L’EPICUREO IN QUARANTENA

Per chi ha l’abitudine di leggere i giornali, questo 2020 è stato un anno veramente triste. In passato capitava che non ci fossero notizie degne di nota. Infatti i titoli di testa erano tutti diversi perché la notizia da “sparare” in prima i direttori dovevano inventarsela. Ma allora, in un modo o nell’altro, le infinite puntate della telenovela chiamata vita continuavano ad uscire regolarmente. Invece nel 2020 abbiamo avuto soltanto cattive notizie riguardanti la nostra economia e la nostra politica. La pubblicistica, parlando del Covid-19, ha pestato tutti i santi giorni l’acqua nel mortaio. Un incubo.
Le stesse televisioni non hanno fatto che consultare i luminari, anche chiedendogli impossibili previsioni, sperando che si contraddicessero, per prolungare all’infinito il dibattito. Un continuo rumore di fondo, un inarrestabile mulino di parole “acca ventiquattro”, come dicono i radical chic.
Né costituivano un diversivo i “servizi”. La gente era unanime nel rispondere che era disoccupata, che l’impresa andava a rotoli, che il denaro promesso dal governo non era arrivato, e che, insomma, tutti erano disperati. Cosa incontestabilmente vera e tristissima: ma io che potevo farci?
Il 2020 ha abolito la nostra vita normale e la nostra libertà, ed ai più fortunati ha lasciato soltanto la preoccupazione per la salute. Infatti i più sfortunati sono coloro che continuano a chiedersi di che cosa vivranno. Sono pensieri angosciosi. Non si osa pensare ai moltissimi che, in questo tempo, si sono ritrovati chiusi in casa, senza lavoro, senza svaghi, senza contatti umani e costretti continuamente a chiedersi: “Come compreremo da mangiare, domani?” Nella vita normale anneghiamo nella retorica solidale, e poi c’è gente che, improvvisamente, senza nessuna colpa, si trova di fronte al problema della sopravvivenza. Con non più aiuti di quelli che aveva l’uomo dell’età della pietra.
Ma si sono lamentati anche i fortunati. Cioè tutti coloro che hanno un reddito fisso. Costoro erano convinti che le distrazioni li dispensassero dal pensare, e per la prima volta, sono stati costretti a chiedersi: “Se rimango solo con me stesso, che faccio? Qual è il senso della vita? A che mi dedico se, invece di ‘fare qualcosa’ o di ‘condividere il presente con qualcuno’, sono costretto a pensare?” E fu così che il ragionier Rossi scoperse la filosofia.
Il problema del senso della vita non è il primo che appare, nella storia del pensiero umano. Il primitivo, il povero, il fante in trincea e il malato grave non hanno il tempo di porselo. Sono già troppo impegnati a sopravvivere. Esso si presenta quando la realtà permette di tirare il fiato. E da principio la risposta sembra facile. Chi prima mangiava quando poteva, per non morire, ora mangia per il piacere che dà il mangiare. Ed anche quello che danno gli alcoolici. E l’eroina. Sicché alla domanda: “Qual è lo scopo della vita” molti risponderebbero disinvoltamente: “Il piacere”. Che è una risposta tutt’altro che stupida. Ma rimane incompleta.
Il piacere ha infatti dei limiti. Il primo, fisico, è che parecchie cose, esagerando, fanno male. Mangiare molto fa ingrassare, l’alcool è un veleno (per giunta subdolo) e non parliamo delle droghe. Il sesso è fonte di infiniti problemi. Poi c’è il limite economico. Non soltanto non ci si possono permettere tutti i piaceri, ma c’è il limite dell’utilità marginale decrescente. Più si ha disponibilità di cibo, meno gli si dà importanza. A conti fatti, se uno vuol vivere sano e a lungo, i piaceri vanno talmente irreggimentati che non sembra possano riempire la casella “scopo della vita”.
Senza dire che il piacere può urtare contro una guerra o una pandemia, come oggi, e l’uomo si ritrova riportato alla casella di partenza. Così, di riflessione in riflessione, ci si accorge di non essere andati molto avanti ma molto indietro, fino ad un certo Epicuro che della vita aveva capito molto più dei suoi contemporanei ed anche di noi.
Epicuro ha posto il piacere come sommo scopo, ma di questo piacere ha dato una definizione talmente lontana dall’essere “godereccia” che per molti sarebbe quasi incomprensibile. Per lui i massimi piaceri sono quelli intellettuali. In primo luogo l’amicizia, la buona conversazione, la cultura. Più che il maestro di Sileno sembra essere stato il maestro di Montaigne.
Anche in questi giorni il perfetto epicureo riuscirebbe ad essere felice perché la nostra epoca ha enormemente facilitato i veri piaceri: la buona lettura, la buona musica e perfino, seppure in remoto, i rapporti di amicizia e gli scambi intellettuali. Chi ha tutto questo, perché dovrebbe sentirsi limitato? Limitata è la vita, ma a questo purtroppo non c’è rimedio. Ché anzi questa è la più solida ragione per non sprecare il presente.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
04/12/2020

L’EPICUREO IN QUARANTENAultima modifica: 2020-12-06T10:40:32+01:00da gianni.pardo
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