Christian Hacke – politologo tedesco – dimostra in questo articolo uno straordinario realismo. Leggendolo si ha la sensazione che si può non essere d’accordo, ma per obiettare bisognerebbe essere capaci di contrapporre fatti e ragionamenti a quelli usati da lui. In altri termini, quand’anche non si fosse d’accordo sulla sostanza, è il metodo, che nel testo è esemplare, ed è per levarmi il cappello dinanzi a questo metodo che ho tradotto l’articolo. Non guasta neppure un certo tono appassionato, e a volte colloquiale, che elimina ogni atteggiamento cattedratico. In coda l’originale.
G.P

FALSE SPERANZE SUL DOPO-TRUMP.
Christian Hacke
Durante il suo viaggio in Europa il Presidente americano Donald Trump si è abituato a stare in scena nel suo solito modo poco diplomatico: nei confronti dei suoi alleati ha condotto il gioco come un maestro di scuola; mentre di fronte all’autoritario Vladimir Putin ha fatto l’effetto di uno scolaretto. In questo modo capovolge la diplomazia occidentale e in particolare quella americana, disturbando gli alleati come non mai.
L’idea che Trump ha del ruolo dell’America nel mondo, come anche la sua personalità narcisistica rendono pressoché impossibile, per i suoi amici tradizionali, ottenere che le loro argomentazioni trovino ascolto a Washington. Al contrario si fregano le mani già da mesi i furbi autocrati e dittatori, da quando il Presidente americano va in giro con la spensieratezza di un sonnambulo: come meravigliarsi che nei loro incontri con Trump essi possono mietere un successo dopo l’altro? Inoltre essi sono capaci di lisciare il pelo agli americani senza di fatto concedergli nulla:
il capo di Stato della Cina, Xi, nel negoziato commerciale con gli Stati Uniti continua ad avere in mano le briscole grazie alla forza della Cina e alla debolezza dell’America;
il nordcoreano Kim ha ottenuto prestigio internazionale a Singapore per la prima volta, attraverso l’ingenuità e l’incapacità di fare dei calcoli di Trump. Lo Status di potenza nucleare della Corea del Nord, a causa del suo successo, potrebbe proporla come un modello per altre dittature, nel mondo;
Vladimir Putin ad Helsinki ha potuto superare in modo spettacolare il suo isolamento diplomatico. Senza fare concessioni, lui ha guadagnato prestigio ed ha fatto sì che il Presidente americano facesse un’impressione negativa.

L’Unione Europea come principale concorrente economica
L’atteggiamento semi-autoritario di Trump e la sua palese compagnoneria con i nemici della democrazia rende più tagliente la domanda, se l’Occidente non minacci di cadere a pezzi. Infatti il Presidente incontra gli alleati un tempo apprezzatissimi con manifesta arroganza, e non si trattiene nemmeno dal fargli delle pubbliche lavate di capo.
Così fino ad ora ha incontrato il capo del governo canadese Justin Trudeau, il Primo Ministro inglese Theresa May o la Cancelliera federale tedesca Angela Merkel. Come si spiega questo comportamento?
L’ “America first” di Trump corrisponde a indebolire gli allearti o addirittura a dividerli. Così Trump corteggia senza neppure nasconderlo i populisti di destra, in Europa, li incoraggia ad uscire dall’Unione Europea oppure tenta di mettere economicamente sotto pressione l’Ue attraverso la sua politica dei dazi.
Soprattutto l’Ue è per lui una spina nel fianco. Trump la teme come principale concorrente sui mercati internazionali. Dal momento che Trump si mette sotto i piedi i valori e gli interessi dell’Occidente, si sta giocando il ruolo degli Stati Uniti come potenza leader dell’Occidente. Dal momento che vuole ingraziarsi i dittatori, fa perdere agli Stati Uniti l’aspetto della potenza d’ordine mondiale e sembra attribuire valore a zone d’influenza, che potrebbero portare a preoccupanti modificazioni di potenza assolutamente nocive per il mondo libero.

