IL RAZZISMO E LA NATURA UMANA

Ci sono fenomeni che nessuno può impedire, perché inerenti alla natura umana. Uno di questi è l’omosessualità, che esiste anche in Paesi in cui è punita con la morte. Né migliore sorte avrebbero i tentativi di estirpare la prostituzione o la violenza.
Di fronte a queste tendenze bisogna avere le idee chiare. Se l’omosessualità non fa male a nessuno, cercare di impedirla è, prima che inutile, stupido. La diversità degli omosessuali è soltanto occasionale e privata: per il resto sono cittadini come tutti gli altri. Per la prostituzione si dovrebbe essere più cauti, ma soltanto perché può essere occasione di pericolosi contagi. Al riguardo era più razionale quella legge che, senza perdere tempo a condannare moralmente quel mestiere, sottoponeva le prostitute a controlli periodici. Anche la violenza è conforme alla natura umana, ma dal momento che fa male a chi la subisce, la sua severa repressione è indispensabile. Quanto meno si scoraggerà il fenomeno.
Fra le pulsioni ineliminabili della natura umana possiamo anche mettere la guerra, che infatti è sempre esistita e non coincide con la semplice “violenza”. Gli animali combattono per le femmine o per il territorio, ma non si associano in grandi gruppi per combattere contro altri gruppi di congeneri. La violenza è individuale, la conoscono moltissimi esseri, la guerra è un “noi” contro “loro” ed appartiene ad alcune specie soltanto. Per esempio le formiche.
Che cosa determini il “noi” e il “loro” ha un’importanza limitata. Può trattarsi del colore della pelle, della lingua che si parla, della religione che si pratica o del territorio di appartenenza: tutto è sufficiente a far scattare una guerra. Basta che ci siano interessi in conflitto, o perfino semplici pregiudizi, tali da operare una distinzione e renderla aggressiva.
In questo quadro il razzismo si configura come una guerra a basso potenziale, spesso ma non sempre incruenta. E, come la guerra, si nutre del sentimento di “noi” e “loro”, qualche che sia il discrimine.
Nella cultura occidentale il razzismo fa pensare al disprezzo che l’uomo bianco nutre per l’uomo di colore ma questo è soltanto un fatto contingente. I greci chiamavano barbari quelli che non parlavano greco. Per i romani il colore della pelle funzionava al contrario e avranno sentito disprezzo per i pallidi e biondi e germani, perché rispetto a loro essi erano i barbari. I cinesi e i giapponesi disprezzavano ampiamente i non cinesi e i non giapponesi, inclusi ovviamente gli occidentali.
Un fondamentale motivo di distinzione dei gruppi è il livello di civiltà. Non sarebbe stato possibile che i coloni di lingua inglese non giudicassero inferiori gli aborigeni australiani; questi erano ancora all’età della pietra (come del resto i pellerossa americani) mentre loro venivano da uno degli Stati più moderni del mondo.
Prima di giudicarlo male, bisogna riconoscere che il razzismo è un fenomeno naturale. Il razzista non è un mostro, e a volte il suo atteggiamento è conseguenza della generalizzazione di precedenti esperienze. Avevo una ventina d’anni quando sentii raccontare che all’Ostello della Gioventù di Monaco di Baviera gli italiani erano ospitati esclusivamente ed obbligatoriamente all’ultimo piano, perché avevano la fama di fare baccano e di disturbare gli altri ospiti. Non so se fosse vero. Se lo era, non sarebbero stati i dirigenti ad essere razzisti, sarebbero stati gli italiani ad essere maleducati. Se invece non era vero, e quella limitazione era stabilita sulla base di un pregiudizio, quei bavaresi erano razzisti nel senso peggiore. Quello stupido.
Purtroppo ciò avviene spesso. Il razzismo inammissibile è quello che si nutre di pregiudizi privi di giustificazione, come nel caso dell’antisemitismo. Ed è anche il caso dell’ostilità contro i “coloured” quando essi – come a New York – sono perfettamente integrati. Dove invece c’è una base reale, il fenomeno inevitabilmente risorge. Negli Anni Cinquanta i torinesi consideravano i meridionali più o meno come i sudisti americani consideravano i negri.
Il razzismo, anche totalmente ingiustificato, nasce pressoché inevitabilmente quando all’interno di un grande gruppo si forma un gruppo minoritario di una certa consistenza. Qualcuno dice l’8%. Basta che fra i due gruppi esista una differenza di religione, oppure di pelle, di costumi, di lingua (si pensi ai valloni e ai fiamminghi, che pure giuridicamente sono tutti belgi) e ciò basta perché nasca tra loro l’ostilità. “Noi” contro “loro”.
Dal momento che il fatto è naturale, la cosa migliore è evitare che il gruppo minoritario divenga tanto grande da acquistare visibilità e far nascere l’attrito sociale. Se mezzo milione di angeli volesse venire a stabilirsi a Roma, bisognerebbe dire: “No grazie”. Perché gli angeli, per il semplice fatto di avere usi e costumi diversi dagli altri, sarebbero “loro” e diverrebbero un problema.
Tutto ciò costituisce un valido motivo per limitare l’immigrazione in Italia. Non per un giudizio negativo sui nuovi arrivati, semplicemente perché gli italiani li sentono come “loro”, in particolare gli “inassimilabili”. Per non dire che gli stessi immigrati si sentono diversi. Forse è più pacifica una società unitaria composta, se non proprio da delinquenti, da persone che hanno lo stesso basso livello di moralità, che una società composta da Cherubini e Serafini. Perché, per i Cherubini, i Serafini sono degli insopportabili “loro”.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
16 gennaio 2018

IL RAZZISMO E LA NATURA UMANAultima modifica: 2018-01-17T09:22:44+01:00da gianni.pardo
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6 pensieri su “IL RAZZISMO E LA NATURA UMANA

  1. Beh, in effetti, sarebbe ora opportuno contingentare l’arrivo a Milano di siciliani, calabresi e napoletani. Per le ucraine e le moldave, invece, sarebbe opportuno un corridoio preferenziale.

  2. • “Le razze non esistono” dicono alla quasi unanimità in Italia. D’accordo, invece di “razza” si dovrebbe parlare di “etnia”, di “cultura”. Ma dovrebbero farlo tutti, e non tutti lo fanno. Non lo fanno certe etnie minoritarie che usano la parola “razza” molto volentieri per designare se stessi: vedi gli aborigeni nordamericani. Il calcolo della percentuale giusta di sangue è per loro è un elemento fondamentale, poiché essi intendono escludere da certi diritti e privilegi chi non appartiene alla loro tribù.
    “US Census Bureau” s’interessa alle categorie razziali (o etniche che dir si voglia), attraverso domande rivolte ad accertare il sangue, anzi la quantità di sangue (negli USA: “Blood quantum Laws”) necessaria, per legge, per poter essere considerati un “full-blood Native American”. Anche in Canada, per essere considerati appartenenti al gruppo aborigeno, occorre far valere che si ha la giusta percentuale di sangue del tipo nativo. Per i meticci esistono egualmente disposizioni ad hoc, anche se la percentuale del sangue nativo richiesto per essere iscritti in tale categoria è più ridotta. Il governo canadese evita in realtà di parlare di “sangue” preferendo l’espressione “visible minority”.
    Le varie tribù indiane, in Nord America, posseggono una disposizione legislativa interna che stabilisce chi possa appartenere legalmente alla loro tribù, perché in possesso della percentuale predeterminata di sangue. Ad esempio, per la Eastern Band of Cherokee Indians of North Carolina, è richiesto un minimo di 1/16 di sangue Cherokee. Vi sono tribù che richiedono come percentuale del giusto sangue 1/2,altre ancora 1/8… Ma la determinazione della razza (o se si preferisce “etnia”) non è limitata solo ai “nativi”. Spesso lo si fa per altri gruppi etnici, a causa di varie misure dirette a favorire certe etnie considerate svantaggiate, vedi i neri e la “positive action” negli USA. E lo si fa anche per avere un ritratto il più possibile fedele – in Canada ad esempio – del multiculturalismo nelle varie aree del paese.
    • Anche se “razza” è ormai termine tabù, “multirazziale” è accettabile. Su “multirazziale” non c’è il veto benché parli di “razze”. Come mai? Quel “multi” rende la parola virtuosa: multirazziale evoca la non esclusione, la coesistenza, la parità di etnie, di… “razze” stavo per dire. Sarebbe ingiusto a chi parla di una società sanamente multirazziale opporre l’obiezione: “Ma lei di cosa sta parlando… le razze non esistono!”.
    • Poi vi sono le frasi improntate ai buoni sentimenti, nelle quali il termine razza è ammesso perché il ragionamento è virtuoso. “Gli ebrei, sono una razza o un gruppo religioso?” È una domanda che troviamo, in tutte le lingue, in Rete. Vi sono addirittura libri consacrati all’importante questione. E la virtuosa risposta di rabbini, studioso, esperti, è, parola più parola meno: “No, gli ebrei sono un gruppo religioso, un popolo, una nazione, ma non una razza, poichè nel corso dei secoli sono confluite nei loro ranghi razze diverse”.
    • La “political correctness” dovrebbe spingerci a rifiutare sia il quesito che la risposta al quesito, attraverso l’obiezione “le razze non esistono!”
    Vi sono poi termini ambigui, su cui occorrerà fare chiarezza, invitando gli autori di dizionari a evitare la parola razza nelle loro definizioni (che attualmente purtroppo la includono). Mi riferisco a “meticcio”. In inglese “half-breed”. Meticcio = “Persona nata da un genitore di razza bianca e da uno di razza diversa”. Half-breed = “A person whose parents are of different races, especially the offspring of an American Indian and a person of white European ancestry.”

  3. Che argomento noioso. Non il Suo discorso, che è pieno di dati e di buon senso, ma la questione che se ne fa nel mondo. Le razze non esistono nel senso che la differenza fra un norvegese e un negro non si ha con un salto, ma si passa dal tipo assolutamente nordico, scendendo scendendo, all’uomo latino, al maghrebino e poi, con tutte le sfumature, fino al nero veramente nero del Senegal. Ma non per questo non esistono. Nello spettro della luce del sole c’è il rosso e c’è il verde, e ovviamente si tratta di frequenze elettriche. Ebbene, cambiando la frequenza del rosso verso il verde prima il rosso diviene arancione, poi vira verso il giallo, poi verso il verde pisello, per proseguire poi col verde-verde, il turchese e il blu. Insomma i colori sono pressoché infiniti, ma non per questo non esistono il rosso, il giallo e il verde. Dunque le razze esistono eccome.
    Viceversa la questione per gli ebrei è oziosa, perché nessuno riconosce-rebbe un ebreo dall’aspetto. Fra l’altro, gli ashkenazi, se si scrive così, sono nordeuropei, e i sefarditi sono nordafricani. Per non parlare degli ebrei etiopi.
    Ripeto, è un argomento inutile e noioso. Ci sono le razze e ci sono anche i negri. E questo non li danneggia minimamente. Ciò che può danneggiarli è il comportamento degli imbecilli. Che credo siano più numerosi fra i politically correct.

  4. Spero che il Suo “negri” sia dovuto a un semplice lapsus e non ad un malevola intenzione…
    Pare che, negli ambienti “politically correct”, la parola “negro” abbia assunto un significato peggiorativo per la sua condannabile assonanza con “nigger”, parola che in inglese è usata come insulto. Ancora una volta è stato l’esempio americano ad influenzare gli Italiani, ultrasensibili ai suoni e alle mode d’oltreoceano.
    Non è stata l’Accademia della Crusca, ma sono stati i giudici italiani, in un momento di tregua nella loro lunga guerra contro Berlusconi, a tagliare il nastro inaugurale di questa rivoluzione lessicale. La Corte di Cassazione, ignorando i dizionari, ha sancito: “Sul piano linguistico, la parola negro, traslato di nero, non definisce semplicemente il colore della persona, a differenza di “moro”. Difatti è stata assunta nella recente epoca coloniale, nelle lingue neolatine ed anglosassoni, per la designazione antonomastica dell’indigeno africano, quale appartenente ad una razza inferiore (…)”
    I linguisti si sono dovuti adeguare alla storica sentenza. E oggi, anche se diversi dizionari continuano a dare tranquillamente a “negro” la definizione di “appartenente, relativo alla razza negra”, altri offrono una prudente messa in guardia su questo termine ormai tabu’.

  5. Uno che ha violato e viola i tabù della religione, come potrebbe essere intimidito dagli imbecilli dediti alla political correctness? Comunque, se la Cassazione dicesse che Amerigo Vespucci ha scoperto l’America, io continuerei a credere che è stato Colombo. Sutor, con quel che segue. I negri dunque esistono, e sono uguali a noi in tutto, salvo che nel colore della pelle. E noi non siamo all’altezza dei gatti, che sono di tanti colori, ma fra loro non fanno nessuna distinzione in base al colore, nemmeno quando una femmina si trova a dover scegliere fra più maschi.

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