LA GUERRA PREVENTIVA

Questo testo è inserito a beneficio di coloro che hanno letto un mio articolo su altro blog. Poiché è notevolmente più lungo dei miei soliti articoli, ne consiglio la lettura solo a chi fosse particolarmente interessato all’argomento.

LA GUERRA PREVENTIVA

Nelle polemiche sull’accettabilità della “guerra preventiva” c’è qualcosa che dà fastidio, ed è la sensazione di star parlando di qualcosa d’impalpabile, d’inafferrabile. Forse addirittura d’un falso concetto. Come se ci si chiedesse seriamente di che colore è il suono del violino.

La prima perplessità nasce dal fatto che la discussione sulla guerra preventiva di solito è di ordine giuridico e morale, dimenticando che gli attori di questa scena, cioè gli Stati, sono del tutto distaccati tanto dal diritto quanto dalla morale. Il diritto infatti non ha peso se nessuno può applicarlo con la forza. Se il giudice mi dichiara vincitore nel processo, ma non ha la forza di imporre con i Carabinieri o gli ufficiali giudiziari la mia vittoria al perdente, è come se non avesse parlato. In campo internazionale manca per l’appunto una polizia che faccia applicare il diritto. Inoltre, se esistesse, sarebbe la polizia dello Stato più forte, il quale potrebbe occasionalmente utilizzarla non per dare forza al dettato dei giudici, ma per i propri interessi. Ritorno alla casella di partenza.

Qualcuno dice tuttavia che se la polizia dipendesse da un organismo internazionale (per esempio l’ONU), si sfuggirebbe a questo pericolo. Ma neanche questo è vero. L’organismo internazionale da un lato non andrebbe mai contro uno Stato sufficientemente potente (per esempio la Cina o, anni fa, l’Unione Sovietica); dall’altro non andrebbe mai contro lo Stato che, in quella polizia, ha de facto la percentuale più forte (per esempio gli Stati Uniti). Questo significherebbe che l’Onu interverrebbe solo contro gli stati piccoli e deboli, come del resto è avvenuto fino ad ora, mentre i grossi rimarrebbero liberi di fare quello che vogliono. La polizia internazionale sarebbe dunque un corpo che talvolta arresta i borseggiatori, ma non arresta mai gli assassini se sono abbastanza grossi.

Se questo è il punto di vista giuridico, ancor più inconsistente è il punto di vista morale. Quando Saddam Hussein invase il Kuwait, tutti gli uomini del mondo avrebbero potuto condannarlo moralmente ma, se non fossero intervenuti gli Stati Uniti, il Kuwait sarebbe ancora oggi, e chissà per quanti decenni ancora, una provincia dell’Irak. Così come il Vietnam del sud appartiene al Vietnam del nord, tanto che oggi si parla soltanto di Vietnam e nessuno ci fa più caso.

Molti credono che facendo dimostrazioni di piazza, bruciando bandiere, scrivendo lettere indignate ai giornali, possa cambiare qualcosa. E si sbagliano. Riguardo ad un’iniziativa internazionale, il fatto che essa sia legale o illegale, morale o immorale, non cambia nulla.

Tutto ciò posto, che una guerra sia difensiva od offensiva, preventiva o successiva all’attacco, non ha assolutamente nessuna importanza. Non sono queste le distinzioni importanti. L’unica distinzione importante è fra le guerre vinte e le guerre perse. Poi, per le guerre vinte, la distinzione tra costi e ricavi.

È sempre stato così. Si pensi a Roma e Cartagine. Quando Roma si convinse che Cartagine, pure vinta, avrebbe sempre rappresentato un problema (Carthago delenda), e decise di distruggerla preventivamente, commise un crimine oggi inimmaginabile o si evitò la Quarta Guerra Punica?

Negli Anni Trenta fu chiaro che Hitler stava violando il trattato di pace e riarmando la Germania. Le potenze occidentali si chiesero se, per impedire questo riarmo, dovessero invadere o no la Ruhr e prevalse l’atteggiamento pacifista. “Non sta bene invadere un paese vicino”. “Non sta bene varcare una frontiera in armi, mentre non c’è nessuna guerra”. Chissà, forse i pacifisti pensavano che Hitler riarmasse la Germania per fini decorativi. E comunque volevano la pace, la pace, la pace ad ogni costo. Sicché la Francia e l’Inghilterra evitarono lo sconcio di una “guerra” preventiva e il risultato si conosce.

Nel 1967, l’Egitto di Nasser chiuse gli stretti di Tiran, impedendo alle navi israeliane d’uscire dal golfo di Akaba. Tecnicamente questo fu un atto di guerra e gli israeliani, prima che fosse sparato anche un solo colpo di fucile, aggredirono l’aviazione militare egiziana distruggendola al suolo. Giuridicamente, atto di guerra contro atto di guerra. Ma gli israeliani ciò fecero perché sapevano che, se si fosse addivenuti alla guerra guerreggiata, quegli aeroplani avrebbero costituito un serio pericolo. E dunque è vero che poterono farlo, giuridicamente, con l’avallo d’una consuetudine internazionale, ma probabilmente l’avrebbero fatto lo stesso, se si fossero convinti che l’Egitto stava per attaccarli, pur senza fornire loro un pretesto giuridico per una mossa preventiva. Israele avrebbe sicuramente preferito la propria sopravvivenza al rispetto di una norma internazionale, in fondo di semplice buona educazione.

È del resto sulla base di questo principio che nel 1981 attaccarono, senza che ci fosse uno stato di guerra, le installazioni atomiche dell’Irak (“Osirak”). Iniziativa che oggi tutti benedicono.

