DIRITTO E POLITICA NELLA QUESTIONE CATALANA

Per discutere della questione catalana bisogna innanzi tutto avere chiari i concetti di sovranità e di Stato.
Uno Stato si compone di tre elementi essenziali: un popolo, un territorio e un governo. Se manca il popolo, si ha al massimo un territorio. Un eventuale governo non saprebbe su chi esercitare il proprio potere.
Se manca il territorio, si avrà una comunità tenuta insieme da qualcosa, per esempio la religione (come gli ebrei prima della nascita di Israele), ma certo non uno Stato.
Se manca il governo, anche ad avere gli altri due elementi, non si avrà uno Stato, perché la situazione sarà simile a quella dei palestinesi. Ammesso che essi siano un popolo (ed è discutibile) e ammesso che esista una Palestina (a parte che come espressione geografica), dal momento che il potere sul territorio appartiene al governo di Gerusalemme, non si può dire che la Palestina sia uno Stato. O per meglio dire può dirlo l’Unesco, dimostrando così che merita di essere chiusa, dal momento che contribuisce più all’incultura che alla cultura.
Il concetto di governo è strettamente legato alla sovranità. Se su un dato territorio comanda un potere che non deve rendere conto a nessuno delle sue decisioni, si avrà sovranità. Se invece le sue decisioni sono sottoposte all’approvazione di un altro potere, al di fuori del proprio territorio, non ci sarà sovranità e si avrà la situazione che si è avuta con le colonie, incluse le Repubbliche Democratiche dell’Europa Orientale quando c’era l’U.r.s.s. La “sovranità limitata” (ci cui parlava Breznev) non esiste.
Sulla base dei detti principi, su un dato territorio non possono esercitarsi due sovranità. Se esistono due poteri diversi, e uno dei due ha l’ultima parola, si avrà da un lato la sovranità, dall’altro al massimo un’autonomia. E se una regione autonoma pretende la propria intera sovranità, potrà ottenerla o perché al governo centrale è disposto a regalargliela (come è avvenuto per la separazione fra la Repubblica Ceca e la Slovacchia) o perché la regione autonoma rigetta con la forza la sovranità del potere centrale: come è avvenuto con tutte le guerre di indipendenza, da quella americana contro il Regno Unito a quella del Lombardo-Veneto contro l’Austria.
Nel caso della Catalogna, è evidente che su quella regione vige la sovranità spagnola. Se Barcellona vuole essere indipendente, o chiede la secessione alla Spagna, e se questa gliela concede poi sarà indipendente, oppure dichiara guerra a Madrid e, se la vince, poi sarà indipendente. Una cosa è chiara: chiedere non corrisponde al diritto ad ottenere. È lecito corteggiare una donna, ma se lei si rifiuta, lo stupro non è un’alternativa. Comunque, non un’alternativa gratuita.
Purtroppo in questi casi il problema è anche politico. Che Madrid abbia ragione non c’è dubbio, ma anche avere ragione ha un costo. Se, per affermare la propria sovranità, la Spagna si vedesse obbligata ad usare le armi e a provocare molti morti, il mondo – sempre perfezionista, quando sono gli altri a dover agire – sarebbe molto severo. “Proprio non c’era altro modo, per risolvere il problema?” “Proprio non si poteva dare un qualche contentino, agli indipendentisti?” E si riproporrebbe l’eterno, stupido schema, per cui si ha tendenza a difendere il debole che provoca il forte e poi le prende. Ma la politica non è cosa che obbedisca alla ragionevolezza e al diritto. E neanche alla logica.
La Catalogna non ha molti argomenti, dalla sua parte. Non si avvale di nessuna norma giuridica e non può nemmeno invocare il principio dell’autodeterminazione dei popoli. Perché i catalani non sono un popolo diverso da quello spagnolo e il catalano (a differenza del basco) è soltanto un dialetto dello spagnolo. Quella regione appartiene alla Spagna sin dalla preistoria, e del resto i Pirenei e lo stretto di Gibilterra sono lì da parecchio tempo.
Come se non bastasse, i dirigenti indipendentisti hanno commesso il gravissimo errore di parlare di Repubblica. Sarebbero stati abili se avessero inneggiato a re Felipe, chiedendo magari la sua intermediazione e prospettando una “unione personale” (l’indipendenza dalla Spagna avendo in comune con essa il re, come l’Australia ce l’ha col Regno Unito). Parlando di Repubblica invece hanno rievocato la Guerra Civile, innescando una reazione di rigetto al limite dell’anafilassi. Nessuno ha dimenticato quella terribile guerra, né dentro né fuori i confini della Spagna.
Ma è questa la politica, e la sua strada è sempre costellata di errori.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
22 ottobre 2017

