LA DESERTIFICAZIONE INTELLETTUALE

La rassegna stampa è un pianto. La pubblicistica tutt’intera è un pianto. Sono settimane, mesi, anni che gli editorialisti si arrampicano sugli specchi per dire qualcosa di interessante, qualcosa di intelligente, qualcosa che faccia intravvedere il futuro. Siamo alla desertificazione intellettuale.
Anni fa Fukuyama commise l’errore, se errore fu, di pensare che il mondo fosse arrivato alla sua sistemazione finale, dopo la quale non c’era futuro: i vincitori erano la democrazia, il libero mercato, e una società filistea contenta della sua prosperità. Oggi si riproduce la stessa situazione, ma col segno meno davanti. Tutto appare negativo e non si riesce ad immaginare come se ne uscirà. Forse i pessimisti hanno torto, quando prospettano un disastro mondiale, dopo il quale bisognerà ripartire da zero. Ma gli ottimisti sono in grado di presentare un quadro diverso?
Per questo è lecito parlare di desertificazione intellettuale. Un tempo Marx immaginò che la società liberale avrebbe avuto la sua crisi finale, per essere poi ereditata dal proletariato e dalla sua dittatura. Per avviarsi infine verso uno stadio di felicità collettiva, e mai errore fu più pernicioso per chi è stato costretto a farne l’esperienza concreta. Ma ciò non impedì che molti infelici, a quei tempi, abbiano creduto di avere in mano la soluzione per i mali della società. Oggi invece nessuno sa che cosa contrapporre alla possibile convulsione finale del sistema.
I governi navigano a vista. E non soltanto quello dell’insulso e inutile Giuseppe Conte: un po’ tutti, in Europa, colpiti al cuore dal Covid-19, non sanno come sfuggire al dilemma se morire di virus o di fame. E da noi tutto è aggravato da un’ottimistica e oltraggiosa demagogia. Una dirigenza incompetente ci ha ripetuto fino alla noia che tutto sarebbe finito bene, che nessuno sarebbe stato lasciato solo, che nessuno sarebbe rimasto indietro. E così per qualche mese (con denaro preso a prestito) sono stati elargiti sussidi come se lo Stato potesse fare a meno della produzione di ricchezza, prima di distribuirla. E come se questa soluzione potesse durare più di qualche mese.
Per esempio il blocco dei licenziamenti non può fermare le lancette dell’orologio. Ed infatti oggi nessuno ci dice come si farà quando, appena fra un paio di mesi, ci sarà un diluvio di licenziamenti. Il dilemma è evidente: se si costringono le imprese a non licenziare, falliscono; se le sovvenziona indefinitamente lo Stato, fallisce lo Stato. Da noi pare che nessuno abbia capito che il pane si fa col grano, cresciuto sulla terra, non sulla carta in cui sono scritte le leggi. E mentre sprecava il denaro pubblico, il governo non si è nemmeno preparato adeguatamente ad un ritorno in forze del virus, non soltanto possibile ma previsto.
Naturalmente ci sono le persone preoccupate del bene comune, sensibili e riflessive, che dagli schermi televisivi ci propongono la necessità di contemperare le esigenze economiche e le esigenze sanitarie. Che auspicano una ripresa che rammendi la tela dei nostri bilanci. Insomma che si possa salvare l’economia senza sacrificare la salute dei lavoratori, che si possano riprendere le attività culturali e ricreative, che tutto si colori di rosa e bla e bla e bla. Questi dispensatori di saggezza potrebbero aggiungere che sarebbe bello, avendo speso tutto il denaro che si aveva, ritrovarlo intatto in cassaforte. Insomma, rinverdendo il vecchio sogno, avere la botte piena e la moglie ubriaca. Anzi, tanto ubriaca da essere in buoni rapporti con la nostra amante e da votare per i “grillini”.
Ma questa critica dopo tutto lascia il tempo che trova, perché questa matassa forse non ha un bandolo. Non è che si possa dire: “Avete sbagliato perché avete fatto questo e avreste dovuto fare quello”. Le difficoltà appaiono insormontabili anche per cervelli meglio attrezzati di quelli che si incontrano a Roma. Il Covid-19 ha ripreso forza, attaccando un Paese che si era illuso di poterlo archiviare, e ci ha riportati brutalmente al punto di partenza. Con i palloncini delle illusioni che scoppiano ad uno ad uno.
Per mesi ci hanno parlato di 219 miliardi in imminente arrivo dall’Europa – in regalo – tanto che il problema sembrava essere quello di come spenderli. Ora a poco a poco bisognerà rendersi conto che i miliardi, sempre che il piano italiano sia accettato in Europa (e nessuno lo garantisce) cominceranno ad arrivare a metà del prossimo anno. E non saranno 219 ma forse venticinque o giù di lì, perché il piano sarà attuato, se lo sarà, nell’arco di cinque anni. Il problema non è come spendere la famosa “montagna di soldi”, ma come riuscire a sopravvivere fino all’estate prossima.
Forse il silenzio di tutti i giornali su queste prospettive è comprensibile. Se si conosce la soluzione di una situazione drammatica, si ha voglia di gridarla da mane a sera, nella speranza di vederla adottare. Ma se la situazione è disperata, a che scopo denunciarla? Soltanto per il piacere di essere profeti di sventure?
Insomma, ci stiamo comportando con la crisi come con la prospettiva di dover un giorno morire. Nessun pensiero ci è più scomodo ma, dal momento che non possiamo far nulla per risolvere il problema, l’unica soluzione è escluderlo dall’orizzonte. Come se questo ci rendesse immortali.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
12 ottobre 2020

LA DESERTIFICAZIONE INTELLETTUALEultima modifica: 2020-10-21T14:05:29+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “LA DESERTIFICAZIONE INTELLETTUALE

  1. Vede, Pardo, il Suo problema è che non capisce che “non sarà più come prima”, come quel mondo brutto che ha dato origine alla pandemia (che nasce, per esempio, anche dal fatto che mangiamo troppa carne; o forse troppi gelati? boh, non ricordo, comunque roba del genere) . “Dopo” sarà tutto diverso. E come mai, in che modo? Semplice: le ricette ci sono già tutte pronte: per il cibo, l’energia, i rifiuti, i conflitti tra nazioni, la distribuzione della ricchezza e della felicità. Sono state tutte codificate in miriadi di laboratori (si chiamano think-tank, ci lavorano persone serissime, che tra le altre cose hanno scoperto il moto perpetuo) e applicate in stra-miriadi di “esperienze”, una specie di “provette sociali”. dove hanno funzionato benissimo. Se in una settimana (facciamo, un mese) si applicano, spalmandole bene, sull’intero globo terracqueo, non solo ricresceranno i capelli, ma i risultati saranno così immediati, evidenti, stratosferici, che non potrà arrestarsi la corsa alla loro adozione da parte di TUTTI i popoli della Terra, e forse anche di qualche altro pianeta. Ci provi, caro Pardo: per esempio, domani, invece di nutrirsi di bistecca, si nutra di insetti. Dopodomani il Suo intero condominio La seguirà. Il giorno dopo tutto il quartiere, il giorno dopo ancora tutta la città e così via. Nel giro di due settimane tutto il mondo sarà libero degli allevamenti inquinanti che rubano suolo agricolo. E questo per solo una delle ricette. Immagini lo stesso per tutte le altre, innumerevoli, prodotte dalle think-tanks. Nulla sarà più come prima! Un nuovo Eden! In un mese (facciamo due).

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