NON SI DOVEVA CONDANNARE A MORTE MUSSOLINI

Sono contro la condanna a morte di Luigi XVI, di Mussolini, di Ceausescu e forse persino di Stalin. E poiché questa affermazione mi avrebbe fatto balzare sulla sedia, se l’avesse formulata un altro, devo spiegarmi compiutamente.
Il paradigma del delitto gravissimo è certamente l’omicidio. Questa azione è condannata sia dalla morale sia dalla legge penale. E tuttavia né la morale né il codice penale si applicano ai governanti. Infatti la loro funzione ne prescinde. Ogni volta che da un lato c’è la morale o il diritto, e dall’altro l’interesse della nazione, è quest’ultimo che deve prevalere.
Il dittatore decaduto potrà essere processato – ed anche condannato a morte, se questo la legge prevede – soltanto per un delitto privato. Per esempio, se avrà ucciso o fatto uccidere la propria moglie, perché questa azione non ha nulla a che vedere con la sua azione di governo. Se invece avrà fatto uccidere tutti gli assediati di una cittadina, non dovrà essere condannato, se appena è plausibile l’ipotesi che l’abbia fatto nell’interesse dello Stato. Nell’antichità i vincitori a volte si spingevano fino a far uccidere non soltanto donne e bambini, ma anche i cani e i cavalli.
È questa la distinzione che va fatta. Nell’antichità la crudeltà nei confronti dei vinti aveva anche uno scopo deterrente. Si avvertivano tutti gli altri nemici di quanto fosse pericoloso opporsi ad una certa potenza. E quando questa crudeltà era deprecata, non era per motivi morali, ma per motivi tecnici. Sostiene Tucidide (forse per bocca di uno dei tanti ambasciatori) che, se l’assediante è noto per la sua crudeltà, ciò potrà ritorcersi contro di lui. Infatti i difensori di una città si batteranno fino alla morte, ché tanto non hanno alternativa, e ciò renderà più cara e difficile la vittoria.
La distinzione è fra la responsabilità dell’individuo e quella del Capo di Stato. L’individuo risponde alla morale e al codice penale, il Capo di Stato soltanto al bene della nazione. Se Hitler fosse morto prima di attaccare la Russia, sarebbe stato ricordato come un grande della storia tedesca. I suoi errori, le sue azioni immorali, persino il programma di sterminio contenuto in Mein Kampf, sarebbero stati ignorati con un’alzata di spalle. Si sarebbe badato al fatto che, al costo di soli due anni di guerra, aveva lasciato un Terzo Reich immenso. Quasi l’Europa unificata sotto il dominio di Berlino. Mein Kampf? Si scrivono tante cose, che poi rimangono sulla carta.
Ecco perché è stato assolutamente ridicolo, al processo di Norimberga, accusare i gerarchi nazisti di “guerra d’aggressione”. A parte il fatto che è spesso molto difficile distinguere una guerra d’aggressione da una guerra difensiva, tutti i grandi e celebrati conquistatori hanno condotto guerre d’aggressione. E allora bisognerebbe processare Alessandro Magno, Cesare, Attila, Gengis Khan, i Conquistadores, Napoleone? In realtà, a tutti costoro sono stati alzati solenni monumenti.
Nel momento della sconfitta dell’uomo di Stato bisogna distinguere le azioni – per quanto deprecabili – intese all’interesse della sua nazione, da quelle che rispondevano soltanto al suo cinico interesse personale. Soprattutto nell’antichità, nel corso di una guerra poteva avere un senso ordinare la morte di mille prigionieri. Al contrario far uccidere l’amante della moglie è sempre un crimine. E il dittatore, assolto per un massacro, potrebbe avere l’ergastolo per un singolo omicidio.
Ecco perché è inescusabile il modo come sono stati fatti morire Mussolini e Ceausescu, mentre si doveva condannare a morte Saddam Hussein non per aver “gasato” migliaia di curdi, ma per aver fatto assassinare a tradimento i suoi due generi. La prima fu un’orrenda azione di guerra, la seconda una violazione del codice penale irakeno. Analogamente avrei condannato a pesanti pene tutti i gerarchi nazisti che si resero responsabili di atti contrari al codice penale tedesco, mentre avrei dovuto assolverli per le rappresaglie contro la popolazione civile, dopo gli attentati all’esercito tedesco. E in effetti, persino nel delirio antinazista dell’Italia appena uscita dal fascismo, per le Fosse Ardeatine i nazisti sono stati condannati non per i trecento innocenti trucidati, ma per i sette in più rispetto a quelli previsti dalle leggi di guerra.
Concludo col sentimento che sottende questa tesi. Suscitano un profondo orrore le atrocità della guerra, ma fa anche orrore la spietatezza nei confronti del vinto. Non si dovrebbero mai considerare condannabili le azioni che avrebbero potuto essere utili alla sua nazione. Per questo giustifico – anche se mi costa farlo – il proditorio attacco giapponese di Pearl Harbour, nel 1941, dal momento che l’intenzione era quella di assicurarsi in un sol colpo la supremazia navale nel Pacifico. E poi giustifico le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, se quello era il modo di vincere in un sol colpo la guerra, risparmiando centinaia di migliaia di vite.
La storia non è per palati fini. Chiunque sia scandalizzato da questo testo si abbia le mie scuse, ma accolga anche l’invito a continuare – come ha sempre fatto – a non leggere libri di storia.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
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19 dicembre 2019
Colgo l’occasione per augurare Buon Natale a tutti

