RIFLESSIONI SUL CREDITO

I debiti sono un modo di evitare i problemi attuali, aumentando un po’ quelli del futuro, in un momento che si spera più favorevole. Il calcolo in tanto è valido in quanto, effettivamente, in futuro le cose vadano meglio e si ripaghi capitale e interessi. Diversamente, i debiti corrispondono a spazzare la polvere sotto il tappeto. Con l’ovvio limite delle dimensioni del tappeto e della quantità di spazzatura.
Sono dunque una soluzione, ma una soluzione che non può essere adottata all’infinito. E tuttavia ci sono coloro, e non sono pochi, per i quali almeno i debiti pubblici “non si pagano mai”. Assurdo? Può darsi. Ma bisogna pur dimostrare perché quell’affermazione è un’assurdità, mentre gli ottimisti potrebbero cominciare col dirci che nessuno Stato può essere obbligato a pagare i suoi debiti. E in questo c’è del vero. Ma non è tutto.
Cominciamo dalla situazione dei privati. Immaginiamo che un signore abbia la dabbenaggine di prestare soldi a un nullatenente. Se costui alla scadenza non paga, può perfino irridere il suo creditore e nessuno può fargli nulla. La società attuale ha abolito la prigione per debiti, e ciò significa che è generosa con le cicale e spietata con le formiche. È vero, la libertà personale è un bene troppo grande per essere intaccato da una mera inadempienza monetaria, ma il risultato sarà che nessuno farà credito agli onesti nullatenenti, e questi pagheranno per la disinvoltura dei disonesti.
Quando si indebita lo Stato, la prima cosa da notare è che la sua situazione è simile a quella del nullatenente, nel senso che l’obbligo giuridico della restituzione è puramente teorico. I debiti dello Stato sono simili alle “obbligazioni naturali”, su cui bisogna spendere qualche parola.
Lo Stato sostiene la pretesa del creditore quando la reputa meritevole di protezione, perché moralmente giustificata e perché utile alla normale vita sociale: in questi casi attua l’esecuzione forzata. Se invece un uomo fa un bonifico di cento euro a una prostituta e poi costei non si presenti ad adempiere la prestazione, lo Stato non impone alla donna di restituire il denaro. Perché non ha nessun interesse alla vita sessuale del single e non protegge i contratti contra bonos mores. Infatti simmetricamente non sostiene le ragioni della prostituta se fornisce la sua prestazione a credito e poi il cliente non la paga.
Il debito dello Stato somiglia fin troppo alle obbligazioni naturali perché, se esso non restituisce la somma, non c’è a chi ricorrere. E allora come mai tanta gente acquista titoli pubblici? La risposta è che gli Stati in tanto possono ottenere finanziamenti dai privati in quanto la gente abbia fiducia in loro. Dunque nel mondo del credito la fiducia è un elemento essenziale ed i governi fanno di tutto perché non venga meno. Non per ragioni morali, intendiamoci. Se potessero, sarebbero felici di depredare i risparmiatori. Il fatto è che la perdita della fiducia ha un costo altissimo. Se si pensa che uno Stato non manterrà gli impegni, nessuno gli farà credito e i detentori dei suoi titoli faranno di tutto per sbarazzarsene, cosicché ne faranno crollare il valore in borsa. La conseguenza può essere perfino il fallimento del Paese.
Gli italiani non hanno mai vissuto il fallimento della nazione e per questo ne parlano distrattamente, come di un’ipotesi fantascientifica. E infatti molti credono che si possano far debiti all’infinito. Forse ignorano che la sterminata Russia sovietica, quella il cui impero andava dalla linea Oder-Neisse al Pacifico, non ha mai visto il suo rublo quotato in Borsa. Quel Paese, già ai tempi dello zar, è stato considerato bugiardo e inaffidabile e, col comunismo, perfino sbruffone. Infatti pretendeva la parità del rublo col dollaro, che sarebbe come dire la parità fra una Trabant e una Rolls Royce. Del resto, per quanto ne so, nemmeno oggi che è in democrazia, il suo rublo è accettato nei mercati internazionali. Vicerversa esistono Paesi minuscoli ma affidabili che hanno visto da sempre il loro denaro accettato e quotato in Borsa, come l’Olanda o la Svizzera.
I Paesi “a bassa fiducia” possono commerciare con l’estero mediante giganteschi baratti, pagando in dollari o in oro. Niente credito. E se sono arrivati alla cessazione dei pagamenti, cioè al fallimento, come l’Argentina, l’hanno pagata tanto cara che nessuno mai vorrebbe ripetere la loro esperienza. Ecco perché la fiducia è qualcosa che tutti gli Stati hanno a cuore. Partecipando all’eurozona, malgrado il suo malgoverno e il suo marasma senile, la piccola Italia è trattata come un Paese serio. Ma è bene che non giochi col fuoco.
Esiste uno schema virtuoso del debito. Un operatore economico ha un momento di difficoltà ma sa di poterlo superare; oppure ha un grande progetto di sviluppo, ma non ha i capitali per realizzarlo: e contrae debiti. Se tutto vasecondo le sue speranze, il credito è un istituto benedetto. Se invece quell’operatore si invischia nella spirale dei debiti crescenti, il finale non può che essere drammatico.
La stessa cosa vale per gli Stati, anche se qui la scala è immensamente più grande. E al riguardo non bisogna farsi illusioni. Non è vero che certi organismi sono “too big to fail”. Non solo sono spariti i dinosauri, ma è fallita anche la Lehman Brothers. E l’Argentina. E il Libano. E tanti altri Paesi.
