LA LEZIONE DEL MOLO

Attenzione, la realtà è più complicata di come appare a prima vista e il rimedio può essere a sua volta causa del male.
I moderni motori turboelica per aeroplani hanno un dispositivo che, se registra una totale perdita di potenza (cioè se il motore non fa girare l’elica in modo che spinga avanti l’aeroplano), automaticamente mette le eliche “in bandiera”. Cioè mette le pale dell’elica di taglio in modo che, se non spingono in avanti l’aereo, almeno non lo frenino, per permettergli di planare più a lungo. Ma una nota serie televisiva del canale “Focus” (“Indagini ad alta quota”) racconta fra le altre la storia di un aeroplano che si è schiantato con un motore perfettamente efficiente ma di cui si è guastato il sensore. Perché il sensore ha annullato l’azione del motore.
Questo episodio conduce a due conclusioni. Se un pilota sventato non mette in bandiera un motore che non funziona, l’aereo, ridotto ad un aliante, percorrerà meno strada, mancando magari uno spazio adatto ad un atterraggio di fortuna. Ma un altro aereo potrebbe essere mandato a schiantarsi da un congegno guasto che rende non funzionante un motore perfettamente in ordine. Ecco il dilemma: sperare che l’uomo non commetta un errore, o evitare l’errore umano e magari incappare in un errore tecnologico?
Gli aeroplani di linea moderni hanno molti congegni che dovrebbero rendere impossibili gli errori e le catastrofi, ma in caso di problemi insoliti guidarli è divenuto difficilissimo. Dunque alcune catastrofi sono la conseguenza della quantità di quei congegni. E ciò perché tutto si può guastare, una volta o l’altra: basta che si fulmini la lampadina di un indicatore di pericolo, che non diverrà visibile quando sarebbe necessario, e potrebbe verificarsi un patatrac. È questa la ragione per la quale Henry Ford, nelle sue primitive automobili, preferiva che non ci fossero molti pezzi: “Perché ciò che non c’è non può guastarsi”, osservava giustamente.
Naturalmente la risposta, riguardo agli errori umani e gli errori tecnologici, dipende dalla frequenza degli uni e degli altri. Ma la lezione generale è un’altra. Lo sappiamo, non c’è modo di evitare gli errori e il rischio zero non esiste. Il rischio lo si può ridurre di molto (e infatti l’aereo è il mezzo di trasporto più sicuro) ma bisognerebbe sempre tenere presenti i limiti umani: più lunga è la lista di cose da apprendere, più facile sarà che se ne scordi qualcuna.
Ecco un esempio opposto, di regola unica e chiarissima. In tutti i metrò del mondo la gente aspetta il prossimo convoglio su un marciapiede che nulla separa dal binario su cui arriverà il treno. Ovviamente, se qualcuno salta giù mentre arriva il treno (o, peggio, vi è spinto) per il malcapitato non ci sarà salvezza. Con la mentalità che impera nelle aviolinee, bisognerebbe chiudere tutti i metrò, concepire un meccanismo che sollevi una ringhiera quando non c’è il treno, e l’abbassi poi momentaneamente per far salire o scendere i viaggiatori, o chissaà che altro marchingegno. Non è stato fatto, e non so perché, ma una cosa è certa: l’evidenza del pericolo è un tale deterrente che gli incidenti nel metrò sono rari. Nello stesso modo, mi è capitato di passeggiare sul lunghissimo molo foraneo del porto della mia città, e questo significa che da un lato e dall’altro, a un paio di metri, c’è stato un burrone profondo abbastanza per rompersi l’osso del collo- Soprattutto cadendo sugli scogli artificiali dal lato mare. Anche lì, nessuna ringhiera, nessuna protezione, soltanto il pericolo. Ma un pericolo che si rende chiaro da sé.
Ecco perché la tendenza attuale – di cui dànno conto tutti i giornali – secondo cui non appena c’è un incidente si cerca qualcuno cui dare la colpa, è una tendenza demenziale. Il pericolo invisibile rimanda ad un colpevole, ma il pericolo visibile rende responsabile, e dunque colpevole, chi non si è guardato da sé. Tutti possiamo traversare la strada senza controllare che non ci siano veicoli in arrivo, ma pretendere che non ci succeda niente di spiacevole, a mio parere, è eccessivo. La prova è semplice: se cammino di buon passo e qualcuno, dinanzi a me, fa un improvviso scarto laterale, gli sbatterò addosso. E dire che andavo a quattro-cinque chilometri orari. Come pretendere che altrettanto non avvenga, guidando un’automobile? E tuttavia, non appena avviene un incidente, assolutamente tutti (e in primo luogo i magistrati dell’accusa) si mettono a chiedersi che cosa avrebbe potuto evitarlo. Ho visto condannare migliaia di persone per le “responsabilità” più fantasiose, che mi hanno indotto a chiedere mentalmente, ai magistrati: “Ma lei è sicuro che, al posto dell’imputato, si sarebbe ricordato di fare la cosa giusta? È sicuro che l’avrebbe fatta? E per caso lei la cosa giusta l’ha saputa da sempre, o gliel’hanno comunicata stamattina, i consulenti tecnici d’ufficio?”
Insomma, quello che il molo foraneo della mia città ha insegnato a me, non l’ha insegnato a molti.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
27/11/2020

LA LEZIONE DEL MOLOultima modifica: 2020-12-02T09:47:18+01:00da gianni.pardo
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