NON SI DOVEVA CONDANNARE A MORTE MUSSOLINIultima modifica: 2019-12-19T17:38:10+01:00da gianni.pardo
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8 pensieri su “NON SI DOVEVA CONDANNARE A MORTE MUSSOLINI

  1. Il caso delle Fosse Ardeatine che ha richiamato è paradossale: nel 1948, a ferite aperte, fu condannato il solo Kappler (e nessuno dei suoi subalterni) e solo per le cinque vittime in più. Nulla a che vedere con la follia della vicenda Priebke, subalterno di Kappler, decenni e decenni dopo.
    Ma in Germania è anche peggio, dato che qualche anno fa hanno condannato per complicità nello sterminio uno che aveva il ruolo di contabile nel campo e che è deceduto poco prima di entrare in prigione all’età di 95 anni.
    Viviamo in un’epoca di presunta superiorità morale nella quale la tendenza è di giudicare ogni cosa col metro di giudizio e gli occhi di oggi, mentre in realtà la superiorità è più che altro nell’ignoranza e nella superficialità.

  2. ” Non si dovrebbero mai considerare condannabili le azioni che avrebbero potuto essere utili alla sua nazione.”
    Chi giudica e con quali parametri cosa è utile ad una nazione ? E ciò che è utile è sempre da non condannare a prescindere dalle sue modalità di esecuzione ?
    Io non lo credo. Se Roland Freisler fosse stato chiamato a giudicare se era utile alla Germania lo sterminio degli ebrei, quel giudice criminale non solo avrebbe risposto che lo era, ma avrebbe dato una medaglia a coloro che lo idearono e lo eseguirono. Se nel giudicare determinate azioni il criterio prevalente è quello dell’utilità, tanto vale abolire la categoria “crimini di guerra ” perché anche un crimine potrebbe risultare utile. Il massacro di Katyn è stato utile a Stalin ? Probabilmente lo è stato, ma la sua utilità lo ha reso lecito ? No, rimane sempre un crimine di guerra. La sola differenza tra crimini commessi dai vinti e crimini commessi dai vincitori riguarda la loro punibilità. Nel primo caso è certa, anche se qualcuno riesce sempre a farla franca, nel secondo caso è certa la non punibilità, almeno a livello di governo e degli alti gradi dell’esercito.

  3. Si potrebbe concludere che un concetto dicotomico di giusto/sbagliato non si applica. Le azioni di guerra si giustificano da sole, come il predatore ha “diritto” di predare e la preda ha “diritto” di sfuggirgli. Se tutto e’ giusto, niente e’ giusto, nel senso che il riferimento e’ mancante.

