VIVERE A SCROCCO

Un lungo articolo su un vecchio argomento. Dunque potete saltarlo
L’ipotesi che si possa vivere da ricchi, senza produrre ricchezza (cioè senza lavorare), è un programma che sedurrebbe molti ma, espresso in questi termini, provocherebbe una valanga di reazioni irritate da parte dei competenti: “Che sciocchezza!”, “Che assurdità!”. Eppure questa è un’idea più corrente che non si creda, perfino fra persone che dovrebbero stare attente a ciò che dicono. Al punto che è divenuto difficile dimostrarne l’invalidità. Anzi, abbiamo testimonianze in senso contrario.
Un paio di giorni fa, sul “Corriere della Sera” l’ex direttore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, in un lungo articolo, ha riportato per sommi capi le innumerevoli proposte di azzeramento del debito pubblico. E – attenzione – l’ “azzeramento del debito pubblico” corrisponde, di riffa o di raffa, ad aver vissuto per anni a spese del prossimo. E queste proposte sono state firmate da tali competenti che mi son dovuto vergognare della disinvoltura con cui ho stigmatizzato le dichiarazioni del Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli. Questi ha soltanto avuto l’imprudenza di presentare quell’idea sic et simpliciter, senza neppure circondarla col fossato difensivo dei termini tecnici che intimidiscono la gente normale. Allarmando tutti. Ma nella sostanza Sassoli era soltanto l’ultimo della lista.
Per dimostrare quanto sia corrente l’idea che i debiti si possano non pagare, basta ricordare che nessuno è contrario alla “ristrutturazione del debito”. Del resto, la parola “ristrutturazione”, in sé e per sé, significa soltanto che si riorganizza qualcosa, affinché assolva la stessa funzione che assolveva prima, e magari meglio. Ma in concreto? Purtroppo, nel nostro caso, in concreto significa “taglio percentuale del debito”. Si immagini con quale gaudio dei creditori. Questi saranno indotti a subire l’estorsione perché lo Stato ha il potere di fare ciò che vuole e poi perché gli dicono: “Ora il 70%, in seguito forse nemmeno quello”. Se invece di parlare di “ristrutturazione” si parlasse di “insolvenza al 30%”, quanti creditori non drizzerebbero le orecchie, a sentirne parlare? Mentre la ristrutturazione non allarma nessuno.
Oggi è largamente condivisa l’idea secondo cui “i debiti pubblici non si pagano mai”. E non soltanto la notizia è molto consolante per noi che dobbiamo 25+11 zeri di euro, ma significa anche che possiamo fare debiti all’infinito, in futuro. Tanto, alla fine, nessuno paga nessuno.
Bisogna dire che, guardando al passato, l’affermazione appare largamente vera. È già avvenuto che i debiti non siano stati pagati. Ciò che è falso è che la cosa sia stata senza conseguenze. È un errore credere che si possa spendere all’infinito (come fa per esempio l’Italia) senza che si sia mai chiamati a risponderne. Infatti l’allarme suscitato da Sassoli non è stato dovuto alla novità dell’affermazione, quanto al fatto che il sistema finanziario europeo si regge sulla finzione che i debiti un giorno siano ripagati. Affermare che non lo saranno è come dire che il re è nudo. Una cosa che può fare un bambino incosciente, non il Presidente del Parlamento Europeo. In Sicilia, un tempo, si diceva: “Stia zitto, chi conosce il gioco”. Sassoli a quanto pare non lo conosce.
La tesi degli “ottimisti” si fonda sul principio che i debiti dello Stato non sono come i debiti dei privati. Se il privato non paga i suoi debiti, interviene il giudice che è capace di vendere all’asta la casa che il debitore ha comprato, e in cui abita, per soddisfare il creditore irriducibile. Mentre per i debiti degli Stati non c’è nessuno cui ricorrere. Così, se gli Stati non pagano i loro debiti, non gli succede niente. Al massimo piangono i creditori, ma imputent sibi. Non lo sapevano che gli Stati si comportano da delinquenti?
