LA VIPERA NELLE MANI DEI MAGISTRATI BELGI

Non vorremmo essere nei panni dei magistrati belgi che devono decidere sulla possibile estradizione di Puigdemont e degli altri quattro “consiglieri” catalani. È brutto comparire dinanzi ad un giudice che ti condannerà in ogni caso. E stiamo parlando dei rischi che corrono i magistrati belgi, non di quelli che corrono i catalani. Non è un paradosso.
Una decisione che ha effetti politici è inevitabilmente vista come politica. Se Puigdemont e compagni fossero accusati di furto, non ci sarebbero problemi. I ladri sono malvisti tanto a Bruxelles quanto a Barcellona o a Madrid. Invece queste persone hanno posto in essere un’attività vietata tanto dalla Costituzione quanto dal codice penale ma la fattispecie, pur essendo giuridicamente illecita quanto il furto, non è affatto la stessa. La tecnica non è l’unico metro di misura.
Immaginiamo che qualcuno abbia un cancro al dito mignolo della mano sinistra. Se, amputato quel dito, il cancro cessa di essere un pericolo, non ci sarebbero problemi. Non soltanto si procederebbe immediatamente a quel taglio ma ci si congratulerebbe con l’interessato: “Hai scoperto in tempo la minaccia e te la sei cavata con poco”. E se si trattasse di un famoso pianista? Chi non penserebbe all’azzeramento di tanti anni di studio, agli infiniti sforzi per arrivare alla fama e alla carriera artistica distrutta? Quel dito, per un pianista, corrisponde quasi a tutta la vita.
Nel caso dei catalani, il problema giuridicamente è banale. Se esiste un trattato di estradizione fra Spagna e Belgio, il Belgio non può che estradarli. Ma, se lo farà, sarà giudicato peggio che severamente dai molti che ritengono lecito battersi per l’indipendenza della propria regione. Del resto in Belgio i fiamminghi sognano di staccarsi dai valloni e forse è proprio per questo che i fuggiaschi sono andati a Bruxelles.
Qui si tratta di quell’unità della nazione che moltissime costituzioni (inclusa la nostra) considerano sacra. E tuttavia, per gli indipendentisti di ogni pelame, chi vieta la secessione si rende colpevole o complice di una inammissibile repressione. Non a caso lo stesso Puigdemont ha accusato Madrid di perseguitare lui e i suoi amici “per le loro idee”. Come se la polizia, dopo avere arrestato qualcuno che dice di rubare per compensare le ingiustizie sociali, si vedesse accusare di averlo fatto per lottare contro le idee del ladro, e non per perseguire un reato.
I magistrati tuttavia non eviterebbero i fastidi negando l’estradizione. Questo provvedimento non è puramente discrezionale. Esso è assolutamente dovuto se si riconosce che il richiedente è uno Stato di diritto, rispettoso dei cittadini, e che il reato contestato è tale anche nel proprio Paese. Nel caso specifico, che quanto fatto sarebbe un reato anche se il commesso da un cittadino belga. Per conseguenza se negassero l’estradizione sarebbe come se i magistrati belgi affermassero che la Spagna non è una democrazia, che il suo governo mette in carcere dei cittadini innocenti o soltanto colpevoli di avere certe idee politiche.
Il Belgio questi problemi li vive da decenni sulla propria pelle. Quel Paese è costituito da un pezzo di Francia (Belgique, il nome francese del Belgio, è aggettivo di Gallia) e da un pezzo di Paesi Bassi (prova ne sia che nelle Fiandre si parla neerlandese). Ed è già abbastanza piccolo così. Se si scindesse, le due parti sarebbero meno indipendenti di quanto siano oggi. Infatti la vicinanza della loro patria culturale li renderebbe vassalli l’uno della Francia e l’altro dell’Olanda. E infatti il governo belga lotta quotidianamente contro gli indipendentisti locali.
La cosa più triste è che i magistrati belgi non possono cavarsela semplicemente col diritto. Non possono dire che incontestabilmente l’estradizione è dovuta. Non basterebbe neppure che aggiungessero che negarla sarebbe un’offesa immotivata a un grande Paese dell’Unione Europea. L’opinione pubblica li chiamerebbe comunque a rendere conto della loro decisione. Se negano l’estradizione il loro stesso governo potrebbe chiedergli: “Ora vi prenderete voi la responsabilità della crisi internazionale che ne seguirà?” Se invece la concedono potrebbero essere accusati di avere posto in pessima luce il loro Paese. “Noi siamo dei liberali e proteggiamo i rifugiati politici anche quando sono colpevoli di gravi reati. Del resto la Francia non ha fatto così con i brigatisti italiani e altri furfanti, tra cui Cesare Battisti?”
Ecco perché i magistrati belgi che si occupano del caso sono in una posizione ben poco invidiabile.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
5 novembre 2017

LA VIPERA NELLE MANI DEI MAGISTRATI BELGIultima modifica: 2017-11-05T20:36:30+01:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “LA VIPERA NELLE MANI DEI MAGISTRATI BELGI

  1. Bisogna vedere se per la magistratura belga la sola dichiarazione di indipendenza, non accompagnata da atti concreti di usurpazione dei poteri dello Stato, è sufficiente per fondamentare l’accusa di “sedizione e ribellione” e la conseguente richiesta di estradizione.

  2. Non sono sicuro, ma credo che, almento per l’ Italia, la concessione di estradizione sia sempre un caso politico. La richiesta, per assenzo o dissenzo della magistratura viene inoltrata al ministero dell’ interno che delibera con criteri politici. Es. Estradare un USA con possibilita’ di applicazione della pena di morte …

    Da verificare

  3. Caro Roberto,
    la verifica è contemporaneamente facile e difficile. Facile, perché l’estradizione è regolata da leggi. Difficile perché a volte quelle leggi rimandano a valutazioni politiche. Per esempiom da noi, non si concede l’estradizione se il Paese che la richiede non assicura il rispetto dei diritti umani e politici come li assicura l’Italia. E questa è una valutazione politica.
    Ma se un tizio è ricercato per furto, la valutazione non è affatto politica. Al massimo l’estradizione si potrebbe negare se, nel Paese richiedendte, per il furto fosse previsto il taglio della mano o la pena di morte.
    Dunque, in linea di principio, l’estradizione si deve concedere ogni volta che la persona sia accusata di un reato che sia tale anche nel Paese oggetto della richiesta, e sia poi punito con una pena accettabile anche nel Paese richiedente. Nel caso di Puigdemont, non c’è nessuna possibile scusa per non concedere l’estradizione, salvo una valutazione politica del Belgio, che sarebbe, appunto, politica, e in violazione delle sue stesse norme. Infatti nessuno Stato tollera la secessione, giuridicamente. Ne va della sua integrità e, possibilmente, della sua sopravvivenza.
    Ma, naturalmente, chi ha in mano il potere può usarlo come meglio gli piace. Anche negando o concedendo l’estradizione contro le norme dallo stesso Stato emanate.
    Al dodicesimo tentativo mi rassegno a spedire questo commento come amministratore.
    Italiaonline, ripetutamente avvertita, non pone rimedio a questo fastidio.

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