    Ad esempio: Il massacro della famiglia dello ZAR da parte dei bolscevichi si puo’ connotare come giusto/sbagliato (o ingiusto)? Dato che ne e’ conseguito un cambio sistemico, senza nessun ingombrante portatore di titolo ereditario al trono di Russia, il potere degli ZAR e’ divenuto storia passata (eventuali ritorni sarebbero nuove dinastie). quindi, pur con tutta la pieta’ del mondo, i bolscevichi hanno ottenuto cio’ che volevano e cio’ io non mi sento di classificare ne’ giusto ne’ sbagliato (io avrei avuto pieta’, ma e’ cosa del tutto gratuita). E’ atto predatorio, ma se si fanno rivoluzioni e’ normale che si mettano in discussione i titoli dell’ altra fazione. Il discorso e’ quindi un po’ ozioso: I vincitori inscenano processi in cui si applicano leggi a cui gli inputati non erano soggetti, ma i vincitori potevano anche portarli dal boia senza passare per questa sceneggiata. Rimane solo l’ ipocrisia di dire che sia fatta giustizia (quella e’ un’ altra cosa).

  4. Parole sagge e tristi. Ma lo stesso passerei per le armi coloro che hanno sterminato la famiglia Romanoff. “Avete fatto la cosa giusta, forse la cosa più utile per la Russia, ed io ne approfitterò. Ma non voi. Voi siete degli assassini e dovete morire”.
    Anche perché la ragion di Stato non si estende ai caporali.
    Fra l’altro – ma ovviamente ciò che dico è opinabile – se un’istituzione non ha ancora fatto il suo tempo, come la monarchia in Francia, non basta assassinare Luigi XVI, e infatti s’è avuta la Restaurazione. Ma lo stesso la monarchia era storicamente finita, e si è visto dal seguito. La stessa monarchia inglese è sopravvissuta rinunciando a governare e trasformandosi in una reliquia.

  5. Io su questo la penso come Montanelli.
    Un Mussolini che fosse rimasto in vita e fosse stato processato, avrebbe spaccato in due ancora di più il paese più di quanto poi effettivamente è accaduto, perchè la sua epopea, che fu anche negativa, sarebbe stata messa sotto processo a tutto tondo e sarebbero emerse anche le luci del fascismo, che pure vi furono.
    Invece la sua morte, in tal senso, non si può dire che chiuse la questione ma quantomeno costrinse gli italiani ad un accenno di voltapagina.
    Certo, poi naturalmente anche io mi indigno di fronte a schifezze come Piazzale Loreto, su cui l’opinione negativa anche di Montanelli fu netta.

  6. “L’interesse degli Alleati per i diari nascondeva intenzioni politiche non confessabili. Gli americani volevano Mussolini vivo. Già allora pensavano a qualcosa, che poi si concretizzò nel processo di Norimberga, e progettavano di portare anche il Duce alla sbarra, senza preoccuparsi di cosa avrebbe potuto dire… Invece gli inglesi, che formalmente perseguivano gli stessi interessi degli americani, Mussolini a Norimberga non ce lo volevano proprio. Avrebbe potuto creare loro dei grandi imbarazzi. Nella famosa borsa -difensiva- che aveva con sé al momento della cattura, aveva raccolto, non per caso, una scelta ragionata del suo carteggio con Wiston Churchill…. Fu molto facile per gli inglesi evitare – specie essendo nel frattempo morto Roosevelt – che gli americani mettessero le mani sul Duce. Fecero tutto i partigiani. Ma fu un agente dei servizi segreti inglesi, italiano di origine, che li esortò a fare presto, a chiudere in fretta la partita Mussolini. Come dire: -Guardate che se arrivano gli Alleati in tempo utile, ve lo scippano, come vuole l’armistizio-”. (Renzo De Felice, “Rosso e Nero”, a cura di Pasquale Chessa, Baldini e Castoldi, 1995, pp. 144-145).
    Una versione che sembra confermare quella data da Bruno Giovanni Lonati autore del libro “Quel 28 aprile. Mussolini e Claretta: la verità”, edito da Mursia nel 1994 , nella quale sostiene di aver ucciso lui Mussolini assieme ad un agente inglese di nome John. Walter Audisio arrivò quando Mussolini e la Petacci erano già stati uccisi da alcune ore.

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