IL GIOCO DELLA FELICITA’

 

 

Immaginiamo una gran festa di giovani, di quelle che sono attese e celebrate come un momento in cui è lecito dimenticare tutte le preoccupazioni. I ragazzi ridono, ballano, si baciano, bevono, Ogni tanto qualche coppia sparisce nelle stanze superiori, per poi tornare giù, con l’aria languida e soddisfatta. E magari uno dei due, dopo qualche tempo, sparisce con un nuovo partner, senza la minima scenata da parte di nessuno. Il sesso è un divertimento innocente e non impegna a nulla. Chi non vedrebbe la scena come la rappresentazione della libertà e della felicità, di ciò che di meglio può offrire la vita?

L’universale consenso è confermato per via indiretta dall’arte. L’eroe di infinite saghe incontra l’amore nella vicenda narrata, come se prima, pur avendo trent’anni, non avesse avuto un’occasione. Il fatto è che il protagonista, per vivere spensieratamente un’appassionante vicenda, non deve essere sposato: diversamente non sarebbe disponibile. Né deve avere avuto dei figli, perché avrebbe troppi legami e impegni. L’amore di James Bond non si deve concretizzare in un rapporto stabile, perché ciò rappresenterebbe il rientro nella mediocrità e annullerebbe la possibilità di ricominciare il gioco infinite volte.

Naturalmente stiamo parlando di miti. Per bene che vada, il “wild party” è momentaneo. L’eroe del West, venuto da chissà dove – e che alla fine riprenderà il suo cammino per chissà dove – è inverosimile. Nella realtà l’alcool fa male. Se qualcuno arriva all’ubriachezza, poi, nelle stanze al primo piano, farà cattiva figura. Le ragazze che vanno con questo e con quello rischiano di rimanere incinte e perfino di non sposarsi. Gli stessi baldi giovanotti, che magari non pongono un freno alla qualità del loro piacere, potrebbero trovarsi ad avere l’Aids o ad essere i padri del figlio di una di quelle disprezzabili “sciacquette”, rimanendo per questo legati a lei, in un modo o nell’altro, per il resto della vita. Come se non bastasse, l’etica corrente parla di comportamenti riprovevoli e pericolosi. A quell’età, insegnano i benpensanti, le persone di buon senso dovrebbero pensare a metter su famiglia, a non correre rischi e a fare la loro parte nella società. E per colmo d’ironia fra i censori ci sono anche coloro che, decenni prima, fecero parte dei giovani scapestrati.

E tuttavia, malgrado questo diluvio di controindicazioni, confessatamente o inconfessatamente, quel quadro è il sogno di tutti i giovani maschi fino ai sessant’anni. Come mai?

La spinta alla promiscuità sessuale, cioè alla massima diffusione dei gameti dei maschi, è una tendenza che condividiamo con gli altri primati, e tuttavia essa è contraria all’istinto di conservazione della nostra specie in particolare. Perché la specie si perpetui l’uomo deve aiutare la donna nelle costose e interminabili cure parentali: dunque è necessario che si costituiscano le famiglie. Inoltre – affinché l’uomo non debba temere di strapazzarsi per perpetuare i geni altrui – bisogna che la donna gli sia fedele. Dunque matrimonio, monogamia, fedeltà, procreazione, vita regolare e lontana dai pericoli, tutta la panoplia del mondo borghese che è il contrario del “party” scatenato.

Ma, anche per chi volesse disinteressarsi dell’istinto della specie, c’è una seconda ragione, in favore della scelta “morale”: il contraltare dell’imborghesimento è la solitudine. Concludendosi, il film vede l’imbattibile Sean Connery trionfatore, ma nessuno dice come starà venti o trent’anni dopo. I personaggi sono eternamente giovani, gli esseri umani invecchiano. È ciò che rende infelici attori e attrici. Gli uomini inventati possono passare da un’avventura all’altra, perché le belle donne gliele forniscono i copioni e gliele trovano i produttori; nella realtà, i dongiovanni corrono seriamente il rischio di ritrovarsi ingrigiti, soli e abbandonati, fino ad invidiare i borghesi rassegnati. Questi forse si sentono dei frustrati ma hanno delle mogli che si preoccupano di ricordargli di indossare la sciarpa, mentre del vecchio donnaiolo non si preoccupa nessuno.

Sembra un gioco in cui comunque si perde. E forse è proprio così. Se si sceglie l’anticonformismo si deve mettere in conto la solitudine; se si sceglie il conformismo, si devono mettere in conto tutti i guai e le preoccupazioni che provocano i figli, le feste comandate con il parentado e la vita di una società al rosolio.

Qualcuno dice che potrebbe esserci la soluzione della saggezza, il giusto mezzo. Magari l’incontro con un partner che offra i vantaggi di tutte le soluzioni. Perché no? La monetina che abbiamo lanciato in aria può anche rimanere in piedi sul bordo.

Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it

17 febbraio 2015

IL GIOCO DELLA FELICITA’ultima modifica: 2015-03-12T18:15:22+01:00da gianni.pardo
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