DIRITTO E POLITICA NELLA QUESTIONE CATALANAultima modifica: 2017-10-25T07:22:04+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “DIRITTO E POLITICA NELLA QUESTIONE CATALANA

  1. Scrive Sergio Pastore:

    Sono non poco sorpreso di alcune riflessioni. Intanto, per tranquillizzare Pardo, non ci sarà nessuna replica della guerra civile spagnola: è semplicemente inconcepibile, impossibile, anche su scala ridotta: siamo pur sempre nel XXI secolo. Certo la Spagna non ha nessuna voglia di rinunciare alla sovranità sulla Catalogna, il che è anche comprensibile. E formalmente la Spagna ha ragione. Se si votasse la maggioranza degli Spagnoli sarebbe contraria all’indipendenza della Catalogna. Una guerra per l’indipendenza la Catalogna non la può fare, non ne ha presumibilmente nemmeno i mezzi. Che fare allora? La situazione rimarrà probabilmente in stallo a lungo: né guerra né pace. Ma io personalmente sarei a favore dell’indipendenza della Catalogna: reputo il principio di autodeterminazione più giusto del feticcio dell’unità e indivisibilità dello stato. L’attentato all’unità nazionale credo fosse e sia ancora un reato gravissimo, da fucilazione o ergastolo. Ma non siamo all’epoca del “liberi non sarem, se non siam uni”.
    Fu poi vera unità quella del 1861? E comunque non si può più accettare che singoli gruppi o popoli o regioni non se ne vogliano andare per la propria strada. A me per esempio non importerebbe un fico secco se il Süd Tirol – che noi chiamiamo Alto Adige – volesse ricongiungersi alla madrepatria austriaca o pretendesse l’indipendenza. Al momento non gli conviene godendo della più ampia autonomia immaginabile, ma potrebbe cambiare idea. Lombardia, Veneto e Baviera potrebbero formare una macroregione economica con dapprima amplissima autonomia e poi potrebbero magari costituirsi in stato autonomo. Quali sono le ragioni che si opporrebbero davvero a un tale sviluppo? C’è la questione di principio (l’unità statale sacra e inviolabile, il feticcio) e la questione economica. È soprattutto la questione economica che sembra spingere per l’indipendenza.
    È però curioso che i popoli europei privati ormai in buona parte della propria sovranità in vista della creazione degli Stati Uniti d’Europa si appellino alle costituzioni nazionali ormai svuotate del loro senso. L’UE a sua volta, tutta tesa a cancellare gli Stati nazionali europei, non ha né un governo eletto dai cittadini dell’Unione e nemmeno una costituzione, bocciata da Francia e Olanda. Certo il Trattato di Lisbona e un copia-incolla del testo bocciato, ma non ha il nome altisonante di costituzione.

    Che fare allora? Perché non concedere l’indipendenza? Anche la Scozia vuole staccarsi dal Regno Unito che non farà certo la guerra agli Scozzesi. Il problema si porrebbe anche per i cantoni svizzeri. Il Vorarlberg voleva diventare un cantone svizzero, votò a favore, ma gli Svizzeri fecero spallucce, non erano interessati. E perché la Valtellina non potrebbe ritornare ai Grigioni (e alla Svizzera)? No, la storia non è finita come pensava il buon Fukuyama, ci saranno ancora spostamenti di frontiere (preferibilmente non cruenti).

    N.B. Il Valle de los Caídos è un monumento osceno che fu eretto col lavoro dei rupubblicani condannati ai lavori forzati. Franco non fu affatto animato da spirito di conciliazione coi vinti: firmò dopo la fine di quella terribile guerra decine di migliaia di condanne a morte (e i franchisti non erano stati teneri coi catalani).

    Quindicesimo tentativo di spedizione. Ora ci provo da amministratore

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