Per venire al problema attuale, gli Stati Uniti, di fronte al problema del terrorismo internazionale, e dell’Irak come rogue state, si sono attribuiti il diritto di first strike, cioè di guerra preventiva. Si tratta infatti di una situazione nuova, in cui c’è un nemico vile e sfuggente, che non rispetta nessuna delle regole della guerra tradizionale, che non esita a ricorrere alle pratiche più barbare. E questo giustificherebbe moralmente la punizione dei loro protettori. Ma in realtà non è necessario cercare giustificazioni morali o giuridiche di nessun genere: gli Stati Uniti hanno il diritto al first strike se pensano che questo sia nel loro interesse. E se pensano di ottenerne risultati molto più positivi che negativi. L’unica cosa da chiedersi, come scriveva Clausewitz, è: qual è il bilanciamento tra costi e ricavi? Il problema di diritto internazionale è secondario. Anche se anche in questo campo non è che manchino gli argomenti. Non è contrario al diritto internazionale ospitare, come faceva l’Afghanistan, terroristi che poi magari vanno ad ammazzare migliaia d’innocenti? Non è contrario al diritto internazionale armarsi per aggredire i propri vicini, come nel tempo hanno fatto Hitler e Saddam Hussein? E sarebbe contrario al diritto internazionale andare a punire un criminale probabile protettore di criminali, se si temesse ragionevolmente che progetta d’attaccarci? Ma – si ripete – gli Stati Uniti non hanno bisogno di giustificazioni morali. Forse queste giustificazioni le cercano molti cittadini statunitensi, i quali però, grazie al cielo, non sono responsabili della politica estera del loro paese. Quanto all’opinione pubblica internazionale, l’intero orbe terracqueo può dargli torto, e alzare alte grida: questo non salverebbe Saddam Hussein. E nessuno oserebbe neanche proporre un’azione concreta contro gli Stati Uniti.  Condanne morali sì, quante se ne vuole. Ma sono acqua sulla schiena di un’anatra.

L’obbiezione più sostanziosa che molti faranno è però questa: se si considera lecito il first strike dell’America, paese democratico e sufficientemente per bene, non si dà il via a “guerre preventive” di paesi canaglia, mossi solo dalla sete di conquista? L’obbiezione è teoricamente invincibile, salvo che per un punto. Gli Stati Uniti sono abbastanza forti per scatenare e vincere una guerra preventiva, la maggior parte degli Stati no. Ed è precisamente questa la ragione per cui si astengono dallo scatenare guerre di conquista: non certo il rispetto delle norme internazionali.

Infine, per quanto cinico possa sembrare, nel tempo il diritto e la morale seguono la sorte delle armi. Ammesso e assolutamente non concesso che la bomba d’Hiroshima sia stato un atto immorale, forse che di questa bomba si è parlato nel processo di Norimberga? In esso non si è parlato neppure del bombardamento di Dresda, che era lì a due passi e le cui rovine, sotto cui giacevano le ossa di centotrentamila innocenti,  ancora fumavano.

In conclusione è poco conducente porsi il problema dell’accettabilità giuridica o morale del first strike. L’unico problema che bisogna porsi è: conviene o non conviene? Costa di più combattere uno stato canaglia oggi, mentre ancora si arma, o domani, quando si sarà completamente armato? E perfino, scendendo nei particolari: quanto costerà la vittoria al paese che ne prende l’iniziativa, in termini di morti e in termini economici? Quali saranno le conseguenze? Quale sarà l’assetto regionale successivo? Quali spostamenti si avranno, nell’equilibrio geopolitico mondiale? Queste sono le domande. Quelle relative al diritto e alla morale i governanti le lasciano ai commentatori giuridici e morali. Ricordando che, se “la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali”, figurarsi se si può lasciarla fare ai moralisti.

Un corollario

Un ultimo corollario riguarda i paesi europei, nei quali più forte che altrove si alzano grida di sdegno e invocazioni di pace. Tutto questo avviene perché, stranamente, questi paesi sono convinti che, in questo caso, si tratti di un problema americano. L’America contro Saddam Hussein e l’Europa che sta a guardare. Come se ciò che gli estremisti islamici rimproverano agli Stati Uniti fosse diverso da ciò che essi possono rimproverare all’Europa. Siamo forse meno pagani, meno consumisti, meno imperialisti, meno “scostumati”, agli occhi degli islamici, degli americani? Proprio per nulla. Tutto si regge sul fatto che in Europa non s’è avuto nessun grave attentato, dall’11 settembre 2001. Ma è come se una donna dicesse che non fa il Pap Test perché non ha il cancro. Dimenticando che quel test si fa per prevenirlo: dopo non serve a nulla. Nello stesso modo, è come se l’Europa aspettasse d’essere coinvolta in concreto nel problema. Se domani una bomba facesse saltare in aria un autobus urbano di Parigi, ammazzando venti persone e ferendone settanta, la Francia si risveglierebbe come da un lungo sonno e, divenuta furente, cercherebbe su chi vendicarsi, cercherebbe solidarietà negli alleati e… si stupirebbe di vedere quanto moderatamente sono indignati. Quanto poco sono disposti ad attivarsi e correre rischi. Il che dimostra che gli Stati sono, sì, sciolti dalla morale e dal diritto, ma a volte lo sono anche dal semplice buon senso.

Gianni Pardo, 18.10.02

LA GUERRA PREVENTIVAultima modifica: 2009-04-19T11:18:26+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo