L’ICONOCLASTIA DELLE BUSSOLE

Il Titanic è andato a fondo nel 1912. Più di cent’anni fa. E tuttavia nessuno dimentica quel naufragio. Sia per la qualità della nave, sia per il numero di vittime, sia soprattutto per l’indicibile tragedia di centinaia di persone che sapevano di dover morire di freddo, nelle acque gelide dell’Atlantico, fra non molto tempo. E che sapevano di non poter far nulla per salvarsi.
Quegli sfortunati non avevano nemmeno con chi prendersela. Non con il capitano, innocente. Non con i fabbricanti del transatlantico che, con ragione, l’avevano dichiarato inaffondabile, e che non potevano immaginare una lama di coltello che ne avrebbe squarciato per lungo la fiancata, annientando tutte le loro previsioni. Né potevano essere colpevoli gli scienziati per non avere ancora inventato il radar, un congegno, forse l’unico, che avrebbe realmente potuto evitare quel disastro. Il Titanic è rimasto impresso nelle menti di tutti come icona della tragedia che si vive ineluttabilmente. Ad occhi aperti, in tutto il suo orrore, e senza riuscire a sfuggirle.
Qualcosa di simile sembra stia avvenendo in Europa. Una sorta di crollo contemporaneo di regole, valori, linee guida. Come si fossero guastate tutte le bussole. Un esempio l’abbiamo in Spagna col caos politico, e l’assurdo indipendentismo catalano, alimentato dall’eccessiva tolleranza precedente. Un altro esempio lo abbiamo dove meno ce lo saremmo aspettato, in quella Gran Bretagna che per secoli è stata maestra di pragmatismo e di democrazia, e che oggi sembra aver perso il primo e dimenticata la seconda.
Ma ancora peggio del Regno Unito siamo messi noi italiani perché, mentre la nave inglese va senza meta incontro al mare aperto, noi nella nebbia intravvediamo già l’iceberg. E non per questo il capitano cambia rotta. Fra l’altro abbiamo scoperto con terrore che non c’è un capitano. Siamo tutti passeggeri e ognuno cerca di salvarsi ricavando dalla situazione la massima utilità personale, senza rendersi conto che la massima utilità la ricaverebbe dalla massima utilità comune. Ma questo non c’è modo di spiegarlo. Le stesse parole sembrano incartarsi in un ironico mulinello del vento.
E allora per rendere chiaro il concetto scendiamo sul concreto. All’interno del governo la lite è ogni giorno più conclamata. Prima molti hanno creduto che fra i due partiti lo scontro fosse una sceneggiata o un gioco delle parti, magari in vista delle elezioni europee. Ora aumenta sempre più il numero di coloro che credono si sia arrivati alla vera zuffa, in cui non sono nemmeno sclusi i colpi sotto la cintura. E molti si chiedono per quanto tempo ancora il governo potrà sapravvivere.E tuttavia la domanda più angosciosa è un’altra. Se cade il governo, chi, e con chi, governerà l’Italia? Chi firmerà la prossima “legge di stabilità”, e che contenuto avrà? Come reagiranno le autorità europee, le Borse, e soprattutto gli italiani? I nostri politici si battono per avere il miglior titolo sui giornali di domani, e sembrano non accorgersi dell’enorme problema dei prossimi mesi.
Forse tutto ciò dipende, in Italia come in Europa, da una epocale crisi di valori. Il pensatore più dichiaratamente irreligioso dell’Occidente, Voltaire, era politicamente favorevole alla religione. Ovviamente non credeva all’azione di Dio nella vita umana, e considerava la fede un’aberrazione dello spirito, ma era contento che il popolo, oltre a temere il gendarme, cioè la forza dello Stato, temesse anche il “gendarme interno”, instillato nella sua coscienza dal timor di Dio. La religione era un cumulo di falsità, e tuttavia una regola per il popolo. Poi l’Illuminismo ha quasi annichilito la fede ma Jean-Jacques Rolusseau è riuscito a farla sopravvivere trasformandola nel referente sentimentale di un indistinto buonismo, una “forma della sensibilità”. Così l’ha disancorata dalla dottrina (un po’ come fa ai nostri tempi Papa Francesco) ed ha tolto all’uomo la bussola . Insomma Nietzsche ha finalmente avuto ragione: Dio è morto e con lui anche il gendarme interno.
L’uomo si è sentito libero, ma anche privo di guida. E questo è stato soltanto l’inizio. Imboccata la china iconoclasta, l’umanità occidentale ha cominciato a distruggere non soltanto gli altari, ma la democrazia rappresentativa; l’autorità dei maggiorenti; l’autorevolezza dei tecnici e perfino la scienza. Nella sua furia oggi non risparmia nulla, trova sia meritorio distruggere tutto, perfino una scuola seria, perfino la lingua italiana, perfino la buona educazione. Siamo alla contestazione per la contestazione. Ciò che prima aveva valore deve essere distrutto perché ha il torto di essere ancora vivo. E da questo l’anarchia, il caos, la spaventosa ignoranza anche dei cosiddetti laureati. L’Italia merita a pieno titolo la definizione di nave senza nocchiero in gran tempesta. Con quel che segue.
Ognuno si comporta come se non avesse la responsabilità di nulla. Come se il pane che mangiamo e la libertà di cui godiamo dovessero esserci assicurati non si sa da chi. Siamo come dei bambini piccoli in braccio a papà, lui ci sostiene e noi gli diamo calci, ché tanto certo non ci lascerà cadere. Perniciosa illusione. Anche i transatlantici inaffondabili possono finire in fondo all’oceano.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

L’ICONOCLASTIA DELLE BUSSOLEultima modifica: 2019-04-07T08:00:41+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo