IO, UN ERBIVORO

Della notizia mi basta il titolo sul “Corriere”: “Milano, botte e ricatti alle medie: ragazzino costretto a rubare per «pagare» il bullo”. Molta gente si chiederà come una cosa simile possa avvenire. Come mai un minorenne, o dei minorenni, possano essere così carogne con un loro simile. E invece hanno torto di stupirsi.
Nel bambino piccolo l’empatia è pressoché nulla. Né molto più grande è quella del selvaggio, con buona pace di Jean-Jacques Rousseau. Gli indiani d’America avevano l’abitudine di uccidere i prigionieri con la tortura o usandoli come bersagli per i bambini che dovevano allenarsi con l’arco e le frecce. L’empatia è una conquista dell’adulto e soprattutto dell’uomo civile. Ma, per l’appunto, il bambino non è né un adulto né un uomo civile.
Quanto ai ragazzi, in loro c’è ancora molta parte di natura umana spontanea. Spesso, o perché provenienti da famiglie e ambienti violenti (per non dire criminali) o perché già affetti da patologie mentali, si comportano da asociali. Fanno le cose peggiori senza rimorsi. E se si riuniscono in bande non è tanto per il piacere dello stare insieme (la “togetherness” degli anglosassoni) quanto perché il numero aumenta la loro forza. Così, quando incontrano l’individuo più debole e isolato, sono felici di dimostrare a sé stessi la loro potenza essendo prevaricatori, e sostanzialmente criminali. Del resto si giustificano col disprezzo per le loro vittime. Maltrattandole gli insegnano quasi a “stare al mondo”, a comprendere che sono nate per essere degli schiavi. Che devono rispetto ai loro padroni.
Del resto in questo modo sono ancora più buoni dei nazisti che, per disprezzo, le loro vittime addirittura le ammazzavano. Empatia? E che avevano in comune quegli ebrei deboli e inermi con una gioventù bene armata, ben nutrita, ariana, e naturalmente superiore? Il termine “Untermenschen”, “sottouomini”, usato per gli ebrei, non è un caso. In esso risiede tutta la giustificazione della Shoah. Il massacro non era sterminio, Massenmord, omicidio di massa: era puramente e semplicemente una disinfestazione.
Ma questa pagina non tende a rivangare la storia, vorrebbe piuttosto manifestare la più violenta insofferenza verso i luoghi comuni riguardanti i minorenni. Bisognerebbe smetterla una buona volta col considerare i bambini degli angioletti. Mi raccontava una maestra d’asilo che un piccolo ne aveva aggredito un altro tanto violentemente, che lei era riuscita a stento a sottrargli la sua vittima. E quando gli aveva chiesto: “Ma che volevi fare, lo volevi ammazzare?”, il piccolo aveva risposto serenamente: “Sì. Ma non ce l’ho fatta”. Forse è stato Sigmund Freud a dire che il bambino non ha superego ed ha il subconscio allo scoperto. A quell’età non si ha idea di che cosa sia la morale e men che meno di che cosa sia l’empatia.
Anche i ragazzi non sono del tutto educati alla socialità. Si sa che il gioco è un allenamento per la vita, e ne tradisce gli stilemi. Già i gattini giocano ad acchiappare ciò che sfugge, perché è in quel modo che un giorno si procacceranno il cibo. I ragazzi, analogamente, mimano a dodici anni la lotta per conquistare la posizione di animale alpha. Tiranneggiare i più deboli serve proprio a questo: a trionfare nella competizione, in un mondo mentale in cui gli esseri si dividono ancora in prede e predatori. Questa tendenza è così corrente da doverla considerare normale, anche se per fortuna di solito non si spinge ai livelli di cui parlano i giornali.
Naturalmente ci sono anche ragazzi che, non che essere criminali in erba, sono fin troppo gentili e sensibili. E proprio per questo le famiglie, la scuola, la società dovrebbero essere sempre pronte a intervenire al più presto per difendere chi ha tendenza a comportarsi da adulto civile. Dovrebbero insegnare ai bulli, nel modo più risoluto, che nella società contemporanea non siamo più all’età della pietra. In essa non c’è posto per gente come loro, se non cambiano comportamento.
Ma per far questo tutte le figure genitoriali dovrebbero innanzi tutto imparare qual è la vera natura dell’uomo. O, almeno, qual è la natura dell’uomo prima che la società civile lo domi. Dovrebbero essere preparati all’idea che non tutti i ragazzi sono “bravi ragazzi”. E smettere di considerare fatti eccezionali quelli di cui parlano i giornali. Anche senza arrivare alle grevi violazioni del codice penale di cui parlano i giornali, la violenza e la prevaricazione, fra ragazzi, è la regola. Sarebbe bene tenerne conto.
Ciò che qui racconto nasce dall’esperienza. Da ragazzo non sapevo fare a pugni, e in fondo non ci avevo mai provato. Soprattutto perché non sopportavo l’idea di fare fisicamente male ad un coetaneo. Fra l’altro spesso, a parte la voglia dell’altro di lanciare una sfida, non c’era nemmeno ragione di battersi. Così, non avendo altra difesa, ho passato la mia giovane vita a scappare. Come un erbivoro.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
6 dicembre 2018

IO, UN ERBIVOROultima modifica: 2018-12-06T12:31:59+01:00da gianni.pardo
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7 pensieri su “IO, UN ERBIVORO

  1. Secondo la sua teoria (che potrebbe essere anche mia in quanto condivido le osservazioni e lo sviluppo del discorso) i bulli sono la parte sana dell’ umanita’ mentre i sottomessi hanno dei problemi psicosomatici e di pesonalita’ e si chiamano fuori dalla competizione per tramandare i geni.

