IL SIGNIFICATO DELL’ELEZIONE DI BERSANI

IL SIGNIFICATO DELL’ELEZIONE DI BERSANI

Durante la campagna per l’elezione del nuovo segretario del Pd abbiamo visto le facce dei candidati, abbiamo sentito qualche frase, ma nessuno di noi sarebbe capace di dire che cosa differenzia i programmi dei tre. Magari qualcosa si potrebbe pensare di Marino, dal momento che, essendo sicuro di non essere eletto, ha potuto parlare un po’ più apertamente in tono laico e progressista: ma gli altri due o non avevano un programma – come non l’ha il Pd – o non si potevano permettere di esprimerlo. Qualunque intenzione potrebbe poi urtare con la linea del partito il giorno in cui esso la decidesse. L‘unica differenza fra i concorrenti è stata di stile.

Franceschini ha continuato a sputare veleno, a dar fondo al suo repertorio di ringhi antiberlusconiani e a ripetere i suoi forsennati e catastrofici allarmi sulla fine della democrazia. Se la base l’avesse votato avrebbe segnalato che non le importava tanto rilanciare il partito o governare il Paese quanto gridare la propria rabbia. Programma peggio che magro e odioso: inconsistente. E infatti qualcuno, a sinistra, ha detto che se Dario fosse stato il prescelto, il centro-destra avrebbe dovuto festeggiare: sarebbe stata la promessa di rimanere al potere a tempo indefinito. Ma in democrazia nessun partito può ragionevolmente sperare di restare per sempre al potere e l’opposizione deve dunque essere in grado di governare, dal momento che comunque sarà chiamata a farlo. Per questa funzione un politico di seconda schiera come Franceschini, capace soltanto di solleticare i più bassi istinti della sua base, non avrebbe dato nessun affidamento. Avversari imprevedibili ed irragionevoli possono risultare più dannosi per il Paese di avversari duri e risoluti ma razionali.

Non si vuol dire che Franceschini sia un cretino, cioè colui che, nell’accezione di Carlo Cipolla, è capace di fare del male, oltre che agli altri, a se stesso. Però sembra far parte di quel genere di persone che non hanno paura dell’autolesionismo proprio perché non riescono a diagnosticarlo. Basti pensare alla battuta su Berlusconi come padre.

Bersani invece ha cercato di presentarsi come un uomo riflessivo. Un politico moderato e ragionevole più che un demagogo. Un dirigente non tanto di sinistra da spaventare l’ex-Margherita e più che altro oppresso dalla responsabilità di guidare un partito che ha bisogno di un rilancio. Ha dato l’impressione di non tendere soltanto a vincere questa tornata elettorale ma anche (speriamo) a ricercare una rifondazione del partito nel segno del realismo.

La base, votando per lui, ha dimostrato che i fuochi d’artificio di Franceschini – eco di quelli di Di Pietro – non l’hanno convinta. Il potere non si riconquista scrivendo sui muri “abbasso Berlusconi!”, come writers di periferia. Bisogna esprimere critiche sensate e comprensibili dell’azione di governo, bisogna proporre soluzioni diverse e migliori, dimostrandosi non tanto malati di odio quanto pensosi del bene del Paese. E in questo campo non ci sono lezioni da ricevere da Di Pietro. Ecco perché Bersani ha detto che “il migliore antiberlusconiano è quello che Berlusconi lo manda via”, non quello che l’insulta tutti i santi giorni.

Se veramente si rivelasse come qui lo si è visto, e se il partito lo lasciasse fare, Bersani potrebbe dare una speranza alla sinistra. Non si può nascondere la soddisfazione per lo scampato pericolo. Meglio avere un avversario ragionevole che un avversario specialista del ruggito del topo, meglio avere un’opposizione parlamentare e ragionante che un movimento che sogna la rivoluzione in piazza, a base di girotondi.

Voltaire ha scritto (citazione a memoria): “Non è vero che tutti gli uomini agiscono per interesse. Se fosse vero, ci sarebbe modo di mettersi d’accordo con loro”. Bersani potrebbe avere l’intelligenza di capire che talvolta l’interesse dell’opposizione è quello di riconoscere una buona proposta della maggioranza, e sostenerla per il bene proprio e del Paese. E per il possibile, futuro ritorno della sinistra al potere.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

26 ottobre 2009

IL SIGNIFICATO DELL’ELEZIONE DI BERSANIultima modifica: 2009-10-26T10:51:13+01:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “IL SIGNIFICATO DELL’ELEZIONE DI BERSANI

  1. in italia c’è bisogno di voltare pagina, anche in modo traumatico. d’alema, effettivo segretario del pd, da 20 anni a questa parte, rappresenta quanto di più marcio ci possa essere in politica, con i suoi squallidi intrecci con il peggio dei politici italiani, purtroppo ancora oggi rappresentati da fini, casini e berluscone. rinnovamento non ci può essere allorchè anche la più nobile delle idee viene affidata ad un soggetto poco raccomandabile.
    affidarsi a d’alema è come affidare un asilo ad un pedofilo, magari mai condannato, ma pur sempre un pedofilo.e poi cosa c’è da aspettarsi. dopo la caduta di quello che all’estero definiscono vecchio debosciato, gli italiani si troveranno ad essere governati di nuovo da casini fini d’alema, ovvero il rimeio peggio del male. se avesse vinto marino, se non altro, ci sarebbe stato un piccolo segnale di cambiamento, ma negli ultimi tempi, il terzo incomodo è stato oscurato dai mezzi di comunicazione i massa, soprattutto da quelli de fasullo centro-destra, evidente un motivo ci deve essere, non bisogna far rompere le uova nel paniere ad alcuno, almeno finchè non avranno trafugato anche i denti d’oro che il cadavere italia ancora possiede.

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