LA CIVILTA’ DELL’IMMAGINE IN POLITICA

La politica riguarda la guida del Paese e forse per questo molti dei concetti che la riguardano finiscono col riportarsi alla navigazione. La parola governo, etimologicamente, significa timone. E del resto, ancora oggi si dice “governare una barca”. Se si deve correggere la rotta, si parla di “manovra”, come per le navi, e quando si è in acque tempestose si prospetta il rischio di “perdere la rotta”, “finire sugli scogli”, “fare naufragio”. L’insistenza sul parallelo dimostra quanto esso sia naturale.
Una grande nave richiede una ciurma competente e un capitano che sia all’altezza del compito. Lo scandalo provocato da un personaggio come Francesco Schettino non dipende tanto dal fatto che la sua insufficienza tecnica abbia provocato una trentina di morti, perché questo può capitare a qualunque autista di autobus, quanto dal fatto che egli abbia dimenticato che aveva la responsabilità di una città galleggiante. Al capitano di un grandioso capolavoro dell’industria nautica non si può perdonare una lettura superficiale dei portolani, fino a sbattere contro gli scogli come un qualunque velista della domenica. È questo che spiega l’insolita pena di sedici anni per un reato colposo, anche se si tratta di omicidio.
Ma c’è qualcosa di veramente stupefacente. Mentre la responsabilità aumenta a mano a mano che si sale dalla guida della propria automobile alla guida di un taxi, di un autobus, per finire con un gigante come la Costa Concordia, quando si sale ancora, e si tratta di guidare la nave dello Stato, si ritorna alla casella di partenza. In Italia rischiamo di designare Primo Ministro un giovanotto che difficilmente supererebbe un esame universitario di diritto costituzionale.
Il paradosso della politica è la possibilità che, mentre fra i passeggeri ci sono fior di capitani, di docenti di ingegneria navale e di competenti in ogni sorta, il transatlantico dello Stato sia poi governato da un dilettante. Il sistema democratico rimane il migliore, ma a volte è difficile da deglutire. Esso impone ai competenti di tollerare che la massima autorità sia affidata a qualcuno che di competenza ne ha tanto meno di loro e la cui una specializzazione consiste nel saper fare discorsi demagogici. Se vogliamo uscire dai paragoni nautici, è come se Hamilton, Vettel e Raikkonen fossero i passeggeri di un tassista ubriaco.
Forse proprio per questo bisognerebbe proprio sfatare il mito dell’eletto dal popolo. La massa non è più adatta a designare un primo ministro di quanto sia adatta a designare il nuovo papa. E proprio per evitare i suoi errori, bisogna seguire l’esempio della Chiesa Cattolica che non si fida nemmeno del concistoro dei vescovi e ricorre al conclave.
Nello Stato laico non esistono i cardinali ma si può ottenere quasi lo stesso risultato smettendo di stramaledire i partiti e affidando loro la formazione dei nuovi dirigenti e, al sommo della carriera, degli statisti. Come hanno fatto per molti decenni la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano. È per questo che i politici di allora furono di un migliore livello rispetto a quelli di oggi.
Quello inoltre fu un tempo in cui si badava più alla sostanza intellettuale degli uomini e meno all’immagine che si presentava al popolo. In Italia nessuno, se non eccezionalmente, accennava alla figura da uovo di Pasqua di Mario Scelba, da uccello del malaugurio di don Luigi Sturzo o da nano di Fanfani. Noi invece non smettiamo di parlare della statura di Berlusconi (che nessuno noterebbe per la strada), della capigliatura enfatica (o circense) della ministra Fedeli e del sex appeal di Maria Elena Boschi. Una volta c’era il discrimine cattolico-miscredente, ora cravatta sì, cravatta no. E allora perché ci meravigliamo del basso coefficiente di riempimento della scatola cranica?
Il voto telematico va bene per le canzoni o per i concorsi di ballo, ma per i politici l’ideale sarebbe che non avessero un viso e forse neppure una voce. Che fossero noti per ciò che hanno scritto e per come hanno governato, non per come si presentano. E poco importa se gli (innumerevoli) analfabeti a momenti non saprebbero nulla di loro. Tanto, non essendo in grado di emettere un giudizio fondato, probabilmente sbaglierebbero.
Non ci si può nascondere che questo punto di vista è da aristocratici. Ma dopo tutto perché mai, se il popolo ha reclamato ed ottenuto il diritto di decidere col voto, gli intellettuali non dovrebbero avere il diritto di dichiarare fuor di luogo la civiltà dell’immagine in politica?
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
8 aprile 2018

