IL DIFFICILE RITORNO AL BUON SENSO

Un articolo di Luciano Violante, sul “Corriere della Sera”(1) ha il grande merito non di descrivere un fenomeno noto – la decadenza delle sinistre in Europa e nel mondo – ma di chiedersene il perché. La tesi è che destra e sinistra si sono scambiati i ruoli. Prima era la sinistra che faceva sognare e proponeva il cambiamento, ora è la destra che è divenuta rivoluzionaria. Prima era la destra che tendeva a preservare gli interessi dei benestanti, ora è la sinistra che appare conservatrice. E il fatto che abbia smesso di ascoltare il popolo e sostenere le ragioni dei più poveri è la causa della sua decadenza.
I dati posti alla base del grande cambiamento sono plausibili ma, a mio parere, non risalgono a sufficienza alle ragioni prime. Se guardiamo al mondo del XIX secolo, e della maggior parte del XX, vediamo che in campo economico lo scontro è stato tra gli abbienti, adepti dell’economia liberista classica, e i meno abbienti, che più o meno fedelmente – secondo che fossero comunisti o socialisti – sognavano l’economia collettivista di ispirazione marxista. Come si diceva, dopo la rivoluzione della borghesia liberale, quella del proletariato comunista.
Sappiamo che questa rivoluzione, dove la si è attuata, ha avuto esiti economicamente disastrosi, tanto che alla fine (seppure dopo settant’anni) è stata definitivamente rigettata. Viceversa, nei Paesi liberi, il sogno collettivista – nel prospero ambiente borghese – non ha comportato controindicazioni. Per questo ha potuto progredire e il risultato è stato che ha conquistato sempre nuove posizioni. Finché si è arrivati ad una società che, senza essere dichiaratamente collettivista, lo è divenuta nei fatti.
Alla fine però ci si è resi conto che non c’era più nulla da spremere, dalla società borghese, e che ogni ulteriore progresso si trasformava in un regresso. Insomma, come vaticinato da Margaret Thatcher, “il socialismo finisce quando finisce il denaro degli altri”. Prima lo sciopero conseguiva un aumento di salario, poi ha cominciato a provocare il fallimento dell’impresa o la sua fuga in altri Paesi. Un eccellente esempio, in questo campo, è la vicenda dell’Ilva di Taranto. Probabilmente, dal punto di vista del XX secolo, le motivazioni dei lavoratori, degli ecologisti e dei magistrati sono eccellenti. Ma in questo secolo si vede che, o si rinuncia a qualche indiscutibile ideale (per esempio: “nessuno mai deve essere licenziato”) o l’impresa chiude. E mentre prima, quando le imprese divenivano antieconomiche, le sinistre speravano che se ne sarebbe fatto carico lo Stato (alcuni lo sperano ancora per l’Alitalia) oggi questa operazione è impossibile sia giuridicamente (perché vietata dai trattati dell’Unione Europea) sia economicamente, perché lo Stato non ha più i soldi per simili follie. Ciò ha portato alla paralisi e a quella crisi che da noi non accenna a finire. Perché l’Italia è sempre stata più “di sinistra” dei suoi vicini. Non a caso a lungo ha avuto il più grande partito comunista del mondo libero.
Il problema attuale è che il nostro sistema è morto, ma non si intravvede l’erede. Prima la sinistra rivoluzionaria attaccava la società sulla base di una diversa teoria economica e si pensava che, se i lavoratori erano insoddisfatti nell’ambito dell’economia classica, sarebbero stati felici nell’ambito dell’economia marxista. Che ciò fosse contro l’evidenza poco importa: era quello che credeva la gente. Oggi al contrario i partiti “populisti” si dichiarano insoddisfatti, non propongono nulla di nuovo e operano in negativo. Propongono di buttar giù tutto – l’Unione Europea, l’euro, la globalizzazione, il libero mercato – e negano perfino che bisogna avere il denaro, prima di poterlo spendere. Non hanno una teoria economica, hanno soltanto a un confuso programma protestatario, mitologico, e sostanzialmente infantile.
I partiti progressisti hanno condotto il Paese alla paralisi economica ma, avendo cultura di governo, sanno che ogni ulteriore passo nella vecchia direzione sarebbe catastrofico. La società è già talmente “a sinistra” che oltre c’è il precipizio. Sicché il meglio che si può fare è impedire il disastro, conservando l’esistente. Forse la sinistra sa addirittura che, per ritrovare la prosperità, si dovrebbe tornare ad una società più liberale, collocandola in quel punto di un’ideale curva di Laffer in cui si incontrano il massimo di prosperità e il massimo di sinistrismo. Ma si può chiedere alla sinistra di annunciare questo programma liberale? E purtroppo non potrà mai farlo neppure la destra, troppo ignorante per capire questa soluzione e comunque comprensibilmente impossibilitata a proporla ad un popolo che ancora crede a Marx. Così siamo senza speranza.
Il nostro modello sociale è stato spinto fino a produrre le sue peggiori controindicazioni. Oggi, invece di un balzo verso il futuro, avremmo bisogno di un rassegnato e coraggioso ritorno al buon senso.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
11 luglio 2018
(1)https://www.corriere.it/opinioni/18_luglio_10/scambio-ruoli-14fb3042-838d-11e8-b0f1-5852deebaad6.shtml

IL DIFFICILE RITORNO AL BUON SENSOultima modifica: 2018-07-11T12:23:16+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “IL DIFFICILE RITORNO AL BUON SENSO

  1. In Italia ci sono 4,2 milioni di microimprese, 95% del totale con una media di 3,9 addetti per azienda per un totale di 7,8 milioni di addetti (il 47% contro il 29% nella media europea). Le imprese di maggiori dimensioni (oltre 250 addetti )rappresentano solo lo 0,1% del totale e il 19% degli addetti). Per l’Istat “questa frammentazione, solo in parte mitigata dalla presenza di gruppi d’impresa, determina una dimensione media molto contenuta (3,9 addetti per impresa a fronte di una media europea di 6,8 addetti), una struttura proprietaria molto semplificata (63,3% di imprese individuali) e una quota di lavoratori indipendenti pari a oltre il doppio di quella media europea”.
    http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2015/05/20/istat-in-italia-42-milioni-di-microimprese-95-del-totale_3dd493d4-32fc-4205-a361-3162c3064e88.html

    I problemi dell’economia italiana sono quasi tutti in quei numeri.
    Numeri e percentuali che sono il risultato di politiche e normative sindacali (art. 18 e non solo) che hanno provocato una distorsione nella struttura industriale che non ha equivalenti in Europa. Senza un processo di “distruzione creativa” (che ha costi politici enormi perché colpisce un determinato elettorato) l’economia non può crescere e senza crescita i giovani continueranno ad emigrare. Amen

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