Anche per questa via si arriva alla conclusione che preoccuparsi per le finanze statali è una stupidaggine. Come ha detto qualcuno, “il debito pubblico ormai è abbastanza grande per badare a sé stesso”.
Purtroppo la teoria che è stata esposta sin qui non sta in piedi. Cominciamo con lo svincolare il debito dalla moneta. Un tizio si fa dare della merce dall’alimentarista e promette di ricompensarlo. Ecco che cos’è il credito: uno scambio di beni di cui una delle due prestazioni è differita nel tempo. Se per esempio il cliente è un macellaio, potrebbe sdebitarsi con un’adeguata quantità di carne. Se invece non dà niente, è come se avesse sottratto quella merce con un furto o una rapina. In tutti i questi casi in diritto civile si ha “un trasferimento di beni senza giusta causa”. E lo stesso diritto considera il fatto talmente abnorme, da concedere al danneggiato, pur in assenza di qualsivoglia contratto o di qualsivoglia dolo, l’“azione di arricchimento”, per cui “Nessuno può godere di un’utilità altrui senza giustificato motivo, privandone chi ne era il titolare”. L’insolvenza è dunque sempre un illecito giuridico e morale che infligge un’immeritata sofferenza a chi ne è vittima.
Questo schema non cambia se, invece di dire che il macellaio deve “una quantità di beni corrispondente alla merce ricevuta dall’alimentarista”, scriviamo che deve centoventi euro. Il denaro infatti non costituisce l’oggetto del debito, ma la “misura” del debito. E giuridicamente la situazione non cambia se il cliente ha pagato la merce e il fornitore non gliel’ha mai consegnata. In questo caso è l’acquirente che ha diritto al risarcimento.
Purtroppo l’intervento del denaro, in economia, falsa talmente il punto di vista, che alla fine risalire la china fino ai dati veri – come quelli precedenti – risulta difficile. Per esempio, quando si dice che il debito pubblico può essere ridotto da una notevole inflazione, si dice la verità, ma ciò che non si dice è che, con l’inflazione, non è che il debito sia stato pagato. L’inflazione è un furto a carico dei risparmiatori, dei creditori e comunque degli “ultimi prenditori” del denaro falso.
L’inflazione galoppante è un incubo tale, per i cittadini, che nessun tedesco ignora il dramma della Repubblica di Weimar. Ma anche un’inflazione “moderata” nel giro di qualche anno toglie al denaro un quarto o più del suo valore. E il detentore di qualche risparmio, come del resto il percettore di reddito fisso, si trova a poter comprare soltanto il 75% dei beni che avrebbe potuto comprare prima. Ancora una volta una forma di furto.
Dunque ogni volta che ci si trastulla con l’idea di un’inflazione che ripiani in tutto o in parte i debiti, si gioca sulla pelle degli ingenui detentori delle promesse dello Stato, che siano titoli di credito, banconote, stipendi o pensioni. È dunque vero che con l’inflazione il debito pubblico diminuisce, ed è vero che i governanti non si fanno scrupolo di depredare i risparmiatori. Anche perché, in base alle farneticazioni della sinistra, i detentori di denaro sono “coloro che hanno avuto più di ciò di cui avevano bisogno”, come se non se lo fossero procurato col loro lavoro ma glielo avessero regalato. E dunque toglierglielo è pura giustizia.
