composte da quelli che hanno capito e da quelli che non hanno capito. E c’è anche la possibilità, se per un motivo qualunque scomparisse Berlusconi, che si crei un partito onnicomprensivo, sincretico, nazionale. Una nuova Balena Bianca. Ma molto dipende dall’efficacia concreta di questo governo, il quale potrebbe fallire alla grande non per sua colpa, ma perché affronta un compito impossibile.

Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it

26 ottobre 2014

DUE PD O DUE ITALIE?ultima modifica: 2014-10-26T16:25:04+01:00da gianni.pardo
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