GHEDDAFI SHOW

GHEDDAFI SHOW
Molti anni fa la BBC trasmetteva settimanalmente una conversazione di quindici minuti dal titolo “Letter from America”. Parlava Alistair Cooke, una sorta di monumento del giornalismo, morto poi novantaseienne nel 2004. Proprio questo insigne professionista una volta disse come andavano le cose in occasione di grandi incontri internazionali e conferenze. La gente si aspetta dai giornalisti che riferiscano tutto, mentre quei poveracci sono tenuti fuori dalle stanze in cui si parla seriamente, come il resto dei mortali. Possono solo dire a che ora è arrivato questo o quello, come erano vestiti, come hanno salutato e altri particolari assolutamente estranei alla sostanza dell’evento.
Né potrebbe essere diversamente. Nessuno deve aspettarsi che un incontro internazionale si tenga sotto l’occhio delle telecamere. Non possono essere mostrati a tutti gli scontri, i mercanteggiamenti, le minacce e tutte le armi, a volte piuttosto rudi, che i grandi usano per sostenere gli interessi del proprio Paese. Poi, dopo che si è discusso magari a colpi di calci negli stinchi, si stila un bel comunicato ufficiale ricoperto di glassa zuccherata. Le litigate furibonde divengono “colloqui aperti e franchi”, i rapporti tesi e i rancori divengono “tradizionali rapporti di amicizia”, e  quello si rende pubblico. La sostanza dell’incontro e il modo in cui si è effettivamente svolto sono cose che i comuni lettori apprendono dai ricordi degli interessati, decenni dopo. Ché anzi è proprio questa una delle ragioni del fascino della storia, quella vera. Cioè quella approfondita. È solo in questo genere di libri infatti che si vede come le cose realmente andarono. Il passato è spesso trasparente, l’attualità è spesso misteriosa.
Tutto questo rende ragionevole un certo disinteresse alla visita di Muammar Gheddafi. Si può essere indignati per gli onori tributati ad un dittatore, ma si scelgono gli amici, non i vicini di casa; si può essere divertiti dal narcisismo multicolore del personaggio, anche se non si può dimenticare quanto Mussolini tenesse all’effetto visivo; si può biasimare la cattiva educazione di chi arriva in ritardo a tutti gli incontri o l’ignoranza di chi pensa che la parola “democrazia” derivi dall’arabo, ma tutto questo non ha la minima importanza. Nella politica internazionale non si ha né il potere né l’interesse di giudicare gli altri. Non più di quanto, durante le olimpiadi, un lottatore possa prima esaminare il suo avversario dal punto di vista caratteriale o culturale.
Della visita di Gheddafi ognuno può pensare ciò che vuole. Tuttavia, se si vuol stare ai dati certi, bisogna dire: non ne so nulla e dunque non ne penso nulla. Se tutto ciò che è avvenuto dietro le porte chiuse sarà o non sarà nell’interesse dell’Italia, e se in concreto lo sarà in misura sufficiente per compensare i rospi che si son dovuti inghiottire, è cosa che solo il futuro ci dirà.
Se il governo italiano sarà stato messo nel sacco da colui che rimane orgogliosamente un beduino, tanto che vuole ricevere i suoi ospiti in una tenda, Roma avrà vissuto indimenticabili giorni di umiliazione. Se invece Silvio Berlusconi non avrà dimenticato, per amore di gloria o per vanità personale, le sue qualità di imprenditore,  e se sarà riuscito, come ogni buon commerciante, ad ottenere più di quanto ha dato, bisognerà essergliene molto grati. Non sarà la prima volta che si vendono fumo e lustrini in cambio di palanche.
Del resto, c’è un proverbio arabo che insegna: a un cane che ha denaro si dice signor cane.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
13 giugno 2009

GHEDDAFI SHOWultima modifica: 2009-06-13T09:34:10+02:00da gianni.pardo
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