La lunga tradizione dell‘isolamento
Un’occhiata alla storia, più o meno al tempo fra le due Guerre Mondiali, mostra che l’isolazionismo e il protezionismo sono antichissimi modi di comportamenti americani. L’internazionalismo liberale degli Usa durante la Guerra Fredda si può vedere come un’eccezione. Vista così, Trump si rifà ad una tradizione popolare. Dunque ciò che egli fa non è nuovo, ma rivoluziona la politica estera americana come mai era avvenuto dalla Seconda Guerra Mondiale: gli amici diventano avversari, mentre ai nemici della Democrazia si srotola il tappeto rosso. Per conseguenza Trump rappresenta un’America che c’è sempre stata, ma che noi europei, e in particolar modo noi tedeschi non abbiamo conosciuto e la cui storia abbiamo intenzionalmente soppresso.
Osserviamo dunque, attualmente, in America, lo scontro violento di due culture politiche. L’America che conosciamo e che ci è cara, quella liberale e internazionale, è in conflitto con la sua variante materialistica, protezionistica e piena di sé. Una giornata passata guardando i teleschermi dà l’impressione di due Americhe, di cui ciascuna non vuole avere nulla in comune con l’altra. Attualmente sembra che l’America isolazionista domini nello Stato e nella società.

La situazione speciale della Germania è finita.
Questa frattura culturale intra-americana colpisce in modo particolarmente duro gli alleati, e specialmente la Germania. La Repubblica Federale è stata per più di sessant’anni l’alleato europeo preferito, e così oggi essa acquista un nuovo status speciale: è considerata il nemico intimo numero uno di Trump. Questo voltafaccia nella politica tedesca dell’America è privo di riscontri nella storia moderna. Anche per questo la Germania fa un’impressione sconvolgente. In molti posti non ci si capacita di questa degradazione e di questo decadimento.
Corrispondentemente è sbagliata la stroncatura di Trump in Germania. Ma è intelligente? La Cancelliera federale para le stroncature di Trump con l’atteggiamento di superiorità. Ma al contrario la Germania si lamenta, invece di chiedersi: dov’è che Trump potrebbe persino avere ragione? In che cosa bisognerebbe seguirlo? E al contrario ci si concentra su che cosa e come lo si può criticare oppure perfino renderlo ridicolo.

Lo scroccone tedesco
Alcuni idealisti benintenzionati dimenticano purtroppo che l’arroganza moraleggiante non è un succedaneo della politica intelligente. Per giunta, in tutti i campi, in caso di contrasto gli Usa hanno il coltello dalla parte del manico. La Germania ha bisogno degli Usa perché sia garantita la sua sicurezza e il resto dei suoi interessi molto più che l’inverso. Inoltre il Presidente americano ha ragione quando si lamenta che per decenni la Germania si è sistemata molto comodamente, quanto a politica della sicurezza. La Germania ha approfittato unilateralmente della garanzia di sicurezza americana e per questo viene vista negli Stati Uniti – e non soltanto da Trump – come uno scroccone ingrato, che per giunta si è defilato, quando è stata richiesta solidarietà militare.
La critica alla Germania tuttavia si concentra non soltanto sull’insufficiente contributo alla difesa nel quadro della Nato. Ancor più preoccupante suona la situazione catastrofica dell’esercito tedesco: niente vola, niente naviga e niente cammina nella truppa. Questa armata non appare capace di difendere il Paese. Le riforme rimangono a metà. Purtroppo domina un pubblico disinteresse riguardo alla politica della difesa. Per conseguenza manca un’esigente discussione riguardo alla politica della sicurezza nello Stato e nella società.

Speranze ingannevoli riguardo all’era post-Trump
La maggior parte delle persone a Berlino pensa e agisce secondo il detto “Chiudere gli occhi e avanzare”, e sperano in tempi migliori dopo Trump. E tuttavia questo calcolo potrebbe rivelarsi ingannevole. Trump ha modificato il clima politico, negli Usa, in modo più sostenibile per i suoi interessi di quanto gli europei capiscano. La sua politica estera incontra una crescente approvazione. La sua diplomazia populistica secondo il semplice e fuorviante modello: “Amicizia con i possenti autocrati e distanza dagli alleati inutili” trova negli Usa più incoraggiamento di quanto gli europei immaginino. Gli americani sono stanchissimi, dopo diciassette anni di insuccessi nella guerra al terrorismo. Dal momento che percepiscono che Trump, meglio oggi che domani, si ritirerebbe volentieri dal mondo, dal punto di vista militare, la sua popolarità appare intatta, malgrado tutte le sue carenze caratteriali.
Questo punto di vista si trasforma spesso in Germania in una stroncatura unilaterale di Trump. Anche le conseguenze nella politica di sicurezza per la Germania sono discusse unilateralmente. Così il ministro degli esteri tedesco critica pubblicamente il Presidente americano, si batte per il trattato di non proliferazione nucleare ed anche per Global Zero e per il ritiro delle armi nucleari americane dalla Germania. Ma poi qualcuno pensa seriamente che con questa politica tanto critica degli americani viene rinforzata a Washington la disponibilità ad impegnarsi per la sicurezza della Germania? Molto di più è da temere, che questa tendenza alla fuga dal nucleare annacqui sempre di più la già pressoché squagliata disponibilità degli Usa per una aumentata garanzia di deterrenza nucleare.

