PERCHÉ NON FACCIAMO PIU’ FIGLI

Una volta, in campagna, le pratiche anticoncezionali, quando erano adottate, non andavano oltre il coitus interruptus (condannato dalla Chiesa) e i contadini avevano molti figli. Li generavano in gran numero sia per contrastare l’alta mortalità, sia perché quei piccoli non importavano né grandi spese né grandi cure. Prima li allattava la madre, senza mai parlare di pediatra, poi giocavano sull’aia, col cane, e infine, superati i sei-otto anni, cominciavano a rendersi utili. I maschi andavano al lavoro col padre, le femmine aiutavano la madre. I figli erano insomma un investimento e un’assicurazione. Da sempre infatti si sapeva che prima avevano il dovere di contribuire al mantenimento della famiglia e poi quello di sostenere e curare i genitori quando questi fossero stati vecchi o malati.
Da molto tempo ormai queste condizioni non esistono più. Spesso fino alla laurea ed oltre, ai figli non si chiede nessuna prestazione. Essi non hanno alcuna responsabilità nei confronti dei genitori e questi, senza aspettarsi molto dai figli, si occupano di sé con i sistemi di previdenza e assistenza. Sicché chi ha figli lo fa “in pura perdita” e dal un punto di vista esclusivamente razionale i motivi per non averne sono numerosi ed evidenti. Rinunciando a porli in ordine d’importanza, ecco una lista: responsabilità infinite; preoccupazioni e dispiaceri; spese più che consistenti; scarsissime probabilità che i figli siano occasione di orgoglio e soddisfazioni; legame eterno con i figli, anche se persone problematiche; impossibilità di rompere i rapporti con l’altro genitore, anche se ci si è separati o si è perfino divorziato. Insomma è lecito chiedersi – sempre esclusivamente dal punto di vista razionale – come mai la gente non si accorga che avere figli è una follia.
E infatti siamo alla crisi, addirittura tendendo al rovesciamento della piramide demografica. La base, costituita dai giovani, e che da sempre era stata più larga della punta, costituita dagli anziani, è divenuta più stretta della punta. Cosa che fra l’altro comporta gravi problemi per il pagamento delle pensioni. Attualmente c’è un pensionato ogni due lavoratori, presto ogni lavoratore dovrà mantenerne uno e poi addirittura due. Sempre che ce la faccia.
Perché gli italiani non fanno più figli? E come mai le italiane spesso hanno il primo (e spesso unico) figlio essendo sempre più anziane, con rischi per la salute? Qui siamo nel campo delle ipotesi, ma parecchie di esse sono interessanti.
L’individuo attuale si sente meno parte di una comunità e non si sente in debito con essa. Così si è passati dal principio: “i figli bisogna averli” al principio: “ne avrò se ne avrò voglia”. La popolazione contemporanea è individualista, laica, desiderosa di libertà e di piaceri. E spesso i figli non rientrano in questo quadro.
Come se non bastasse, i piccoli sono divenuti economicamente costosissimi e gravosissimi come impegno. La “famiglia allargata” non esiste più e c’è soltanto quella “nucleare”. Sono ­i due genitori che devono accompagnare i figli a scuola (prima ci andavano da soli) e andare a prenderli, soprattutto se piove. Poi bisogna fornirgli tutto il necessario per essere allo stesso livello dei compagnucci, partendo dal telefonino. Bisogna fargli praticare uno sport o la danza e comprargli i vestiti firmati. La lista è infinita. E tutti questi doveri a fronte di nulla. Dai figli non c’è da aspettarsi più aiuto che dal gatto di casa. Quanto alle malattie e alla vecchiaia, ci penserà l’Inps.
La maggior parte delle coppie ha un solo figlio, e questo è stupefacente. Infatti, se la gente veramente non volesse figli, non dovrebbe averne neppure uno. Dunque l’istinto genitoriale esiste ancora, e per il figlio unico bisogna trovare una spiegazione.
Un tempo pensavo che la prevalenza del figlio unico potesse dipendere dall’avere assaggiato quanto siano gravosi gli impegni genitoriali. Ma poi ho riflettuto che, mentre per avere il primo figlio bisogna imparare il non facile mestiere di genitori, per i seguenti quel mestiere lo si conosce già. Dunque la ragione è più probabilmente economica: le case sono inadatte a contenere una grande famiglia, le “economie di scala” sono lungi dal compensare l’aggravio degli impegni e in totale la famiglia numerosa è un progetto economicamente scoraggiante. Se si è avuto un figlio per il piacere di essere genitori, la cosa finisce lì.
Il calo demografico probabilmente risulta da molti fattori. Attualmente l’individuo vive per sé, non per la propria famiglia, e men che meno per la specie. Il matrimonio è un legame affettivo che si rompe quando viene meno questo legame. Nessuno sente il “dovere sociale” di avere figli e nessuno è criticato se non ne ha, come avveniva quando la gente si chiedeva: “È sterile lei o è impotente lui?”. I figli sono un limite alla libertà e una preoccupazione. E infatti, nel dubbio, sempre meglio rinviare la filiazione al momento in cui la situazione economica sarà meno precaria. A quando si hanno quarant’anni.
In queste condizioni, ci sarebbe da preoccuparsi, se la Terra non fosse già sovrappopolata. Oggi invece, a livello globale, il calo demografico è una benedizione. Una volta eliminato l’esercito di vecchi (che dovranno pur morire) il pianeta potrebbe raggiungere un equilibrio demografico migliore dell’attuale.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

