TRE EGEMONIE

L’incontro di qualche giorno fa tra Putin, Erdogan e l’ayatollah Rohani, con tanto di stretta di mano, sorrisi e photo opportunity, può difficilmente trasformarsi in un’alleanza. Probabilmente i tre in questo momento, percependo la sostanziale stabilizzazione della Siria e il ritiro degli Stati Uniti dal teatro mediorientale, vogliono rendere chiaro ai terzi che, dal punto di vista geopolitico, sono loro le potenze egemoniche della regione. E può anche darsi che sia vero. Tenendo conto dei fattori costanti della politica, è però ben difficile che la loro azione rimanga concorde per molto tempo.
In primo luogo, nessuna delle tre potenze agisce per autentici motivi di legittima difesa. Né la Russia, né la Turchia, né l’Iran hanno da temere per la loro esistenza, quanto meno per ciò che dipende dal territorio di cui si parla. Fra l’altro non esistono problemi per quanto riguarda le loro frontiere. I tre Stati sono separati da molte centinaia di chilometri, a parte Turchia e Iran. Ma non si è mai sentito parlare di dispute territoriali, per quanto riguarda questi due Paesi. Al massimo ambedue hanno un problema comune con i curdi. Dunque l’alleanza non è motivata da fattori obiettivi e costanti.
In realtà, le tre potenze sono interessate al Medio Oriente soprattutto per ragioni di influenza politica. Cioè di egemonia. E proprio la natura di questo interesse esclude la stabilità di un’alleanza. Infatti ognuno tenderà ad aumentare il proprio peso e la propria influenza a scapito degli altri, se possibile estromettendolo del tutto dallo scacchiere. L’egemonia non è un potere condivisibile, e quando lo è, lo è in attesa che uno dei due riesca a prevalere sull’altro.
Come se non bastasse, l’alleanza – o se non l’alleanza l’appeasement – tra Iran e Turchia è innaturale. Finché quest’ultimo Paese è stato fedele a Atatürk, le sue azioni potevano essere determinate tenendo conto soltanto dei suoi interessi economici e politici. Ma la Turchia di Erdogan si avvia a divenire uno Stato islamico come l’Iran, con la differenza che essa è sunnita, mentre l’Iran è shiita. E queste due sette islamiche manifestano l’una contro l’altra una costante ostilità che può facilmente trasformarsi in azione bellica. Dunque, nel futuro comportamento di questi Stati, non basterà tenere conto della logica economica e militare, ma bisognerà tenere conto della loro ineliminabile rivalità religiosa.
Infine, riesce difficile capire quale utilità i tre Paesi potranno ricavare dall’egemonia comune sulla regione. Si è potuto dire che gli Stati Uniti per tanto tempo hanno speso denaro e versato sangue nella regione perché dipendenti dal petrolio mediorientale, ma personalmente non ci ho mai molto creduto. È vero, gli Stati Uniti importavano petrolio dall’Arabia Saudita, dall’Iraq, dal Kuwait e da altri, ma l’avrebbero importato anche se fossero divenuti nemici, perché quelli avevano tanto interesse a venderlo quanto loro a comprarlo. E infatti, se per parecchio tempo non hanno importato petrolio dall’Iran, è stato proprio per porre in atto una misura ostile. Come se non bastasse, recentemente gli Stati Uniti sono passati da importatori netti di petrolio ad esportatori. E dunque il Medio Oriente per loro sarebbe più una fonte di problemi che di vantaggi.
E comunque, se fosse vero che il petrolio motiva questo interesse ad avere un ruolo egemone nella regione, non si vede che cosa l’Iran e la Russia possano ricavare da questa egemonia, dal momento che sono ambedue esportatori di petrolio.
La Russia teneva ad avere un piede nel Mediterraneo per la propria flotta, senza essere obbligata a chiedere il permesso alla Turchia per uscire dal Mar Nero, ed infatti per questo è stata tanto lieta di disporre del porto di Tartus, in Siria. Ma anche questo è un vantaggio relativo. Perché ovviamente, in caso di bisogno, né la flotta ferma nel porto siriano potrebbe essere rifornita via mare, né essa potrebbe rientrare nel Mar Nero.
Quanto all’influenza shiita sul vasto territorio che comprende l’Iraq e la Siria, è vero che Tehran può inorgoglirsi di questo successo, ma è anche vero che esso rende naturale e rafforza l’alleanza di tutti i Paesi sunniti, che da questo attivismo iraniano si sentono minacciati. In prima linea vanno citati l’Egitto, l’Arabia Saudita e gli emirati del Golfo. La stessa Siria, al livello popolare, è largamente più sunnita che shiita. Dunque, senza l’intervento esterno, Assad e i suoi amici alawiti (una setta shiita) difficilmente sarebbero ancora al potere.
L’esercizio dell’egemonia è qualcosa di piacevole per l’orgoglio ma di devastante per il portafoglio. Se alla lunga se ne sono stancati gli Stati Uniti, che già con Obama hanno cominciato a tirare i remi in barca e non hanno certo cambiato politica con Trump, è probabile che se ne stancheranno anche queste nuove potenze regionali. Anche perché, non appena ne avranno la possibilità, gli alleati si trasformeranno in concorrenti e, chissà, in aperti nemici.
Può darsi sia vero che Allah ha fatto ai musulmani il regalo del petrolio, ma certo non gli ha fatto quello della pace.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
10 aprile 2018

TRE EGEMONIEultima modifica: 2018-04-10T07:21:35+02:00da gianni.pardo
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