E SI PARLA SEMPRE DI INVESTIMENTI PUBBLICI – 2

La spinta dello Stato potrebbe funzionare se il Paese non si fosse accorto che, se fabbricasse scarpe e le vendesse al mondo, creerebbe una miriade di posti di lavoro e guadagnerebbe miliardi. Ma quante probabilità ci sono che di questa opportunità non si siano accorti i capitalisti e gli imprenditori privati (che ci avrebbero guadagnato) e se ne siano accorti i politici? Bisogna proprio essere degli ingenui, per crederlo.
In realtà, lo stesso fatto che la spesa sia da Keynes prevista in deficit fa dedurre che dei privati non giocherebbero mai i loro soldi, in quell’impresa. E allora perché deve farlo lo Stato, per giunta indebitandosi? Lo stesso fatto che i salari siano pagati con denaro inesistente, cioè creando inflazione, è delittuoso: infatti l’inflazione è una tassa che pesa innanzitutto sui più poveri e sui percettori di reddito fisso. Deve essere chiaro: se la fabbrica dello Stato opera in deficit, cioè distribuisce cento di ricchezza e produce novanta, provoca una diminuzione della ricchezza, non un aumento. Ciò che aumenta è il debito pubblico.
Non bisogna invocare gli investimenti perché creino posti di lavoro (e il conseguente aumento della domanda) ma una produzione di ricchezza che, ulteriore vantaggio, richiede una forza lavoro per essere prodotta.. È la ricchezza, che bisogna creare, non la fatica di lavorare.
La banale verità è che, se con quel tipo di attività fosse stato facile fare dei profitti, li avrebbero già fatti i privati. Per giunta, mentre le imprese private che non fanno profitti falliscono, quelle pubbliche non falliscono e non licenziano i dipendenti inutili. È con questa mentalità che l’Italia ha creato il suo debito pubblico. È con questa mentalità che è riuscita a non superare l’ultima crisi. Ed è con questa mentalità che ha operato il miracolo di essere prima in molte classifiche economiche europee, se soltanto le si legge all’indietro.
Ciò che di meglio potrebbe fare lo Stato sarebbe permettere ai professionisti della produzione di ricchezza di agire senza troppi ostacoli e senza troppi pesi. Fra l’altro creando lavoro, Naturalmente ne trarrebbero profitto loro stessi, ma questo profitto non bisognerebbe stramaledirlo, e neppure confiscarglielo, se è la condizione della prosperità della nazione. Con la morale egalitaria e pauperistica si va in paradiso, ma non si creano posti di lavoro. Se soltanto l’Italia se ne convincesse, avremmo qualche speranza. Ma non l’abbiamo. Prevale l’invidia e la volontà di punire chi sta meglio di noi.
Tutto quanto detto fin qui non intende demonizzare gli investimenti pubblici. Se e quando sono necessari – come per esempio per gli ospedali, le scuole, le carceri, le caserme e via dicendo – sono una benedizione del cielo. Se invece non son necessari, sono sempre un errore. Se si è sicuri che una strada contribuirà potentemente alla creazione di ricchezza (per esempio perché accorcia la distanza fra due grandi centri produttivi) che lo Stato spenda pure per costruirla. Se invece si è in dubbio, meglio astenersi. E comunque bisognerebbe sempre astenersi da quelle imprese che non sono necessariamente pubbliche. Lo Stato, come si dice, non deve “fabbricare panettoni”. Si chiama principio di sussidiarietà.
Va anche precisato che non bisogna affatto astenersi da quei lavori pubblici che non danno un incremento della ricchezza immediato, come la costruzione di scuole, ma sono comunque necessari nel lungo termine; tanto che trascurarli può costare caro al Paese. Come dice un vecchio detto, il politico normale pensa alle prossime elezioni, l’uomo di Stato alla prossima generazione.
Se l’economia mostra segni di rallentamento, e si dispone di qualche margine economico, meglio spenderlo per favorire la produzione dei privati . Infatti i privati hanno tutto l’interesse di trovare l’attività che è più probabile produca ricchezza per la nazione (e profitto per loro). Inoltre, se sbagliano, non pesano certo sulla nazione: sono punirli col fallimento ed estromessi dalla produzione. Mentre lo Stato prima non è capace di individuare la produzione più conveniente e poi non chiude l’impresa neanche se la produzione va in rosso. Di questo in Italia abbiamo un esempio abbagliante e scandaloso: l’Alitalia.
Lo Stato è anche incapace di riformare l’impresa per renderla economicamente produttiva. Infatti, per motivi politici, è restio a licenziare i dipendenti in eccesso. Dunque meglio diminuire le tasse sulle imprese e sul lavoro già esistente che darsi a investimenti pubblici dal risultato incerto e, storicamente, più nocivi che utili.
Cionondimeno continueremo a sentire invocare da mane a sera investimenti pubblici, e una volta o l’altra lo Stato ascolterà queste sirene. Caricando un’altra balla di fieno sulla schiena del cammello, senza curarsi del rischio che quella schiena si rompa. Cosa che forse è già avvenuta.
Fine
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com .

1° agosto 2019

E SI PARLA SEMPRE DI INVESTIMENTI PUBBLICI – 2ultima modifica: 2019-08-02T07:39:45+02:00da gianni.pardo
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