VINCE AHMADINEJAD

VINCE AHMADINEJAD: LE CONSEGUENZE
La vittoria di Ahmadinejad a Tehran può essere discussa, e lo è in primo luogo da coloro che, in Iran, hanno votato per il suo concorrente; tuttavia il dubbio sulla correttezza della tornata elettorale, considerando la situazione dall’Occidente, non ha nessuna importanza. O veramente Ahmadinejad ha avuto oltre il sessanta per cento dei voti, e dunque rappresenta fedelmente il popolo iraniano, oppure è stato capace di realizzare brogli elettorali di tale portata, da creare uno scarto di ventiquattro punti col suo migliore avversario. In questo caso sarebbe chiaro che ha in mano il potere: elezioni o non elezioni.
In quel Paese del resto, già a monte, le elezioni non sono democratiche: il governo infatti non permette a chiunque di candidarsi e di fare campagna e la competizione è permessa solo fra candidati non ostili alla teocrazia. Nella loro scelta gli iraniani avranno l’occasione di ricordare il detto di Henry Ford che, a proposito della sua Ford T, diceva: “Potete averla di qualunque colore, purché nera”. E chissà che non nasca da questo l’esasperazione di una parte degli iraniani. L’automobile l’avrebbero voluta almeno grigio scuro.
L’Iran va accettato come un dato immodificabile e non ci sarebbe nessun problema se le discutibili politiche della sua classe dirigente – in materia di diritti umani, di diritti delle donne, di giustizia penale, e perfino in campo militare – fossero esclusivamente rivolte all’interno. Purtroppo, l’Iran ha anche una politica estera la quale ha due stelle polari: una religiosa, l’appoggio agli sciiti contro i sunniti, e l’altra, ancor più importante dello scisma religioso, l’appoggio a qualunque attività, anche terroristica, contro Israele e contro gli Stati Uniti.
Anche qui bisogna ridurre il problema all’osso. Per quanto Ahmadinejad o chi per lui spari bordate di parole contro gli Stati Uniti, questi sono troppo lontani, troppo grandi e troppo forti per esserne inquietati. Chi ha realmente motivo di allarmarsi, facendo l’ipotesi di una potenza regionale fanatica in possesso dell’arma atomica, sono gli Stati sunniti, in particolare quelli ricchi e disarmati come gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. Molto tranquilli non potrebbero sentirsi neppure Stati che vantano un’antica alleanza con l’Iran, come la Siria, o altri, come l’Iraq, con cui s’è avuta una sanguinosissima guerra durata otto anni. Quest’ultimo Stato ha una maggioranza sciita ma, si sa, vicinitas mater discordiarum: la vicinanza fa nascere le discordie.
L’emergere di una potenza militare regionale è allarmante per gli Stati arabi più di quanto non lo sia per Israele. Questo Stato può infatti rispondere alle minacce con uguali minacce, anzi con minacce molto maggiori: l’Iran è molto più popoloso e, se si mette l’insetticida in una stanza chiusa, non costa di più uccidere mille mosche piuttosto che cinquanta.
Il problema è dunque: come possono reagire gli Stati arabi? L’alleanza con un vicino forte e aggressivo si chiama sudditanza. Una loro guerra preventiva è impensabile (politicamente, economicamente, militarmente) e di fatto potrebbero farla solo gli Stati Uniti, con l’appoggio di Israele. Una soluzione sarebbe quella di dotarsi a propria volta di un armamento nucleare, dando luogo ad una proliferazione che – secondo il principio di Murphy – condurrà ad un disastro di proporzioni planetarie. Infine potrebbero stringere alleanze tipo Nato con gli Stati Uniti, ma incontrerebbero due difficoltà: la riluttanza di Washington a farsi trascinare nel teatro mediorientale e l’ostilità della loro stessa piazza, cui essi stessi hanno predicato l’anti-americanismo. Per non parlare di un’impossibile alleanza con Israele.
Obama ha cercato la via del negoziato, perfino mediante affermazioni e richieste che hanno parecchio allarmato Gerusalemme, e forse crede veramente nel potere taumaturgico della parola: certo è che l’Iran lo ha risvegliato dalle sue illusioni. Oggi non gli rimane che prendere atto di avere a che fare con un avversario che crede stoltamente di avere tutte le briscole in mano. Ora dovrà spiegargli che non si sta giocando a carte ma alla sopravvivenza. Bisognerebbe dirgli: “Fai pure tutti i discorsi che vuoi, ma sappi che se fai arrivare una bomba atomica su Tel Aviv, Israele distruggerà tutte le città iraniane e quando gli finiranno le sue bombe noi gliene forniremo altre”. Questo è un discorso che capirebbero anche a Tehran.
Tanto che l’ultimo dubbio è: chi dice che questo discorso, dietro la facciata, non sia già stato fatto?
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
Se esprimerete il vostro motivato parere, positivo o negativo che sia, sui miei testi, mi farete piacere.
14 giugno 2009

VINCE AHMADINEJADultima modifica: 2009-06-14T16:06:00+02:00da gianni.pardo
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