Pensare secondo categorie strategico-militari
Che cosa si dovrebbe, che cosa si potrebbe fare, affinché gli alleati come la Germania siano visti come meritevoli di difesa? Berlino dovrebbe venire incontro agli Usa là dove appare necessario. Così, ad esempio, Berlino dovrebbe finalmente aumentare le sue spese per la difesa, come promesso da anni. Di ciò già si vedono a Berlino segni, anche se non entusiastici. Ma la Germania deve fare di più. E neanche questo basta: la Germania deve sviluppare una adeguata cultura della politica della sicurezza e corrispondentemente divenire attiva nell’alleanza.

Attualmente ci sono tre alternative
Con riguardo alle sue qualità come Soft-Power, la Germania agisce in modo esemplare. Ma a Berlino manca la volontà e la capacità di pensare o agire secondo categorie strategico-militari. Mancano dibattiti all’incirca sulla sicurezza dei suoi interessi politico-commerciali, che sarebbero urgenti con riguardo alle nuove sfide. Manca totalmente una politica nazionale della difesa, che si fonda sull’alleanza, ma non si nasconde dietro le strutture comuni dell’alleanza stessa. In questa situazione della politica della sicurezza alla Germania si offrono tre alternative:
1 Continuare come s’è fatto fino ad ora
Berlino se ne frega come fino ad ora e spera che le cose vadano meglio dopo Trump. Ma con questa posizione la garanzia di deterrenza americana diviene giorno dopo giorno meno credibile. Le più recenti dichiarazioni del Presidente Trump con riguardo all’adesione come membro della Nato del Montenegro, rafforzano il dubbio che gli Stati Uniti si impegneranno totalmente per la sicurezza degli alleati europei. Proprio la Germania, come nuovo modello di nemico del Presidente Trump non può affatto contare ancora sul fatto di avere gli americani accanto a sé. Ciò costringe a nuove e radicali considerazioni:

2 Collaborazione nucleare
Una garanzia nucleare europea potrebbe divenire un sostituto della deterrenza americana, in corso di sparizione. Da mesi se ne discute a Berlino, e viene vista come una possibile alternativa. La Germania in questa prospettiva potrebbe sostenere il progetto dichiarandosi pronta a co-finanziare programmi di armi nucleari francesi o inglesi, se ambedue le potenze si dichiarano pronte a proteggere la sicurezza della Germania come una allargata garanzia di deterrenza nucleare. Per questo potrebbero o dovrebbero anche essere stazionate in Germania armi nucleari francesi o inglesi.
E tuttavia si sollevano dei dubbi. Oggi come sempre in Francia è valida la massima di De Gaulle: “La forza nucleare è difficile da condividere”. E in Gran Bretagna si pensa nello stesso modo. L’Europa aspetta invano già da settant’anni una politica di difesa comune. Essa rimarrà illusoria anche in futuro, a causa dei diversi interessi nazionali. Per di più né la Francia né la Gran Bretagna sono inclini a garantire la sicurezza della Germania con le proprie forze atomiche. Un ombrello nucleare francese o britannico che si prenda cura della sicurezza della Germania, è un’alternativa altamente dubbia. Per conseguenza si rafforza, anche riguardo alla variante europea della deterrenza, l’impressione che Berlino tenda a rifugiarsi nelle illusioni.

3 La Germania potenza atomica
Se anche la garanzia nucleare americana è divenuta dubbia, ed appare probabilmente che non sia realizzabile nessuna variante europea di deterrenza, diviene inevitabile vedere l’elefante nel corridoio: come la mettiamo con una possibile Germania potenza atomica?
Vi sono parecchie buone ragioni per le quali, in passato, la Germania ha intenzionalmente rinunciato alle armi di distruzione di massa. Ma tutti i doveri contrattuali, morali e politici possono, anzi debbono, essere riconsiderati alla luce dei nuovi sviluppi e delle nuove conoscenze. Lo sviluppo critico degli anni passati negli Usa, nell’alleanza e nel mondo, costringono a ciò i responsabili. A questo appartiene anche la riflessione, se e a quali condizioni la Germania potrebbe divenire potenza atomica, per rinforzare la propria sicurezza e quella dell’alleanza.

