IL LATO B DI DI MAIO

Di molti politici, per età, potrei essere il padre. Di Luigi Di Maio addirittura il nonno. E in tutti questi anni, sugli argomenti più diversi, inclusa l’enigmistica, non ho mai smesso di far funzionare il cervello. Così, se mi dicessero: “Fra tre giorni devi tenere una conferenza all’università sulla notte di San Bartolomeo”, oppure “sull’eresia monofisita” o anche “sulle ragioni della tentata secessione degli Stati del Sud, in America”, sarei spaventato, ma penso che buttandomi a studiare a corpo morto me la caverei. Se invece mi dicessero: “Abbiamo organizzato tutto perché tu sia eletto sindaco. Non avrai difficoltà, questo è un centro di appena diecimila abitanti”, sarei inorridito e forse la notte avrei degli incubi.
Il perché è presto detto. La politica richiede abilità che si acquisiscono col tempo. Bisogna imparare a dire soltanto ciò che è utile e a schivare con abilità anche le domande più dirette e insistenti. Bisogna saper mentire con disinvoltura. Bisogna farsi degli amici, essere disposti a tradirli e a non offendersi quando sono loro a tradirci. Addirittura si dovrebbe essere disposti a riaprirgli le braccia se que-sto convenisse fare. Bisogna saper resistere alle peggiori pressioni, ed anche sa-per cedere quando si ha perfettamente ragione. Bisogna essere capaci di fron-teggiare ogni forma di doppiezza, di malafede, di calunnia, e aspettarsi di essere denunciati e processati – oltre che essere messi sulla graticola dei giornali – es-sendo perfettamente innocenti. Insomma essere degli incassatori come Berlu-sconi e Trump che, stramaledetti da tutti, sono andati avanti come treni. Io, fare il sindaco? Quando avrei perplessità a indurre mia moglie a dire al telefono che non sono in casa, perché mi pare un’azione miserabile?
Scusate la lunga diatriba. Non è che tenga a raccontarvi la mia vita. Voglio sol-tanto dire che un galantuomo di buon senso non si lancerebbe mai a ricercare una carica politica senza averne percorso, se non il cursus honorum, almeno il “cursus dishonorum”. Prima si deve essere attivisti politici, assessori ai servizi ci-miteriali, almeno vice sindaci di un borgo. E soltanto in seguito mirare in alto, ma solo un po’ più in alto. Diversamente si andrebbe a giocare alla roulette russa.
Tutto ciò premesso, il galantuomo di cui sopra, come reagirebbe all’idea di di-venire Presidente del Consiglio? Probabilmente, invece di avere gli incubi, la not-te, rimarrebbe sereno. Perché, stavolta si metterebbe a ridere. E invece Luigi Di Maio si presenta seriamente come il candidato premier del suo partito. Giorni fa, su un noto giornale, uno psicoanalista, considerati i rischi che correrebbe, si chie-deva se il giovanotto sia sano di mente. E non intendeva insultarlo: esprimeva espressamente un parere professionale.
La “candidatura” di Di Maio fa tornare in mente molte battute. Per esempio: “I competenti dicevano che era impossibile, ma lui non lo sapeva, e lo fece”. Oppu-re, come dicono gli inglesi: “Gli stolti si lanciano correndo dove gli angeli non osa-no camminare”. O infine, più aulicamente: “Audaces fortuna iuvat”. Eh già, perché a volte la fortuna aiuta, anzi, addirittura salva gli audaci.
Ad esempio, tutti conosciamo il nome di Cristoforo Colombo e gli dedichiamo monumenti; viceversa nessuno saprebbe dire i nomi di quegli scienziati che gli davano torto, sulle dimensioni della Terra, e gli predicevano un destino infausto, se avesse insistito nell’impresa. Ma Cristoforo Colombo forse era un po’ ignoran-te, forse era pazzo, forse era soltanto testardo, certo riuscì a mettere insieme tre caravelle e prese il mare. Tutti sappiamo come finì, ma non molti saprebbero ri-spondere alla domanda: “E invece come doveva finire?”
Doveva finire con la morte di tutti e tre gli equipaggi. Colombo non poteva pre-vedere l’esistenza dell’America e infatti, il 12 ottobre 1492, pensò di essere sbar-cato in India. Dunque sarebbe certamente morto se, per ritrovare la terra, avesse dovuto traversare l’intero Pacifico fino al Sud-Est asiatico. Ma gli andò bene, e oggi tutti pensano che “scoprì l’America”. In realtà, per dirla volgarmente, “ebbe un culo bestiale”.
Dunque è lecito sperare nella fortuna. Ma chi è più dissennato, un quisque de populo che, con una preparazione adatta alla licenza media, pensa di poter fare il Presidente del Consiglio di un Paese come l’Italia, o un grande marinaio che na-viga verso ovest con l’intenzione di “buscar el levante por el poniente”?
La prossima volta che vedrò Di Maio in televisione esaminerò con cura il suo lato B. E se quel deretano sarà tale che, per entrare a Palazzo Chigi, dovranno abbattere un muro, allora sì, gli vaticinerò un grande successo. E una statua ac-canto a Colombo.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
24 febbraio 2018

IL LATO B DI DI MAIOultima modifica: 2018-02-25T07:29:42+01:00da gianni.pardo
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