IL CANE APPESTATO DELLA CONSULTA – 3, fine

IL CANE APPESTATO DELLA CONSULTA – 3, fine

L’ultima argomentazione della sentenza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano (LA) è quella che è più facile da capire e infatti è quella che maggiormente è stata sbandierata dai demagoghi: l’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge.

In passato è stato già notato che, se se ne facesse un totem, bisognerebbe unificare i gabinetti per le donne con quelli degli uomini; la realtà è che non si può concedere il voto politico ai ragazzini di dieci anni solo perché sono cittadini italiani come gli altri. Non si può pagare nello stesso modo il grande chirurgo e l’ultimo degli infermieri solo perché ambedue curano malati. Non si può pretendere che il grande stratega, solo perché un militare come gli altri, vada all’assalto all’arma bianca insieme con i coscritti: il Paese ricava una maggiore utilità dalla sua competenza che dalla sua morte. Viceversa è giusto che un capoufficio donna guadagni quanto un capoufficio uomo ed è giusto che, per l’omicidio, si applichi la stessa pena al bracciante e al miliardario. L’art.3 della Costituzione va visto e applicato cum grano salis.

L’uguaglianza non vale per tutti i cittadini indistintamente ma per tutti i cittadini nelle medesime condizioni. Perfino dinanzi al diritto penale c’è la speciale posizione del Presidente della Repubblica. Ma, potrebbero dire i giudici della Consulta, la sua speciale immunità è prevista dalla stessa Costituzione: dunque, se analoga norma si vuole stabilire per il Primo Ministro o per altre cariche dello Stato non basta una legge ordinaria, bisogna farlo con norma costituzionale. Sembra una tesi perfetta e forse lo è: ma non riguarda l’uguaglianza. Infatti nel momento in cui, per il diritto penale, la Costituzione ammette un differente trattamento per i parlamentari e per i cittadini comuni (per es. l’art.68 Cost. del 1948), non va contro l’uguaglianza dei cittadini, ma riconosce che c’è un’oggettiva differenza fra alcuni di loro e gli altri che giustifica un diverso trattamento.

Poi quell’immunità fu abolita (1993) ma non divenne per questo anticostituzionale nella sostanza: infatti si trattava e si tratta di sapere se il sereno e indipendente funzionamento delle istituzioni pubbliche sia meglio favorito da quello scudo o dalla libera azione penale nei confronti anche dei massimi politici. Sarebbe strano che oggi fosse anticostituzionale una norma che prima era costituzionale.

I giudici della Consulta potrebbero tuttavia appigliarsi al dato formale e dire: una norma che vieta di procedere penalmente contro deputati e senatori non è anticostituzionale se è prevista dalla stessa Costituzione, è anticostituzionale in ogni altro caso. Argomento di pregio che tuttavia soffre di un’obiezione: se è così, come mai questo punto non è stato segnalato in occasione del Lodo Schifani (LS), come ci si chiedeva nel primo di questi tre articoli? Si potrebbe dunque dire sul muso, ai molti che hanno sbraitato di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, che la stessa Corte Costituzionale, nel rigettare il LA, non ne ha fatto una questione di sostanza (l’uguaglianza dei cittadini) ma di forma (il procedimento di adozione della norma). L’uguaglianza non c’entra.

Se l’art.3 della Costituzione impone che siano trattati nello stesso modo tutti i cittadini nelle medesime condizioni, e se si lascia da parte un’irrealistica e del tutto teorica uguaglianza di tutti i cittadini in qualsivoglia stato o circostanza, è facile rispondere che il Presidente della Repubblica, i ministri, i Presidenti delle Camere e gli stessi membri delle Camere non sono nelle condizioni di tutti  i cittadini indistintamente. Per la conduzione della cosa pubblica, essi non hanno la stessa importanza degli altri; non votano una volta ogni cinque anni; nel funzionamento dello Stato sono essenziali in ogni giorno della legislatura. È questo che ha dato luogo all’art.68 della Costituzione qual era prima del 1993. Se oggi il Parlamento lo volesse reintrodurre pari pari, la Consulta potrebbe forse dichiarare questo redivivo art.68 anticostituzionale? L’ipotesi non ha senso.

La conclusione è semplice: il LA non andava contro il principio dell’uguaglianza dei cittadini, come massimo è stata sbagliata la procedura d’approvazione della norma. Ma, se così fosse, la Corte Costituzionale avrebbe gravemente sbagliato nel non indicare questo motivo di incostituzionalità in occasione del LS. E sarebbe triste che, per commettere un così grave errore giuridico, sia stato necessario riunire quindici fra i migliori giuristi della Repubblica.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

23 ottobre 2009

IL CANE APPESTATO DELLA CONSULTA – 3, fineultima modifica: 2009-10-24T11:23:00+02:00da gianni.pardo
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