12 luglio 2018

PERCHÉ NON FACCIAMO PIU’ FIGLIultima modifica: 2018-07-12T12:49:01+02:00da gianni.pardo
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8 pensieri su “PERCHÉ NON FACCIAMO PIU’ FIGLI

  1. Condivido le conclusioni a cui e’ giunto G.P. partendo da questo materiale di rimuginazione. Anche io ho riflettuto partendo da queste osservazioni, ma non sono giunto a conclusioni di cui posso definirmi pienamente convinto. Ho notato che i paesi che hanno scelto un certo modello economico e sociale basato sulla industrializzazione e sulla comparsa della prevalente figura dell’ impiegato (come me) tende a posticipare la scelta di mettere al mondo figli e a limitarne il numero.

    Perche?

    Ho pensato:

    L’ impiegato e’ pendolare e “solitario”, nel senso che le sue interazioni sociali non sono intense, anche se non lo sa’, perche’ non ha termini di paragone (io vedo la differenza tra la provincia dove sono nato e in epoca molto diversa e la citta’ in cui vivo). Non vivendo una vita di “pubblica piazza paesana” con severe ed oppressive regole di convivenza e ruolo, eccede in edonismo ed egoismo.

    Ho cercato di trarre delle conclusioni da questa osservazione, ma un giorno, conversando con un vicino di casa siriano, ma in Italia da decenni, parlando del suo paese, degli amici cristiani e musulmani, parlando dei cristiani in un passaggio ha detto “… e poi loro fanno meno figli!”. Questo mi ha dato un altro spunto di riflessione:

    Sono lo stesso popolo, stessa razza, possibile che le abitudini procreative siano cosi’ diverse? Possibile che la separazione di secoli per impedimenti a unioni interconfessionali abbia generato due “razze” distinte? Piuttosto che accettare questa ipotesi ho preferito attribuire il fenomeno all’ emancipazione della donna. In un mio precedente viaggio in Libano ho visto questa evidente e sorprendente diversita’ di comportamenti tra donne cristiane e donne musulmane. Possono essere amiche, uscire insieme ecc.. ma vestite in modo molto diverso. La donna cristiana si amministra da sola, studia, si da’ degli obiettivi, sceglie il marito.

    Forse la riduzione della fecondita’ e’ conseguenza dell’ emancipazione della donna??

  2. > Forse la riduzione della fecondita’ e’ conseguenza dell’ emancipazione della donna??”

    E perché no? A lei piacerebbe avere il pancione, partorire e (un tempo) rischiare la vita?

    Io, se fossi donna, non soltanto non avrei figli (e già non ne ho voluti da uomo), ma non mi sposerei neanche a legnate.