Il dibattito è appena possibile
Purtroppo questo problema, per ragioni di political correctness, e per mancanza di coraggio civile e di riflessioni strategico-militari, fino ad ora è stato totalmente soppresso. Al contrario, riguardo a questa questione, ci si comporta come le tre scimmie: non dir nulla, non sentir nulla, non veder nulla. E tuttavia la Germania deve porsi questo problema e deve discuterne pubblicamente senza pregiudizi e senza paraocchi. Lo stato d’animo fondamentalmente pacifista ha in questo campo una parte decisiva. E tuttavia sarebbe poco intelligente, se una dirimente questione di sicurezza fosse diffamata pregiudizialmente come militaristica.
Al riguardo bisogna anche occuparsi delle decisioni passate su questi argomenti. Perché corresponsabile per l’attuale orrenda situazione della politica della sicurezza è anche l’abbandono del servizio militare. Ciò ha durevolmente indebolito il morale, l’ancoraggio politico-sociale e la capacità difensiva delle forze militari.
Per giunta il frettoloso abbandono dell’energia atomica dopo Fukushima ha portato con sé una conseguenza particolarmente fatale: La Germania con questo si è spensieratamente giocata nel mondo il suo ruolo esemplare come potenza atomica civile. Anche nel dibattito a favore o contro l’energia nucleare è necessaria una nuova apertura.

Un nuovo inizio nella politica della difesa
Riassumendo si può dire: La prevedibile perdita della deterrenza allargata attraverso la potenza nucleare americana, la mancanza di una deterrenza nucleare europea, il ruolo sempre meno significativo delle istituzioni comunitarie dell’Occidente, come la Nato e l’Unione Europea, ed una insufficiente cultura politica della difesa in Germania richiedono un nuovo inizio nella politica della difesa. E al riguardo si pone anche la questione centrale: a quali condizioni e con quali costi la potenza centrale dell’Europa potrebbe divenire una potenza atomica?
E tuttavia queste questioni dovrebbero essere discusse senza isteria. Si tratta molto seriamente di preoccupazioni di sicurezza di lungo periodo in un mondo sempre più indecifrabile e, in vista di egoismi nazionali che crescono, svanisce la solidarietà dell’alleanza. La Germania può occuparsi con successo della propria sicurezza, soltanto se rimane comunque fedele all’alleanza. Per questo deve collaborare in modo più risoluto e costruttivo di quanto abbia fatto fino ad ora alla pianificazione nucleare dell’alleanza. Detto in breve: la Germania deve proteggersi meglio dal punto di vista militare per essere in grado di dominare in modo convincente le crisi avvenire.
Christian Hacke
(Traduzione dal tedesco di Gianni Pardo)

