LETTURA CRITICA: SPINELLI

LETTURA CRITICA: SPINELLI
Nell’articolo  di domenica 14 giugno Barbara Spinelli sostiene con lunghe citazioni  che Marx aveva ragione, quando parlava, a metà ‘800, della crisi irreversibile della borghesia. Cosa che sarebbe facile credere, se la borghesia non ci fosse più. Ma ne sappiamo meno di Marx e di lei.
Comunque, al di là di questo esordio, il nocciolo dell’articolo sembra sia questo: si vive un momento di “catastrofe” per le sinistre. Secondo la Spinelli per capirlo non basta, come fa Franceschini, parlare di un “vento della destra” che soffia forte in Europa. Bisogna capire che si tratta del “vento di una destra pragmatica, spregiudicata, non più ideologica, che pur di mantenere il potere agguanta ogni utensile a disposizione. Soprattutto gli utensili della socialdemocrazia: lo Stato che protegge i deboli, e se necessario governa estesamente l’economia”. Non è una frase gettata lì a caso. L’editorialista insiste: “Senza patemi la destra europea ha smesso l’antistatalismo, la lotta alla spesa pubblica, il dogma delle privatizzazioni”, “Niente vento di destra dunque, ma un’usurpazione più o meno cinica di idee socialdemocratiche e anche marxiste che devasta le sinistre classiche”. Poi l’articolo prosegue identificando nei Verdi, in Di Pietro, nei Pirati svedesi, in Cohn Bendit coloro che hanno visto la via del futuro, una via che non potrà che essere europea, ma questa è una parte talmente poco convincente che la si può trascurare.
Ciò che Barbara Spinelli sembra non vedere, in tutta la situazione come lei stessa la descrive, è che il suo ragionamento soffre di una petitio principii: chi ha mai detto che la destra (intesa come “non sinistra”) debba essere ottusa e incapace di utilizzare lo strumento adatto, qualunque sia, ad affrontare una data crisi economica?
Mentre per i comunisti ortodossi il capitalismo è un male di per sé che va evitato anche a costo di affamare il popolo – come fece Mao Tse Tung – per il capitalismo nella storia economica un momento statalistico è concepibile, se è utile e se non diviene a sua volta dogma. Ecco perché è giusto scrivere, come fa lei stessa: “Essenziale è traversare il torrente con ogni mezzo, e sperare che si torni allo status quo ante senza mutare il modo di sviluppo produttivistico. Marx e Keynes sono usati non per cambiare modello, ma per perpetuarlo con l’ambulanza del Welfare”.
Il grande atout del liberalismo economico è proprio questo: una flessibilità che nasce dalla sua natura di “default”, di “ideologia zero”, di “neutralità”. Esso non impone nulla in modo rigido e non conosce anatemi. È solo convinto che il massimo di prosperità si ottiene con la libertà e per questo interviene il meno possibile. Solo in caso di necessità. Se un’impresa assume una posizione dominante e ne approfitta in modo illecito, lo Stato liberale dimentica la libertà dell’impresa ed interviene punendola. Se si accorge dell’esistenza di cartelli che falsano l’economia di mercato, interviene per eliminarli. Se viceversa una grande impresa sta per fallire, e secondo l’economia classica dovrebbe in effetti fallire, lo Stato può intervenire per farle superare la congiuntura negativa, se è solo una congiuntura.
In questo senso Washington ha pesantemente sbagliato, quando ha lasciato fallire la Lehman Brothers. Nell’economia libera il fallimento è fisiologico ed anzi salutare, se elimina un’impresa non vitale, ma se i guru statunitensi avessero saputo prevedere che la sfiducia nata da quel crollo avrebbe avuto le conseguenze che ha avuto, avrebbero preferito spendere qualcosa anche andando contro il liberismo, piuttosto che spendere molto di più, dopo, quando si è trattato di arginare la crisi di fiducia. In Italia non si è avuto lo stesso dramma perché il sistema bancario è più solido e perché Tremonti ha detto che non si sarebbe permesso a nessun istituto di fallire: l’annuncio (pur non in linea con il liberismo degli ingenui) è stato talmente efficace che poi non è stato necessario intervenire.
Lo stupore – e quasi la scandalo – di Barbara Spinelli, per il comportamento dei governi di centro-destra è fuor di luogo. Deriva forse dalla mentalità rigida di chi è di sinistra e continua a immaginare la controparte secondo i propri schemi e secondo i propri pregiudizi, piuttosto che vederla com’è.
In Europa non soffia un vento di destra: soffia un vento di buon governo. E gli elettori hanno ormai abbastanza esperienza per avere paura delle ricette di sinistra.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
15 giugno 2009

LETTURA CRITICA: SPINELLIultima modifica: 2009-06-15T12:04:00+02:00da gianni.pardo
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