  3. “Oggi, al livello globale, il calo demografico è una benedizione”

    Ad umile avviso del sottoscritto, esso è una benedizione (laicamente provvidenziale) ANCHE a livello locale-nazionale e andrebbe caldamente supportato anziché aspramente demonizzato: Paesi come l’Italia sono già oggettivamente sovrappopolati e in evidente overshoot ecologico (cfr. i disastri legati al dissesto idrogeologico e all’inquinamento urbano), oltre che alle prese con elevati tassi di disoccupazione e di miseria/povertà. Quanto al rapporto lavoratori/pensionati, al di là del costante arrivo di migranti da tout-le-monde (causato soprattutto dall’attuale esplosione demografica afro-asiatica) teniamo presente la crescente presenza/pressione della popolazione femminile e la crescente diffusione dei sistemi robotici in un mercato del lavoro già da anni in evidente sofferenza/contrazione causa la crisi economica e i mutamenti geo-politico-finanziari transnazionali in corso.
    Insomma: nell’ottica di un (prima o poi oggettivamente inevitabile) riequilibrio tra quantità di popolazione residente e risorse disponibili in un qualsivoglia territorio, un saggio e volontario calo della fecondità costituisce l’unica valida e ragionevole alternativa alla riemersione dei tradizionali “quattro Cavalieri dell’Apocalisse” (guerre, pestilenze, carestie e disastri naturali), che (in Europa) oggi sperabilmente nessuno rimpiange e che invece continuano a flagellare i Paesi del c.d. Terzo Mondo tuttora alle prese con esplosivi tassi di natalità…

  4. Siamo d’accordo.
    Una nota pedante ma, la prego di credere, amichevole. Tout le monde in francese significa “tutti”, “la gente”, mentre tutto il mondo si dice “le monde entier”.
    G.P.

  5. Veramente, i dati Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Fertility_statistics ; http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Population_structure_and_ageing/it#Ulteriori_informazioni_di_Eurostat ; http://www.camera.it/temiap/2016/03/17/OCD177-1846.pdf; http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=52509) ci dicono che l’Italia condivide con la Spagna il più basso tasso di fertilità, ad un’età “esageratamente alta” (31 anni; l’ideale sarebbe tra i 20 e i 25 anni, dicono i medici), mentre Francia, Svezia, Regno Unito, Irlanda e Danimarca hanno i tassi più alti. Come si spiega questo fatto? Incideranno le condizioni economiche, le prospettive, la fiducia nel futuro? O forse i più bassi “costi – non solo finanziari – di crescita e gestione” di un pupo? Non mi pare che tra questi Paesi vi siano differenze così notevoli quanto a struttura sociale (famiglia nucleare/estesa, per esempio), educativa, produttiva e così via.
    Il risultato netto è che, in Italia, gli ultra 65enni costituiscono il 21,4% della popolazione (di cui il 6,4% ultraottantenni) e sono quasi 13 milioni, rispetto al 18,5% medio dell’UE a 28, con il minimo dell’Irlanda al 12,6%. Una marea di vecchi che pesano sul bilancio dello Stato e che, quando le condizioni di salute peggiorano, finiscono col pesare sui bilanci famigliari ben oltre l’apporto della pensione, stimolando un giro d’affari colossale a basso “valore d’investimento” sociale a detrimento di chi è oberato della loro cura. Marea “improduttiva”, di nessuna utilità anche ai fini del miglioramento della società”: gli “insegnamenti” dei vecchi non li ascolta più nessuno e, cessata la funzione di babysitter e aiuto economico ai figli, essi costituiscono solo un peso. Quindi, se sarebbe opportuno favorire una maggiore natalità (assicurando tuttavia sia un sostegno non solo “finanziario” alle famiglie – vedi Francia – ma anche un futuro ai neonati) anche per eliminare la necessità dell’apporto di migranti, altrettanto opportuno sarebbe “tosare” i vegliardi, assicurandone una celere dipartita nel momento il cui il rapporto costi/benefici diventa positivo.
    Ipotesi “blasfema”, ma a voler essere razionali così dovrebbe essere. Così com’è nel mondo animale. E non mi risulta che gli uomini appartengano al regno angelico.

  6. Il punto fondamentale è che i vecchi non credo sarebbero(remmo) disposti a collaborare al progetto. E i vecchi votano.
    Per non dire che qualche vegliardo birbante ed egoista sarebbe perfino disposto a difendersi con le armi.

  7. Ma questo è egoismo allo stato puro!
    Nessun essere razionale considerebbe profittevole o almeno degno di considerazione la pura conservazione e guardianìà di navi o auto in disarmo. Dalle quali almeno si possono ricavare materiali da riciclare, mentre dai vecchi ricavi solo pannoloni e dentiere rotte.
    Fino ad una certa età, nel mondo produttivo, si è “risorse umane”, macchine animate utili. Dopo, macchine in attesa di rottamazione. Teniamole “a riposo” per qualche tempo, per farci razzolare galline e nipotini e fornire riparo a qualche “barbone”, ma poi…

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