Verteidigungspolitik – Falsches Hoffen auf die Zeit nach Trump
EIN GASTBEITRAG VON CHRISTIAN HACKE am 20. Juli 2018
Zuerst bei Cicero Online erschienen, jetzt bei Welt am Sonntag als Aufmacher: Der Debatten-Beitrag von Christian Hacke zu einer möglichen deutschen Atombombe hat eine Diskussion entfacht
Auf seiner Europareise hatte sich der amerikanische Präsident Donald Trump auf gewohnt undiplomatische Weise in Szene gesetzt: Gegenüber den Verbündeten gerierte er sich wie ein Schulmeister; aber gegenüber dem autoritären Wladimir Putin wirkte er wie ein Schuljunge. Damit stellt er die westliche und insbesondere die amerikanische Diplomatie auf den Kopf und verstört die Verbündeten mehr denn je.
Trumps Vorstellungen von Amerikas Rolle in der Welt sowie seine narzisstische Persönlichkeit machen es den traditionellen Freunden fast unmöglich, ihren Argumenten in Washington Gehör zu verschaffen. Dagegen reiben sich die gewieften Autokraten und Diktatoren schon seit Monaten die Hände, seit der amerikanische Präsident mit schlafwandlerischer Ahnungslosigkeit sie umwirbt: Kein Wunder, dass sie bei ihren Treffen mit Trump einen Erfolg nach dem anderen verbuchen können. Zudem verstehen sie es, dem Amerikaner zu schmeicheln ohne ihm jedoch sachlich entgegenzukommen:
– Chinas Staatschef Xi hält im Handelstreit mit den USA dank chinesischer Stärke und amerikanischer Schwäche weiter die Trümpfe in der Hand
– Nordkoreas Kim hat erst durch Trumps Naivität und Unberechenbarkeit internationales Prestige in Singapur erlangt. Nordkoreas Nuklearstatus könnte wegen seines Erfolgs zum Modell für andere Diktaturen in der Welt avancieren. 
– Wladimir Putin konnte in Helsinki seine diplomatische Isolation spektakulär überwinden. Ohne Zugeständnisse zu machen, gewann er an Prestige und ließ den amerikanischen Präsidenten schlecht aussehen.
Die EU als wirtschaftlicher Hauptkonkurrent
Trumps semi-autoritäre Attitüde und seine unverhohlene Kumpanei mit den Feinden der Demokratie verschärft die Frage, ob der Westen zu zerbrechen droht. Denn Präsident Trump begegnet den einstmals geschätzten Verbündeten mit unverhohlener Arroganz, ja er scheut nicht einmal davor zurück, sie öffentlich abzukanzeln.
So traf es bislang den kanadischen Regierungschef Justin Trudeau, die britische Premierministerin Theresa May oder die deutsche Bundeskanzlerin Angela Merkel. Wie lässt sich dieses Verhalten erklären?
In Trumps „America first“ gilt es, die alten Verbündeten zu schwächen oder gar zu spalten. So hofiert Trump unverhohlen die Rechtspopulisten in Europa, animiert sie zum Austritt aus der EU oder er sucht die EU ökonomisch durch seine Schutzzollpolitik unter Druck zu setzen.
Besonders die EU ist ihm ein Dorn im Auge. Trump fürchtet sie als Hauptkonkurrenten auf den internationalen Märkten. Weil Trump zentrale Werte und Interessen des Westens mit Füßen tritt, verspielt er die Rolle der USA als Führungsmacht des Westens. Weil er sich bei Diktatoren anbiedert, verschleudert er außerdem das Ansehen der USA als Weltordnungsmacht und gibt Einflusszonen preis, die zu bedenklichen Machtverschiebungen zuungunsten der freien Welt führen können. 
Lange Tradition der Isolierung
Ein Blick in die Geschichte, wie etwa in die Zeit zwischen den beiden Weltkriegen, zeigt, dass Isolationismus und Protektionismus uramerikanische Verhaltensweisen sind. Den liberalen Internationalismus der USA während des Kalten Krieges kann man so gesehen als Ausnahme verstehen. So gesehen knüpft Trump an populäre Traditionen an. Was er tut ist also nicht neu, aber revolutioniert die amerikanische Außenpolitik wie nie seit dem Zweiten Weltkrieg: Aus Freunden werden Gegner, während den Feinden der Demokratie der rote Teppich ausgerollt wird. Trump repräsentiert folglich ein Amerika, das schon immer da war, das wir Europäer und besonders wir Deutsche aber bislang nicht gekannt und dessen Geschichte wir geflissentlich verdrängt haben.
Wir beobachten also derzeit in Amerika ein Aufeinanderprallen von zwei politischen Kulturen: Das uns bekannte und lieb gewonnene liberale und internationale Amerika liegt im Streit mit der materialistischen, selbstgerechten und protektionistischen Variante. Ein Tag am amerikanischen Fernsehbildschirm vermittelt den Eindruck, als ob es zwei Amerikas gäbe, die miteinander nichts zu tun haben wollten. Gegenwärtig scheint das isolationistische Amerika in Staat und Gesellschaft zu dominieren.
Der deutsche Sonderstatus ist vorbei
Besonders hart trifft dieser inneramerikanische Kulturbruch die Verbündeten, insbesondere Deutschland. War die Bundesrepublik mehr als sechzig Jahre lang der bevorzugte europäische Verbündete, so nimmt sie heute einen Sonderstatus ein: Sie gilt als Trumps Intimfeind Nummer eins. Diese Volte in der amerikanischen Deutschlandpolitik ist in der modernen Geschichte beispiellos. Auch deshalb macht Deutschland einen geschockten Eindruck. Vielerorts will man diese Degradierung und Bloßstellung einfach nicht wahr haben.