LA CIVILTA’ DELL’IMMAGINE IN POLITICAultima modifica: 2018-04-11T08:13:17+02:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “LA CIVILTA’ DELL’IMMAGINE IN POLITICA

  1. È vero, Fanfani fu a lungo irriso, per la sua statura, anche quando tentò di divenire Presidente della Repubblica. Ma l’irrisione, a quei tempi, a parte il fatto che era meno frequente, rimaneva confinata nei palazzi della politica, mentre oggi tracima continuamente in televisione.

  2. Mi ricordo che incontrai Fanfani all’eremo di Camaldoli, poteva essere il 1980. Ci stringemmo la mano, e onestamente non mi sembro’ cosi’ basso come lo descrivevano. Un breve scritto di Indro Montanelli a questo proposito:

    Dario Fo, poeta di corte dell’ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore Amintore Fanfani, responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. Toulouse-Lautrec, che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo.

  3. Per quello che vale, potrei anch’io avere complessi per la mia statura. Ma in realtà non ne ho mai avuti. Se vedo un bel giovane molto alto gli dico ridendo: “E poi dicono che siamo tutti uguali!”. Oppure dico: “Quando sono nato io, avevamo in molti questa statura. Era il modello in produzione allora, poi hanno inventato gli omogeneizzati…”
    In realtà mi chiedo se la grande quantità di “bassi” di un tempo non dipendesse anche dal fatto che si mangiava male e, nel mio caso- anche poco,. Certo deve dipendere dall’alimentazione, perché non si contano i figli più alti dei genitori, mentre se il fattore fosse soltanto quello genetico, non ci dovrebbe essere stato l’aumento generalizzato della statura.
    Questa storia della statura è francamente ridicola. Da quando non si prevale più con la forza muscolare, le donne hanno diritto a sentirsi uguali e Toulouse-Lautrec a sentirsi superiore. Anche perché lo era eccome.

  4. Bah, è tutto da vedere il parametro di “competenza” di un PdC. Competenze economiche? Competenze giuridiche? Competenze di “gestione risorse umane”? “Stratega politico”? In realtà, per le parti “tecniche” dovrebbe avere il supporto di specialisti, e più di uno, di diversa “scuola”. Più che la “competenza”, direi il “temperamento”, la prudenza, la capacità di discernimento, ma anche il senso etico e del “bene pubblico”. Ma anche lo “spirito visionario”, e il “realismo”, la “idealità”… e si potrebbe andare avanti chissà quanto.
    In realtà, quello che si dovrebbe richiedere è una “collaudata esperienza nella gestione di una comunità”, e non con “interessi concordanti” come un’associazione o una polisportiva, e neanche un’impresa (mondo completamente diverso dalla res publica) ma con interessi forti e divergenti. Un comune, una regione….
    Càpperi, ma Renzi era sindaco di Firenze… quindi neanche questo basta!
    Allora, che sia “politico di lungo corso”, abituato anche ai compromessi (“essenza della politica”). Ma allora, le “nuove idee”?
    Che sia parco e morigerato, soprattutto sessualmente? Beh, non si tratta si scegliere l’abate del monastero…
    Che non prometta il Bengodi, con “una montagna tutta di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti, che niuna altra cosa facevan, che fare maccheroni e ravioli e cuocerli in brodo di capponi, e poi li gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava, più se n’aveva” , ma invece “lacrime e sangue” e rigore? Ecco, questo mi piace. Ma chi lo vorrebbe e lo voterebbe, se non pochi disincantati e quando perfino la morte, dalla Chiesa, è trasformata nel momento della gioia in cui si incontra Dio?

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