DI MAIO IL CHIMICO

Il 27 settembre il governo dovrà presentare il Documento di Economia e Finanza, il testo che dovrebbe precisare che cosa intende fare, e con quali fondi. I competenti – uno per tutti, Carlo Cottarelli – si sgolano da mesi a spiegare che, per tutto ciò che M5S e Lega hanno promesso, non ci sono i soldi. Ma – l’abbiamo visto – per Di Maio la soluzione è semplice. Basta sforare il tetto del 3% del bilancio e i soldi si trovano. Anche se Tria ha precisato: “Sempre che ci sia qualcuno disposto a prestarci quei soldi”. Ma, si sa, è un vecchio brontolone.
Personalmente, in politica non soffro di “moralite”. In questo campo, che una cosa sia morale o immorale, se funziona, è positiva. Il forte può contrarre un debito e alla scadenza può dire: “Non ti pago”. Ciò posto, se Di Maio e Salvini fossero in grado di fare ciò che dicono, seppure comportandosi in modo scorretto, non ci sarebbe nulla da dire. Il punto è: stanno lottando contro la febbre o contro il termometro che la misura? Di Maio assume pose gladiatorie e dice che lui non si lascia intimidire né dalle agenzie di rating né da Bruxelles. Lui sta con gli italiani, e certo non li pugnalerà alle spalle per fare piacere a quei signori. Applausi e – perché no? – alalà.
Ma dinanzi a tali affermazioni, a ventitré giorni dalla pubblicazione del Def, c’è da rimanere sgomenti. E si ritorna col pensiero ad “Alì il chimico”, quel sodale di Saddam Hussein che parlava di vittorie dell’esercito irakeno mentre i carri armati americani erano già nei sobborghi di Baghdad. A questo punto i casi sono due: o Di Maio fra tre settimane si rimangerà la quasi totalità delle cose che ha detto in questi giorni, o dobbiamo dubitare abbia un’idea del significato delle cose che ha detto e delle loro conseguenze.
A rischio di essere pedagogici, riprendiamo la cosa sin dal principio. È possibile spendere il denaro che non si ha? Certamente sì, se qualcuno ce lo presta. Ma certamente no, se nessuno è disposto a prestarcelo. Chi parla di spendere in deficit afferma dunque, implicitamente, di essere sicuro che troverà chi gli aprirà quel credito. E che ragione ha di esserlo? Di fatto in tanto lo troverà, in quanto abbia la fama di qualcuno che paga i suoi debiti. E questa fama non dipende né dalla sua buona volontà, né dalla sua simpatia e nemmeno dalla sua onestà (falliscono anche le persone oneste) ma soltanto dalla sua solidità economica. Se, al momento in cui dovrà restituire il prestito, quel denaro non l’avrà, il creditore rimarrà con un palmo di naso. Ecco perché chiunque si appresti a prestare denaro si chiede: “Belli gli interessi, ma mi restituirà il capitale?” E se la risposta è no, il prestito non viene concesso. Chiamatela serietà, credibilità, affidabilità, una cosa è certa: perfino il truffatore, se vuole riuscire nell’impresa, deve apparire affidabile.
L’Italia ha un debito che corrisponde a circa 140.000€ per una famiglia di quattro persone e, almeno per i prossimi venti o trent’anni, di restituire duemilatrecento miliardi non se ne parla. Gli investitori sperano che l’Italia continui a pagare gli interessi e, se proprio deve fallire, che lo faccia dopo che essi personalmente hanno recuperato il loro denaro. Intanto continueranno a comprare i nostri titoli, in quanto l’Italia mostri la buona volontà di cominciare a restituire il proprio immenso debito, non di contrarre ulteriori debiti.
Se arriva Di Maio e afferma che lui non teme nessuno, che lui certo non pugnalerà i suoi connazionali alle spalle soltanto perché Fitch dice che l’Italia è meno affidabile di prima, ed anzi che, pur di rilanciare il Paese, sforerà il limite del 3% di deficit, la credibilità dell’Italia non aumenterà certo. Il giovanotto non si accorge che il debito è la febbre e le agenzie di rating sono soltanto gli indicatori di questa febbre. E che utilità si consegue, per la salute del malato, se si rompe il termometro? Gli investitori si rivolgono a Fitch, S&P e Moody’s appunto per sapere se gli conviene comprare i Btp, e le agenzie, se vogliono conservare i loro clienti, hanno tutto l’interesse a dire la verità. La verità è il prodotto che vendono.
Se noi italiani mettiamo a rischio l’euro, l’Unione potrebbe buttarci fuori dall’eurozona e lo stesso avverrà se i mercati si allarmeranno seriamente e non compreranno i nostri titoli all’asta mensile. Non è uno scherzo. Una singola asta mensile che andasse deserta, o facesse schizzare i nostri interessi fino ad un delta di 700 o 800 punti di spread con i titoli tedeschi, potrebbe essere la catastrofe. Di Maio forse non lo sa, ma noi rimborsiamo i titoli in scadenza col denaro che otteniamo dagli investitori. Esattamente con quelle aste. E proprio perché gli investitori si fidano sempre meno, il nostro spread ha già raggiunto e superato quota 290. Già per questo pagheremo interessi più alti per quattro o cinque miliardi.
Ma già, a che cosa sarebbe servito cercare di convincere “Alì il chimico” fornendogli un binocolo, per vedere i carri armati americani? Avrebbe detto che sì, l’avevano avvertito, lì avrebbero girato un film.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
4 settembre 2018

DI MAIO IL CHIMICOultima modifica: 2018-09-04T07:53:03+02:00da gianni.pardo
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