Entsprechend wütend fällt das Trump-Bashing in Deutschland aus. Aber ist das klug? Die Bundeskanzlerin pariert die Ausfälle von Trump souverän. Aber ansonsten lamentiert Deutschhland, anstatt sich selbstkritisch zu fragen: Wo könnte Trump vielleicht sogar Recht haben? Wo sollte man ihm folgen? Man konzentriert sich hingegen nur darauf, wo und wie man ihn kritisieren oder gar auch lächerlich machen kann.
Der deutsche Trittbrettfahrer
Manche gutmeinenden Idealisten vergessen dabei aber, dass moralisierende Arroganz kein Ersatz für kluge Politik ist. Zudem sitzen die USA im Streit auf fast allen Ebenen am längeren Hebel. Deutschland braucht die USA zur Wahrung seiner Sicherheit und seiner übrigen Interessen mehr als umgekehrt. Außerdem hat der amerikanische Präsident Recht wenn er beklagt, dass sich Deutschland jahrzehntelang sicherheitspolitisch bequem eingerichtet hat. Deutschland hat von der amerikanischen Sicherheitsgarantie einseitig profitiert und wird deshalb in den USA – nicht nur von Trump – als undankbarer Trittbrettfahrer gesehen, der sich außerdem oft versagte, wenn militärische Solidarität gefordert war. 
Die Kritik an Deutschland konzentriert sich jedoch nicht nur auf den unzureichenden Verteidigungsbeitrag im Rahmen der Nato. Noch bedenklicher stimmt der katastrophale Zustand der Bundeswehr: Nichts fliegt, nichts schwimmt und nichts läuft in der Truppe. Diese Armee scheint nicht verteidigungsfähig. Reformen bleiben halbherzig. Leider dominiert öffentliches Desinteresse in der Verteidigungspolitik. Folglich mangelt es an einem anspruchsvollen sicherheitspolitischen Diskurs in Staat und Gesellschaft.
Trügerisches Hoffen auf die Post-Trump-Ära
Die meisten in Berlin denken und handeln nach der Devise „Augen zu und durch“ und hoffen auf bessere Zeiten nach Trump. Doch diese Rechnung könnte sich als trügerisch erweisen. Trump verändert das politische Klima in den USA nachhaltiger zu seinen Gunsten, als den Europäern bewusst ist. Seine Außenpolitik stößt zunehmend auf Zustimmung. Seine populistische Diplomatie nach dem simplen und irreführenden Strickmuster „Freundschaft mit den mächtigen Autoritären und Distanz zu den unnützen Verbündeten“ findet in den USA mehr Zuspruch als die Europäer vermuten. Die Amerikaner sind erschöpft nach 17 Jahren erfolglosem Anti-Terror-Krieg. Weil sie spüren, dass Trump lieber heute als morgen sich militärisch aus der Welt zurückziehen würde, scheint – trotz aller charakterlichen Mängel – seine Popularität ungebrochen.
Diese Sichtweise geht aber im oft einseitigen Trump-Bashing in Deutschland unter. Auch sicherheitspolitische Konsequenzen für Deutschland werden nur einseitig erörtert. So kritisiert der deutsche Außenminister den amerikanischen Präsidenten öffentlich, plädiert für Nichtweiterverbreitung von Atomwaffen oder gar für Global Zero und für Abzug amerikanischer Nuklearwaffen aus Deutschland. Glaubt denn jemand im Ernst, dass mit dieser amerikakritischen Politik in Washington die Bereitschaft gestärkt wird, für Deutschlands Sicherheit einzustehen? Vielmehr ist zu befürchten, dass dieser Nuklear-Eskapismus die ohnehin geschmolzene Bereitschaft der USA für eine erweiterte nukleare Abschreckungsgarantie noch mehr ausdünnt.
Denken in militärstrategischen Kategorien
Was sollte, was muss getan werden, damit Verbündete wie Deutschland wieder als verteidigungswürdige Alliierte angesehen werden? Berlin muss den USA dort entgegenkommen, wo es notwendig erscheint. So etwa sollte Berlin seine Verteidigungsausgaben, wie seit Jahren abgesprochen, endlich erhöhen. Halbherzige Ansätze deuten sich in Berlin ja schon an. Aber Deutschland muss mehr tun. Es muss die Qualität seine Streitkräfte verbessern bzw. modernisieren. Aber auch das reicht nicht aus: Deutschland muss eine anspruchsvolle sicherheitspolitische Kultur entwickeln und im Bündnis entsprechend aktiv werden.
Derzeit gibt es drei Alternativen
In Hinblick auf seine Soft-Power-Qualitäten agiert Deutschland vorbildlich. Aber in Berlin fehlt der Wille und die Fähigkeit, in militärstrategischen Kategorien zu denken oder zu handeln. Geopolitische Ansätze, etwa zur Sicherung seiner handelspolitischen Interessen, die angesichts neuer Herausforderungen dringlich wären, fehlen. Eine nationale Verteidigungspolitik, die sich auf das Bündnis stützt, sich aber nicht hinter Bündnisgemeinsamkeiten versteckt, fehlt völlig. In dieser ernsten sicherheitspolitischen Lage bieten sich für Deutschland drei Alternativen an:
1. Weiter wie bisher
Berlin wurschelt weiter wie bisher und hofft auf bessere Zeiten nach Trump. Doch mit dieser Einstellung wird die amerikanische Abschreckungsgarantie von Tag zu Tag unglaubwürdiger. Die jüngsten Äußerungen von Präsident Trump mit Blick auf das Nato-Mitglied Montenegro bestärken die Zweifel, dass die USA noch für die Sicherheit der europäischen Verbündeten voll einstehen werden. Gerade Deutschland als neues Feindbild von Präsident Trump kann wohl kaum noch auf amerikanischen Beistand rechnen. Das zwingt zu radikalen Neuüberlegungen:
