MORIRE PER KABUL?


Molte persone si chiedono seriamente se sia il caso di mandare i nostri soldati in Afghanistan ma questa domanda non può avere risposta.
Il problema se valga la pena di combattere una guerra si risolve da sé se la Patria è aggredita: in questo caso la scelta dello scontro è stata assunta da un altro Paese. Di solito, se c’è una possibilità di difesa – una possibilità che non aveva la Cecoslovacchia nel 1968 – tutti capiscono la necessità della guerra. Se invece non vi è attualmente un’aggressione e un governo intraprende l’azione bellica in quanto la reputa un costo minore rispetto ad uno scontro più lontano nel tempo, i dubbi spesso sono molto più grandi.
Nell’antichità Roma s’ingrandì – un po’ come la Russia nei secoli recenti – per il timore di essere aggredita: ogni volta conquistava un nuovo territorio per spostare più lontano la frontiera da cui poteva venire l’aggressione.
Tutto questo è talmente vero che la distinzione fra guerra di aggressione e guerra difensiva diviene labile. L’aggressore può sempre pretendere di star agendo per fini difensivi futuri. Per non parlare di Hitler che arrivò ad inscenare una finta aggressione di militari polacchi (in realtà soldati tedeschi travestiti), che furono gloriosamente uccisi dai commilitoni della Wehrmacht. A proposito: Wehrmacht uguale “forza di difesa”.
Un caso opposto s’è avuto nel 1967, quando Nasser compì tutti gli atti che chiaramente preludevano all’attacco di Israele. L’Egitto diede anche luogo a quelli che vengono chiamati “casus belli”, cioè azioni che autorizzano la controparte a considerarsi militarmente aggredita. Ciò malgrado, quando l’esercito egiziano non aveva sparato nemmeno un colpo di cannone, fu invece Israele che, con azione fulminea, annientò letteralmente l’aviazione egiziana al suolo, procurandosi il dominio dei cieli in quello scacchiere. L’iniziativa militare fu benedetta, dal punto di vista di Gerusalemme, che poi vinse la guerra a mani basse. Perché aspettare la prima mossa dell’altro, se lo scontro è inevitabile e voluto dall’aggressore? Soprattutto se si può fruire del fattore sorpresa? Ecco un caso in cui nessuno sarebbe scontento di vedere il proprio Paese vibrare il primo colpo.
Se, pur possedendo tutti i dati storici, è difficile stabilire se una guerra sia stata un’aggressione o una difesa strategica anticipata, figurarsi quanto sia difficile stabilirlo, riguardo al presente o al futuro, quando si è dei privati cittadini, e si è lungi dall’avere tutte le conoscenze economiche, militari, geografiche, storiche, politiche di cui dispongono i governanti con i loro consulenti. Per non parlare delle informazioni fornite dai vari servizi segreti.
In questo campo il cittadino medio non è in grado di avere una opinione ragionevole. Se parla, probabilmente parla a vanvera. Ma c’è qualcosa di  molto più allarmante: la storia mostra che la disponibilità di elementi di giudizio infinitamente più completi di quelli dell’uomo della strada non ha impedito e non impedisce ai governanti di commettere errori madornali. La storia è piena di conflitti che si sono risolti in un danno gravissimo di chi li aveva provocati: la Prima Guerra Mondiale fu dovuta ad errori di calcolo commessi indistintamente da tutti coloro che vi parteciparono. E infatti tutti ne riportarono solo danni e lutti immensi.
Ma la guerra è endemica: malauguratamente fa parte della natura umana. Nel 1939 Hitler dimostrava i suoi intenti aggressivi e il suo delirio di conquista e fu di moda chiedersi: “Morire per Danzica?” Ma i governi di Francia e Gran Bretagna avevano finalmente capito che non si trattava del famoso “corridoio” sul Mar Baltico. La Polonia era solo il primo boccone: bisognava difendersi. E meglio avrebbero fatto ad intervenire prima, magari impedendo con la forza il riarmo tedesco, contrario al trattato di pace.
Chiunque si chieda se bisogna morire per Danzica, Baghdad, Kabul dovrebbe sapere che lui stesso non ha modo di deciderlo. Forse non lo sanno neppure coloro che siedono intorno al tavolo del Consiglio dei Ministri. Essi agiscono – almeno in democrazia – secondo quello che reputano essere l’interesse della Patria, avendo soppesato i pro e i contro, ed essendo perfettamente coscienti che molti giovani moriranno:  ma c’è solo da sperare che non sbaglino. Non si può andare oltre.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

P.S. Per chi fosse interessato, su www.pardo.ilcannocchiale.it un forum dal titolo “conversazione teologica”, introdotto da uno scritto dello stesso autore.

MORIRE PER KABUL?ultima modifica: 2009-09-25T10:45:00+02:00da gianni.pardo
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