QUEL REPROBO DI PITAGORA


Troppe parole, troppi proclami, troppe variabili. Troppa caciara, si direbbe, se questo non volesse essere un serio articolo di politica. E alla fine, non sapendo che pensare, si imbocca la scorciatoia della noia e si parla d’altro. Andrà come andrà. L’unica cosa sicura è che il conto sarà presentato a noi.
Ed è proprio questo il problema. Diamo per scontato che nessuno, lassù, ci vuole male. Luigi Di Maio e Matteo Salvini ci vogliono inondare di regali, neanche fosse già Natale; Giovanni Tria, Ignazio Visco e i funzionari della Ragioneria Generale dello Stato – questi ultimi tecnicamente “pezzi di merda” – all’unisono cercano di evitarci guai anche maggiori di quelli che già abbiamo. Ma quale di queste tenere sollecitudini ci costerà più cara?
Se la banale logica dei conti avrà la meglio, gli ottimisti – quelli che già avevano aperto la bocca per addentare il cannolo – saranno molto delusi. Mentre i pessimisti, gli eroi dello stiff upper lip vittoriano, cioè della capacità di soffrire con dignità, sarebbero già contenti se gli si appesantisse il peso che già portano sulle spalle. O se non gli si facessero sparire i pochi spiccioli che hanno in tasca.
Questi dubbi abitano la mente dell’uomo della strada e sarebbe normale che costui, per chiarirseli, si rivolgesse ai competenti. Purtroppo, questa soluzione è obsoleta. L’articolo uno della religione che ha preso il potere recita che i competenti non sono più competenti, e che anzi gli incompetenti, con la semplicità di Bertoldo, hanno il dovere di non arretrare nemmeno di fronte alla quadratura del cerchio. E comunque, per diffidare dei competenti, basta dire che, oggi come oggi, essi sembrano tutti iscritti al club dei pessimisti. E dunque sono contro il popolo, come quelli che vogliono imporre i vaccini.
Non avremmo mai immaginato che la Tavola Pitagorica fosse reazionaria. Un tempo nessuno lo sapeva e infatti la stampavano sul retro dei quaderni, in modo che qualunque pargolo potesse consultarla con un gesto. La povera creatura non poteva immaginare che era stata scritta dall’élite – anzi, dalla casta dei bramini – per servire i suoi sporchi interessi.
Del resto, il verbo “moltiplicare” non è forse un parente stretto dell’interesse composto? Chi investe una certa somma in Borsa spera che essa si moltiplichi, a spese dei poveracci. La moltiplicazione è immorale. Far di calcolo è immorale. Forse perfino rallentare in curva, è immorale.
Perché lasciarsi impressionare da quattro numeretti in colonna? I pessimisti non si rendono conto che si oppongono al rilancio dell’economia e al riscatto del popolo. I loro sono ragionamenti da nemici del popolo. Dovrebbero imparare che chi rallenta in curva rallenta il progresso. Che chi non fa debiti dimostra di non avere coraggio e si destina da sé alla povertà. Mentre chi spende denaro altrui realizza l’ideale dell’economia – della vera economia, quella in favore del popolo – perché ottiene il massimo risultato col minimo sforzo.
In conclusione, io non posso aiutarvi a uscire da questi dubbi. Non so dirvi chi vi offrirà il meglio o, almeno, il conto meno salato. Per giunta, rileggendo queste righe ho avuto l’impressione – che spero falsa – di non aver sbagliato nemmeno un congiuntivo, e questo forse significa che faccio parte dell’élite. Della casta. E che ho scritto tutto quello che ho scritto per ingannarvi. In combutta con la Tavola Pitagorica.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
23 settembre 2018

QUEL REPROBO DI PITAGORAultima modifica: 2018-09-23T14:20:23+02:00da gianni.pardo
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