    Quindi la gestione dei bulli dovrebbe essere fatta con lo strumento dei “quattro sani scapaccioni”, perche’ la personalita’ venga si’ conservata, ma frustrata dal fatto di essere surclassati dall’ adulto. Surclassandone la forza, lo si condurra’ a scoprire la necessita’ di trovare il valore della convivenza civile ed estendere l’ empatia gia’ scoperta in famiglia al gruppo, comunita’, villaggio,patria. (hanno una ancestrale empatia con la madre nutrice e si disperano se orde di barbari gli dissacrano la madre. su questo puo’ essere costruita l’ empatia con altri simili.)

    In questa epoca deficiamo molto di modelli e quindi essere surclassati in forza senza un opportuno consiglio, si porta qualcuno ad attendere il momento in cui potersi riscattare in forza e “rendere indietro gli scapaccioni con interessi”.

    Inoltre i bulli sono deplorati in questa societa’ moderna perche’ e’ divenuto prevalente il tipo “impiegato”, debole e in altre epoche non adatto alla riproduzione. Quindi oggi i deboli hanno stirpe e i vigorosi, non solo di fisico, ma anche di personalita’, vengono spezzati.

    Concludo dicendo che io non sono mai stato un bullo, mai coinvolto in risse ne’ da giovane ne’ da adulto (necessario chiarirlo). Le spalle larghe mi hanno reso poco interessante per i bulli coetanei ed i piu’ grandi non trovavano onorevole confrontarsi con uno piu’ piccolo. Non volevo quindi fare una ode ai bulli, ma solo seguire la logica del suo discorso in un altro modo.

  2. Caro Roberto,
    penso siamo fondamentalmente d’accordo. Io non direi che i bulli siano, oggi, la parte primigenia e sana della razza, penso piuttosto che siano la parte in ritardo sullo sviluppo della società umana. Infatti, anche secondo Lei, oggi dal loro atteggiamento essi risultano svantaggiati. L’aggressività vincente è quella dell’avvocato. I sottomessi, come li chiama lei, se divengono magistrati, poliziotti, professori ecc, ai bulli fanno vedere i sorci verdi. E infatti io che da bambino scappavo, da grande ne ho date molto più che prese.
    Ma lo stesso ho sempre preferito l’amicizia, l’accordo, e al limite il compromesso, che lo scontro.
    G.P.

  3. A questo punto mi fate ritornare in mente i ricordi della fanciullezza, quelli che avevo sepolto da anni nelle latebre dello stomaco. E come in un racconto di Ray Bradbury, di colpo rivedo i miei persecutori. Li avevo dimenticati, o avevo cercato di farlo. Ma ora eccoli, quello che mi piscio’ addosso nel bagno della scuola, quello che mi mise in bocca delle pagine di giornale appallottolate. Io ero il piu’ giovane della classe, lo sono sempre stato per aver cominciato la prima elementare a 5 anni invece che a 6. Infatti mi diplomai a 17 anni. E quindi ero sempre piu’ piccolo e piu’ debole dei miei compagni, e avevo gli occhiali spessi, a causa di una forte miopia. E ho sofferto un bel po’ in quegli anni, e oggi e’ la prima volta che ne parlo. Una catarsi.

    L’ avventura della giovinezza forse non e’ mai stata rappresentata meglio che ne “I ragazzi della via Pal” (Molnar), romanzo in cui tutti i ruoli ( i bulli, le vittime, i coraggiosi, i codardi, i leaders) vengono raffigurati. Ho sempre amato quel romanzo, probabilmente per averlo (in parte) vissuto.

    Per fortuna poi si cresce, si cambia, e magari diventiamo bulli a nostra volta. Magari senza rendercene conto. Ma i fantasmi del passato sono sempre li’. In quella piega dello stomaco.

  4. Prof. “mannaggia a capa vostra” che articolo.Prima i figli si “curavano”,oggi si fanno come si fà una bollinatura su un documento. Di “Franti” all’epoca ce ne stavano pochi e venivano evitati. Ero “nù piezz e guaglione” ma dall’animo pacifico, questo mi ha evitato di essere vegano, perchè loro non lo sapevano. Saluti Prof.

  5. Comunque i bulli dovrebbero stare attenti ai piccoletti che sembrano inoffensivi. A volte la frustrazione rende il minimo morso velenoso.
    Io, da piccoletto, ho dovuto poi frenare più la mia aggressività che la viltà. Ma sono programmaticamente pacifico, e in qualche caso mi ha fatto fesso, ma proprio fesso, il mio il senso di sicurezza. “No, non credo che mi stia attaccando. Non oserebbe”. E invece quello osava eccome.

  6. L’idea che i bambini siano per natura buoni va di pari con l’idea che il lasciarli liberi, senza imporre loro disciplina, regole e punizioni, li renderà dei cittadini perfetti. È il tragico errore dei nostri tempi. Questa mentalità educativa di sinistra produce infatti gente che non ha il senso del dovere, che è indisciplinata, e spesso anche frustrata e disadattata.

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