TREGUA, PACE E GIUSTIZIA

TREGUA, PACE E GIUSTIZIA
Un lungo articolo di Daniel Pipes[1] sostiene che Israele non otterrà mai la pace con le concessioni ma conseguendo una vittoria. Yitzhak Rabin diceva che la pace si fa con i nemici ma – precisa Pipes – con i nemici vinti: la vittoria non ha alternative. Questa tesi è interessante per una riflessione più generale.
La nostra epoca è lodevolmente pacifica e, per così dire, “compromissoria”. Di fronte a qualunque contrasto il primo imperativo non è quello di dar ragione a chi ha ragione, ma quello di giungere ad un accordo tenendo conto degli interessi di chi ha torto. Se un poveraccio disoccupato rubasse un milione di euro, e fosse scoperto prima ancora che avesse speso quel denaro, giustizia vorrebbe che il denaro fosse interamente restituito al legittimo proprietario. Di fatto, secondo la mentalità corrente, sarebbe giusto che la maggior parte di quel denaro tornasse al ricco, ma una parte rimanesse al disoccupato, perché in stato di necessità; perché ha una famiglia; perché è la prima volta che ruba; perché, soprattutto, il dogma è che la ragione non sta mai tutta da una parte. In che modo è divenuto ricco, quel tale? Quanto ha pagato d’imposte? Le ha pagate tutte? Ed è giusto che ci sia da un lato chi è ricco e dall’altro chi non ha abbastanza da mangiare?
Questo tipo di ragionamento è assurdo. Se il bisogno scusasse, tutti si dichiarerebbero in bisogno. Il disoccupato deve essere aiutato dallo Stato, non può pretendere di derubare un privato. Inoltre, chi dice che il disoccupato non sia tale perché licenziato come ladro dall’impresa presso cui lavorava? Ipotesi perversa? E non è perverso chiedersi in che modo si è arricchito il derubato?
Analogo è il vangelo dei sindacati. Se il banconista licenziato vieta ai clienti di entrare nel bar, siamo di fronte a un reato. Se invece trecento dipendenti occupano una grande azienda, si chiama azione sindacale e per essa tutti esprimono comprensione. Bisogna concedere qualcosa ai quei lavoratori, indipendentemente dal fatto che abbiano ragione o torto.
È triste che questa mentalità imperi anche in ambito internazionale. La nostra epoca ama la tregua più della pace e la pace più della giustizia. Sosteneva una volta Luttwak che nell’ex-Jugoslavia il problema sarebbe rimasto eterno se non si fosse permesso ad un gruppo etnico di sterminarne un altro o almeno di scacciarlo da un dato territorio. A prescindere dal dato giuridico e a prescindere dalle esigenze di umanità, in passato si è raggiunta una pace stabile quando una parte è riuscita a schiacciare completamente l’altra. Gli esempi sono infiniti, aggiungiamo. Nel 1918 la Germania guglielmina perse l’Alsazia-Lorena ma il Paese non fu devastato: da questo nacque il revanscismo. Il Terzo Reich subì invece un disastro completo e crudele e il risultato è stato che la Germania non solo non ha più parlato di riavere l’Alsazia-Lorena ma ha rinunziato senza fiatare a grandi territori a est e persino a Königsberg.
La tesi di Luttwak può far saltare sulla sedia ma essa è vera de facto ed è orrendo che funzioni anche quando chi aggredisce ha torto e chi è aggredito ha ragione. Per questo è inaccettabile che si vieti a chi ha ragione di conseguire una vittoria totale e stabile. La pace è sicura solo quando lo sconfitto sa di non avere possibilità di rivincita. Se invece, come avviene, si ama più la tregua che la pace, e si fa di tutto perché intanto si cessi di sparare, chi stava perdendo da quel momento pensa a una seconda manche.
La regola è semplice: si deve sperare che l’aggredito sia veramente tale e non un aggressore che si maschera da aggredito, ma poi, se si vuole la pace, gli si deve permettere di vincere veramente la guerra.
Oggi l’amore della realtà (che è la stessa per il banconista e per i trecento lavoratori) e l’amore della giustizia (per cui l’aggredito deve avere il diritto di difendersi) è insufficiente. Si ha tendenza a sognare e predicare tonnellate di alta moralità, col rischio che questa nobiltà sia pagata da chi ha ragione. Senza dire che il prolungarsi di un conflitto alla lunga è pagato più duramente anche da chi ha torto.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
21 ottobre 2009

[1] http://www.danielpipes.org/7653/peace-process-or-war-process

TREGUA, PACE E GIUSTIZIAultima modifica: 2009-10-21T11:50:41+02:00da gianni.pardo
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