LA MUSICA NON È EGUALITARIA

La musica è essenzialmente arte. E in questo è unica. La letteratura per esempio non è essenzialmente arte. Un romanzo vale per le emozioni estetiche che suscita, per come è scritto, ma anche per le idee che contiene. Al punto che si è potuto parlare di Bildungsroman, romanzo formativo, educativo. Cosa che certo non potrebbe fare una pura emozione.
La letteratura partecipa sia dell’arte sia del pensiero e combina la forma artistica col contenuto intellettuale. Al punto da poter giudicare le due cose separatamente: il tale romanzo contiene ottime riflessioni, ma è scritto in modo pedestre, oppure è scritto in modo mirabile ma in fin dei conti non dice niente. Nel romanzo perfetto (“Madame Bovary”) sono da applaudire sia la forma sia il contenuto, mentre per “Mastro Don Gesualdo” l’arte è immensa ma la lingua scelta è peggio che discutibile, infarcita com’è di inutili sicilianismi. In questo campo l’interferenza fra arte e contenuto è notevolissima.
Il balletto vale per l’eroica eleganza dei gesti, ma esiste sempre una trama. Nessun balletto va esente da un titolo e da un tema. Vuole sempre “dire” qualcosa, seppure con il linguaggio del corpo. Né dal tema si può prescindere nella pittura o nella scultura. Infatti, quando la pittura si è allontanata da un soggetto identificabile, ed è divenuta astratta, è anche divenuta incomprensibile per il grande pubblico. Ed è morta.
In questo la musica si distingue da tutte le arti: non ha argomento e non può averlo. La musica descrittiva – penso a Debussy, penso a Respighi – di descrittivo ha solo il titolo, perfettamente arbitrario. Certo esistono differenze, certe musiche sono veloci ed altre lente, alcune carezzevoli ed altre aggressive, ma il messaggio rimane vago e a volte contraddittorio. Un adagio può essere vissuto come triste fino alle lacrime o dolce fino all’estasi, secondo lo stato d’animo dell’ascoltatore. Nella musica c’è soltanto la forma.
Ma questo non impedisce le contaminazioni e si può coniugare musica e contenuto, per esempio nella canzone. E fra parole e musica ci può essere uno squilibrio, come in letteratura: una canzone può avere parole sublimi e musica brutta, o viceversa. E comunque le parole rimangono secondarie, se è vero che tanti amano le canzoni americane, pur senza capire una parola.
Ma il limite di questa forma d’arte popolare tanto in voga è che essa rimane sostanzialmente una monodia, come agli inizi della musica. Dunque è primitiva, e rimarrà sempre un genere minore, in confronto alla complessità, alla ricchezza, alla varietà di timbri e di risultati che può offrire una composizione per orchestra. La canzone sta alla quinta sinfonia di Caikovskij come una barzelletta sta a “Delitto e Castigo” di Dostoëvskij.
Riguardo alla coniugazione di musica e parlato, il massimo tentativo si è avuto , col melodramma. Purtroppo i testi delle opere sono spesso banali, popolari, pesantemente romantici e in sostanza deplorevoli. Gli appassionati ne declamano cantando passaggi come se fossero epici, degni dei poemi di Omero, e in realtà nella maggior parte dei casi sono ridicoli. al punto che “melodrammatico” è divenuto un aggettivo irreparabilmente negativo.
Per esistere e trionfare la musica non ha bisogno delle parole. Quanto più la si ama, tanto meno si desidera essere infastiditi da qualche messaggio che non sia la musica stessa. Anche ad ammettere che si sia disposti a compiangere Violetta, non ci si può commuovere sulla sua sorte per tutta la vita.
Solo la musica resiste a infiniti ascolti. Tutti abbiamo ascoltato infite volte, e continueremo ad ascoltare, i “Brandeburghesi” di Bach. E per questo si avrebbe la tentazione di dire a Giacomino Puccini: “Queste melodie della Bohème sono straordinarie. Perché non le usi per una sinfonia, o anche per due o tre sinfonie, visto che sei così ricco?” Ma questo è un discorso da incompetenti. Quasi tutti sono capaci di trovare un motivetto per una canzone, o un’aria d’opera, mentre scrivere una bella sinfonia è un altro paio di maniche. E infatti in questo campo non ci sono novità di rilievo dai tempi di Mahler.
Tra una melodia e una sinfonia corre la stessa differenza che c’è tra il titolo di un romanzo e lo stesso romanzo. Musorgskij ha scritto i “Quadri di un’esposizione” per pianoforte (e già non è facile) ma è Ravel che, orchestrando quel testo , ha creato l’opera più acclamata. Scrivere per orchestra – cioè per il massimo della musica – è talmente difficile che raramente si hanno contemporaneamente, come nel grande Beethoven, grandissime capacità melodiche e grandissime capacità di orchestrazione. Perfino uno straordinario genio della melodia come Schubert ha scritto orchestrazioni elementari, mentre legioni di autori capacissimi di ottime orchestrazioni, ma non ispirati in campo melodico, sono rimasti oscuri.
L’ascolto della musica, protratto per innumerevoli decenni, conduce ad una sorta di sfrondamento del di più, dell’inutile, e per dirla tutta del cattivo gusto da cui tanta musica è afflitta. La gente si stupisce della venerazione che i competenti hanno per Bach e non comprende che, mentre Giuseppe Verdi rappresenta un progresso rispetto alla canzone, Bach rappresenta la musica in sé, quella che non ha bisogno di null’altro che di sé stessa. Quella che dà il massimo del godimento astratto e non inquinato. Con lui non si piange su qualcuno, non si gioisce con nessuno e non si è innamorati di nessuno. O, più esattamente, si è innamorati della musica. Come avviene con il dio della musica, Mozart, o con Brahms, e con gli altri giganti. Naturalmente non si dice che qualunque pezzo di costoro sia un capolavoro – neanche Mozart ha composto soltanto capolavori – ma le opere mirabili sono tante che si può passare la vita a immergersi nell’oro che ci hanno lasciato Settecento e Ottocento.
Per ascendere a questa orgia di piacere si richiede un orecchio che naturalmente ama la musica (alcuni è come se fossero sordi) e poi un ascolto di ore, ogni giorno, fino a fare di questo miracolo la colonna sonora della propria esistenza. Quanto ai rumori che si sentono in giro, e che tanti chiamano musica, ci si sente come gastronomi cui sia offerto del pane raffermo con sopra olive ammuffite.
L’amante della grande musica non fa apostolato. Fra stucchi e ori si rimpinza di straordinarie leccornie mentre gli altri, in giardino, si saziano di junk food. A ognuno quello che può capire, e che dunque merita.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
18 maggio 2020

LA MUSICA NON È EGUALITARIAultima modifica: 2020-05-19T10:18:24+02:00da gianni.pardo
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