È vero che quando il debitore è grosso i creditori (nel proprio interesse) fanno di tutto per salvarlo; ma nel momento in cui pensano che questo salvataggio sia costoso e rischioso, lo lasciano cadere senza la minima esitazione. Il cattivo debitore, quali che siano le sue dimensioni, deve stare attento al problema della fiducia. Il mondo dell’economia non conosce la pietà.
L’atteggiamento dei Paesi sviluppati nei confronti del credito è sbagliato. Tutti dimenticano che l’intervento della politica e dei governi nell’economia è normalmente devastante. E invece circola la convinzione che per gli Stati far debiti costituisca una normale e sana politica. “Lo fanno tutti, non può essere sbagliato o pericoloso”. Esattamente come nel dopoguerra, quando tutti fumavano, si irrideva chi additava il pericolo del cancro.
Un esempio di questa follia collettiva l’abbiamo sotto gli occhi. Per anni tutti si sono lanciati a lodare l’Unione Europea, la Banca Centrale Europea e in particolare Mario Draghi per essere riusciti a tenere bassissimi i tassi di interesse. E non è facile dare torto a questo giudizio. Basti pensare che il nostro debito pubblico, fino a non molto tempo fa (ora è aumentato) era di circa 2.400 miliardi di euro, e l’Italia pagava circa sessanta/settanta miliardi di interessi l’anno. Stabilita la proporzione 65:2.400=x:100, ne risulta che l’Italia in media paga per il suo debito un interesse del 3,69% l’anno. Basterebbe che l’interesse (lasciando giocare liberamente il mercato) salisse al 7%, per raddoppiare il “servizio del debito”, pagando circa centotrenta miliardi di interessi l’anno. Una mazzata. E allora viva Draghi.
Purtroppo l’economia è una divinità che non tollera interferenze. Agli interventi effettuati con le migliori intenzioni non raramente reagisce con tremenda severità. Che cosa significano gli interessi bassi? Gli economisti di regime risponderanno che si dà alle imprese la possibilità di ottenere finanziamenti a basso costo, in modo da rilanciare l’economia. E allora come va che essa non è stata affatto rilanciata e in l’Italia ristagna addirittura da tempo immemorabile?
È vero, la banca potrebbe concedere mutui a basso interesse, ma se poi la società fallisce e non restituisce il capitale, la perdita non cambia certo col cambiare dell’interesse. Dunque l’istituto di credito è in primo luogo interessato alla solvibilità del debitore. Se questa viene messa in dubbio, tanto vale comprare titoli pubblici. Almeno, finché lo Stato non fallisce, la restituzione è sicura.
Il risultato di tutto questo è che le imprese hanno difficoltà ad ottenere capitali e i cittadini non vedono remunerato il loro risparmio. Mentre se lo Stato si fosse fatto gli affari suoi, i tassi d’interesse sarebbero più alti, i cittadini guadagnerebbero di più e, piuttosto che dare denaro allo Stato che offre interessi ridicoli, le banche lo darebbero alle imprese. Magari rischiando un po’ di più di oggi, ma gli alti interessi compensano il rischio. L’attuale “bonanza” dei bassi interessi è una delle cause della crisi economica.
Tutto questo i Paesi indebitati lo sanno benissimo. Ma sapere come stanno le cose è un conto, trarne le dovute conseguenze un altro conto. Essi sono coscienti di essere sostanzialmente insolventi; di non potere rimborsare il debito; di avere persino difficoltà a pagare gli interessi sul debito attuale e tuttavia, cedendo alle esigenze della loro stessa demagogia, continuano a dilatare il loro debito pubblico. E per questo i bassi tassi d’interesse rimangono essenziali.
L’Europa è un bluff. In primo luogo non ha capitali propri, dunque può soprattutto regalare parole, e non molto altro. In secondo luogo, se l’unico Stato con problemi finanziari fosse l’Italia, si potrebbe comprendere che gli altri Stati l’aiutino, pur di non far crollare l’euro. Ma non è così. In primo luogo, l’Italia è lungi dall’essere l’unico Paese con un debito stratosferico: la Francia per esempio ci segue da presso. In secondo luogo, nessuno Stato è mai disposto a pagare i debiti altrui. Nella realtà, come si dice, “ognuno muore solo”.
In conclusione, la tranquillità con cui gli italiani trattano la loro situazione finanziaria, e si sentono al sicuro perché protetti dall’Unione Europea, potrebbe indurre al sorriso. Se soltanto una simile situazione lasciasse ancora spazio al sorriso. Il giorno in cui qualcuno griderà “Al fuoco!”, anche se il fuoco non fosse scoppiato, scoppierebbe in quel momento.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
20 ottobre 2020

RIFLESSIONI SUL CREDITOultima modifica: 2020-10-23T11:52:57+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “RIFLESSIONI SUL CREDITO

  1. Errore di lettura. Ho scritto tutto attaccato – 65:2.400=x:100 e così ho letto 65.2 : 400 = x : 100. Ed è andato tutto a pallino. L’interesse medio che l’Italia paga sul suo debito pubblico non è del 3,69% ma (65 per 100 diviso 2,400,) del 2,7%.

  2. ” L’interesse medio che l’Italia paga sul suo debito pubblico non è del 3,69% ma (65 per 100 diviso 2,400,) del 2,7%.”

    Lo vede, Professore, che possiamo fare ancora tutto il debito che vogliamo?

    😀

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