2. Nukleare Zusammenarbeit 
Eine europäische Nukleargarantie könnte zum Ersatz der schwindende amerikanischen Abschreckung werden. Sie wird seit Monaten in Berlin ins Gespräch gebracht und von vielen als brauchbare Alternative angesehen. Deutschland könnte dieses Projekt dadurch unterstützen, dass es sich bereit erklärt französische und/oder britische Nuklearwaffenprogramme mitzufinanzieren, wenn sich die beiden Mächte im Gegenzug bereit erklären, für Deutschlands Sicherheit mit einer erweiterten nuklearen Abschreckungsgarantie zu bürgen. Dazu könnten oder müssten auch französische oder britische Nuklearwaffen in Deutschland stationiert werden.
Doch Zweifel sind angebracht. Nach wie vor gilt in Frankreich de Gaulle’s Maxime: „Nukleare Gewalt ist schlecht zu teilen“. In Großbritannien denkt man ähnlich. Europa wartet nun schon seit 70 Jahren vergeblich auf eine gemeinsame Verteidigungspolitik. Sie wird auch in Zukunft wegen der unterschiedlichen nationalen Interessen illusorisch bleiben. Weder Frankreich noch Großbritannien ist geneigt, zusätzlich mit seinen nationalen Atomstreitkräfte Deutschlands Sicherheit zu garantieren. Ein französischer oder britischer Nuklearschirm, der für Deutschlands Sicherheit sorgt, ist also eine höchst fragwürdige Alternative. Folglich verstärkt sich auch mit Blick auf die europäische Abschreckungsvariante der Eindruck: Berlin neigt zur Flucht in Illusionen.
3. Atommacht Deutschland
Wenn also die amerikanische Nukleargarantie zweifelhaft geworden ist und vermutlich auch keine europäische Abschreckungsvariante realisierbar erscheint, dann wird der Blick auf den Elefant im Raum unvermeidlich: Wie halten wir es mit einer potenziellen Atommacht Deutschland?
Es gibt viele und gute Gründe, dass in der Vergangenheit Deutschland bewusst auf Massenvernichtungswaffen verzichtet hat. Doch alle vertraglichen, moralischen und politischen Verpflichtungen können, ja müssten im Lichte neuer Entwicklungen und Erkenntnisse überprüft werden. Die krisenhafte Entwicklung der vergangenen Jahre in den USA, im Bündnis und in der Welt zwingen die Verantwortlichen dazu. Dazu gehört auch die Überlegung, ob und unter welchen Bedingungen Deutschland Atommacht werden könnte, um seine eigene Sicherheit und die des Bündnisses zu stärken.
Die Debatte ist kaum möglich
Leider ist aus Gründen der Political Correctness, wegen fehlender Zivilcourage und mangelhafter militärstrategischer Überlegungen diese Frage in Deutschland bislang total verdrängt worden. Stattdessen verhält man sich in Bezug auf diese Frage wie die drei Affen: nichts sagen, nichts hören, nichts sehen. Doch Deutschland muss sich dieser Frage stellen und sie öffentlich ohne Vorbehalte und Scheuklappen diskutieren. Die pazifistische Grundstimmung spielt dabei eine entscheidende Rolle. Doch es wäre unklug, wenn brisante Sicherheitsfragen von vornherein als militaristisch diffamiert werden.
Hinzu kommt, dass auch vergangene Entscheidungen in diese Erörterungen miteinbezogen werden müssen. Denn mitverantwortlich für die derzeitige sicherheitspolitische Misere ist etwa die Aussetzung der Wehrpflicht. Sie hat Moral, gesellschaftspolitische Verankerung und Verteidigungsfähigkeit der Streitkräfte nachhaltig geschwächt.
Zusätzlich hat der überstürzte Ausstieg aus der Atomenergie nach Fukushima eine besonders fatale Konsequenzen nach sich gezogen: Deutschland hat dadurch seine Vorbildrolle als zivile Atommacht in der Welt leichtfertig verspielt. Auch die Debatte über Pro und Contra der Nuklearenergie bedarf der Neueröffnung.
Verteidigungspolitischer Neubeginn
Zusammengefasst lässt sich sagen: Der absehbare Verlust der erweiterten Abschreckung durch die Nuklearmacht USA, das Fehlen einer europäischen Nuklearabschreckung, die schwindende Bedeutung der westlichen Gemeinschaftsinstitutionen wie Nato und EU und eine mangelhafte verteidigungspolitische Kultur in Deutschland erfordern einen verteidigungspolitischen Neubeginn. Dabei geht es auch um die zentrale Frage: Unter welchen Bedingungen und zu welchen Kosten könnte die Zentralmacht Europas Atommacht werden?
Doch sollten diese Fragen ohne Hysterie erörtert werden. Es geht vielmehr um langfristige Sicherheitsvorsorge in einer zunehmend unübersichtlichen Welt, angesichts wachsender nationaler Egoismen schwindet die Bündnissolidarität. Deutschland kann aber nur dann erfolgreich für seine eigene Sicherheit sorgen, wenn es unter allen Umständen bündnisfähig bleibt. Es muss deshalb entschiedener und konstruktiver als bisher an der nuklearen Planung des Bündnisses mitwirken. Kurz und gut: Deutschland muss sich militärisch besser wappnen, um künftige Krisen souverän meistern zu können.

