ETOLOGIA POLITICA DI SALVINI

Come molti altri mammiferi, l’uomo è un animale sociale. La socialità nasce dalla constatazione atavica che vivere in gruppo favorisce la sopravvivenza. I lupi, le iene, i delfini, moltissimi animali cacciano in gruppo e così massimizzano la probabilità di successo.
Vivere così però crea dei problemi. Se c’è poco da mangiare, chi mangia per primo, chi per secondo, e chi per ultimo, rischiando di morire di fame? È necessario che qualcuno sia il capo incontrastato o si è tutti uguali? Tutti hanno il diritto di accoppiarsi con le femmine? Ovviamente ogni comunità – anche quella degli umani – ha delle regole. La prima delle quali è, in linea di principio, il divieto di uccidere il simile. E questo appunto perché la cosa è contraria alla sopravvivenza della specie. Le stesse lotte dei maschi per il diritto all’accoppiamento normalmente non si concludono con la morte del concorrente.
Le regole degli animali sociali hanno un preciso fondamento, la loro utilità. Disobbedire a queste regole è “male”, perché va contro l’interesse comune. E tuttavia questo principio va inteso con discernimento. Infatti se il giovane leone non “disobbedisse” al vecchio, sfidandolo per sapere chi è più forte, non ci sarebbe il ricambio, alla testa del branco, e non sarebbe assicurata la sopravvivenza dei geni migliori. Per quanto strano possa sembrare, questa “disobbedienza” è anche alla base del progresso.
La scuola è fondata sull’obbedienza al maestro, in tutti i sensi. Ciò che il maestro fa è giusto, ciò che insegna è “vero”, ciò che egli dichiara sbagliato è sbagliato, e ciò che egli dichiara male è male. Ma, se si prendessero veramente sul serio queste regole, non ci sarebbe progresso. E infatti quando l’umanità, abbagliata dal genio di Aristotele, non ha osato contestarlo per secoli, per secoli non si sono avuti grandi progressi. È stato soltanto quando Galileo ha “mancato di rispetto” ad Aristotele, non badando a ciò che “ipse dixit”, e preferendo il risultato dell’esperimento alla teoria, che è nata la scienza moderna.
Ecco perché si può affermare che né l’obbedienza né la disobbedienza sono costantemente virtù o vizi. La regola più importante del gruppo sta al di sopra di questi concetti: è l’interesse della specie. La mantide religiosa mangia il maschio, dopo l’accoppiamento, e sicuramente la cosa favorisce la sopravvivenza della specie. Molti anni fa fui sorpreso e un po’ schifato vedendo la mia gatta mangiare, dopo il parto, la sua stessa placenta. Per poi scoprire che la gatta aveva ragione. Sarebbe stato sciocco sprecare le preziose sostanze contenute in quell’involucro, soprattutto in un momento in cui la bestiola aveva speso tante energie per mettere al mondo i piccoli.
Il valore relativo, e non assoluto, delle regole, vale anche per il mondo del diritto. Bisogna obbedire alle leggi soltanto finché esse sono utili alla comunità. Addirittura l’individuo è autorizzato a trasgredire la regola fondamentale del codice penale, quando si tratta di salvare la sua vita. Teoricamente se qualcuno, per salvare sé stesso condanna un treno a cadere in un burrone, provocando la morte di centinaia di viaggiatori, deve andare assolto (art.54 C.p.).
E se questo vale all’interno di un Paese, figurarsi se non vale in ambito internazionale, dove le leggi sono costituite da trattati e non sono munite di sanzioni. Qui un Paese non solo è autorizzato a contravvenire ai patti sottoscritti, se ciò gli conviene, ma è suo dovere farlo. Salvo errori, la Gran Bretagna aveva preso l’impegno di difendere la Cecoslovacchia, ma quando Hitler la invase, non gli dichiarò guerra. Cosa che invece fece quando poi Hitler invase la Polonia. Come mai? Nel primo caso, sapendosi impreparata alla guerra, preferì mancare di parola. Nel secondo caso, ritenendo la guerra inevitabile, la dichiarò. Insomma in ambedue i casi contò, giustamente, non ciò che era scritto nelle carte, ma l’interesse del Regno Unito.
Tutto quanto precede è prova, ad abundantiam, del fatto che l’attuale, pensosa discussione in materia di diritto internazionale, di leggi del mare, di trattati con l’Unione Europea, di doveri di umanità e via dicendo, è pura fuffa. Il problema non è ciò che l’Italia dovrebbe fare, secondo le norme riconosciute, ma ciò che le conviene fare. E quanto le costerebbe l’eventuale disobbedienza. Un calcolo di pura convenienza. E questo significa che non bisogna condannare Matteo Salvini per il suo stile o perché tiene un conto insufficiente delle norme. Bisogna assolverlo se si è sicuri che sta facendo l’interesse dell’Italia. Bisogna condannarlo se si è sicuri che non sta facendo l’interesse dell’Italia. E bisogna star zitti se non si è sicuri di niente.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
21 giugno 2018

ETOLOGIA POLITICA DI SALVINIultima modifica: 2018-06-21T13:31:24+02:00da gianni.pardo
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