Dal punto di vista giuridico, morale ed umano, l’inflazione è un crimine contro i cittadini onesti. Lo Stato prima li ha obbligati ad accettare la cartamoneta come denaro, e poi li obbliga a sopportarne il deprezzamento. Insomma, ecco il punto debole delle tante teorie, per risolvere il problema del debito pubblico: assolutamente tutti i metodi immaginati per non rimborsarlo corrispondono ad altrettanti furti. Ogni volta che lo Stato non paga il suo debito, o mette in giro denaro falso, qualcuno ne soffre. Se è una persona fisica, è colpita nel suo portafogli; se è una banca, un altro Stato, un fornitore internazionale, sono colpiti nei loro bilanci, che ne risentono pesantemente e a volte drammaticamente. La sostanza è sempre che ogni volta che qualcuno gode di un bene che non ha prodotto, c’è qualcuno che non gode di un bene che ha prodotto. E potete star tranquilli che non sarà contento.
Né le cose vanno diversamente quando la situazione è tale che la gente non si accorge neppure che il debito non è rimborsato. Al riguardo abbiamo un esempio attuale. L’Italia “monetizza” da tempo il suo debito: fa finta di vendere i suoi titoli alla Banca Centrale Europea, ma di fatto immette in circolo “denaro fresco” (“fresco di stampa”, cioè falso, cioè carta) acquistando i beni e servizi di cui gode, senza averli prodotti. Dunque sottraendoli ad altri. Ma, appunto, a chi? Molta gente non saprebbe rispondere, eppure il principio rimane indefettibile.
Se l’Italia aumenta la quantità di circolante e non provoca inflazione, è segno che, se non avesse immesso quel denaro in circolazione, l’euro si sarebbe rivalutato. Invece, con quella spesa , l’euro ha mantenuto il valore di prima. Tutto bene? Per niente.
Se l’Italia, spendendo denaro immaginario, ha determinato inflazione che ha compensato la deflazione, ed ha così beneficiato di beni che non si era procurati con la sua produzione, altri Paesi, che non hanno fatto altrettanto, hanno perduto i beni in più cui avrebbero avuto diritto con la rivalutazione dell’euro. Se l’Italia non l’avesse impedita. Dunque rimane intangibile il dogma secondo cui “ogni volta che qualcuno beneficia di un bene cui non ha diritto, c’è qualcuno che non beneficia di un bene cui ha diritto”.
In conclusione, a fronte del primo dogma: “I debiti di Stato non sono mai rimborsati”, possiamo stabilirne un secondo: “Quando i debiti di Stato non sono rimborsati, qualcuno ne paga lo scotto”. E se i singoli cittadini non possono nulla, parecchio possono i mercati, gli altri Stati e le istituzioni finanziarie internazionali. Per questo c’è da essere allarmati: più spendiamo spensieratamente, più acceleriamo il momento in cui ci sarà presentato il conto. Magari non ne soffrirà l’Italia, ente astratto, ma ne soffriranno gli italiani.
Oggi l’Italia dispone dell’euro e del credito internazionale. Dunque può presentarsi ai produttori arabi di petrolio e comprare il petrolio, anche a credito, a meno di cinquanta dollari il barile. Viceversa, se domani fosse insolvente, da un lato nessun produttore di petrolio le farebbe credito, dall’altro, dal momento che la moneta italiana varrebbe molto meno dell’euro, a noi il barile di petrolio sarebbe venduto ben più caro. Il privato vedrebbe schizzare il prezzo della benzina al doppio del prezzo attuale. Mi chiedo quanta gente continuerebbe a dire che lo Stato può fare indefinitamente debiti, ché tanto poi nessuno li paga.
La Svizzera vende (caro) al mondo la sua solidità e la sua buona amministrazione. Al contrario, i Paesi che hanno fatto fallimento l’hanno pagata carissima. L’Argentina, che era uno dei Paesi più prosperi del mondo, da quando è fallita non riesce più a risollevarsi. Ancora una volta, andate a dire agli argentini che fare debiti e non pagarli è una buona politica.
L’Italia si è caricata di una tale quantità di debiti, che probabilmente non “li” pagherà. Ma “la” pagherà, eccome.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
03/12/2020

VIVERE A SCROCCOultima modifica: 2020-12-09T11:41:01+01:00da gianni.pardo
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