ultima modifica: 2018-08-03T11:50:40+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “

  1. Sì, ma mi viene una domanda: Francia, UK o in particolare Germania (oggetto principale dell’articolo), “potenza atomica” in contrapposizione a chi? Alla Russia, alla Cina, all’Iran? Decisioni di questo genere devono essere giustificate e motivate: metto un’alta recinzione elettrificata attorno alla mia proprietà perché temo che i cani e i figli del vicino facciano sfacelli nel mio giardino. Ma il vicino ha cani e figli? E il cane è un dobermann o un bassotto beneducato? E i figli del vicino sono teppistelli o studenti di violino al Conservatorio? Hanno mai invaso la proprietà o mostrato segni ostili di misura tale da giustificare la cosa? Mi pare che le problematiche di tensione degli ultimi 20-30 anni non abbiano mai mostrato la necessità di una deterrenza nucleare, che è di natura offensiva e certo non semplicemente difensiva. Certo, avere una politica di difesa comune sarebbe indispensabile per l’Europa, in prudente previsione di “turbolenze” in M.O. (guardato da Israele e USA, peraltro) e nordafrica. Ma non vedo a connessione implicita con la “potenza nucleare”.
    Certo, i contenuti dell’ “America First” ormai li conosciamo, seppur attuati in modo variabile e contingente: Trump e gli USA si stanno rendendo conto di non essere più “al centro del mondo”, anche semplicemnete guardando al deficit pubblico, e la cosa “gli rode”. Trent’anni fa, in un prestigioso convegno economico internazionale, nel mio gruppo di lavoro i partecipanti indiano, di Taiwan e malese elaborarono un documento in cui esprimevano i timori asiatici per la “tigre europea”, che secondo loro avrebbe soffocato lo sviluppo di quella parte di mondo. Roba da ridere, con gli occhi di oggi.Di Trump, ormai conosciamo anche la strategia negoziale; assomiglia molto agli atteggiamenti – molto spettacolari e intimidatori – dei campioni di wrestling: sport (meglio, spettacolo) molto amato dagli americani. Ai quali né noi né gli asiatici siamo abituati, tanto da non riuscire a stargli alla pari: ed è questa la sua “arma vincente”, che piace ai wrestler del resto del mondo salvo beccarsi poi loro gli sganassoni.
    In conclusione, l’articolo non mi pare un gran che. Altre e ben più penetranti dovrebbero essere le analisi e le strategie proposte.

  2. Contesto innanzi tutto l’affermazione che l’arma atomica sia necessariamente offensiva. Nell’articolo del resto si parla ripetutamente di deterrenza, non di conquiste.
    In secondo luogo lei sembra dimenticare che la necessità di un armamento può avere tempi largamente inferiori a quelli richiesti da un riarmo.
    Non prenderei sottogamba Hacke, ma tutte le opinioni sono lecite.

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