IL LAMPO CHE SEGUE IL TUONO

 

Nessuna persona sana di mente giudicherebbe un ferro chirurgico sulla base dell’estetica: l’unico metro, in questo caso, è l’efficacia sul tavolo operatorio.

Nel caso del “processo breve” la discussione rischia di essere falsata da un analogo errore di fondo. Valutare i provvedimenti del governo col metro del diritto è fuor di luogo: si può utilizzare questo strumento solo quando si è ragionevolmente sicuri che tutti si atterranno ad esso. Ma se qualcuno vuole comunque ottenere un risultato, come il lupo contro l’agnello nella favola di Fedro, l’argomentazione giuridica non vale nulla. È un atto di prevaricazione, un’ingiustizia che si ammanta di legalismo. Secondo Cicerone “summum ius” può essere “summa iniuria”, si può cioè ottenere il massimo dell’ingiustizia usando il massimo del diritto: figurarsi allora quando non c’è neppure la buona fede.

Se la lettera della legge è usata come copertura delle proprie reali intenzioni, alla fine prevale il più forte. La storia di Thomas Moore ci ricorda che è inutile discutere col re di diritto e di teologia, se il re si chiama Enrico VIII. Ma almeno quell’episodio è in linea con le leggi della natura. Non è morale, non è bello che il lupo mangi l’agnello (per punirlo di crimini inesistenti e impossibili), ma è ancor più immorale e persino assurdo che l’agnello pretenda di mangiare il lupo: e in Italia l’agnello è l’ordine giudiziario, non il Parlamento o il Governo.

In questo momento dunque, riguardo alla sorte giudiziaria di Silvio Berlusconi, non c’è nessuna discussione giuridica. Non si tratta né di diritto penale né di diritto costituzionale: è in atto soltanto uno scontro senza scrupoli e senza esclusione di colpi fra i poteri, in cui moralmente si potrebbe solo chiedere: “Chi ha cominciato?” E questo gli italiani lo sanno benissimo.

La persecuzione dell’uomo di Arcore è stata determinata dal suo ingresso in politica. Le sue imprese hanno subito oltre cinquecento visite della Guardia di Finanza, il Cavaliere è stato oggetto di decine di iniziative giudiziarie e di processi, anche in base al principio per cui “non poteva non sapere” e l’Anm, Md e il Consiglio Superiore della Magistratura si comportano come partiti antiberlusconiani. La tracotanza di alcuni magistrati – purtroppo i più “visibili” – arriva ad arrogarsi il diritto di giudicare le leggi invece di applicarle, e addirittura a contestare il diritto del Parlamento di votarle. A cominciare dalla riforma dell’amministrazione della giustizia.

Alcuni sono perfino arrivati a non dare esecuzione a leggi votate dal Parlamento: per esempio, anni fa, a quella sulle rogatorie e, recentemente, a quella sul reato di clandestinità. Quando, sottoposto al giudizio di magistrati che avevano pubblicamente manifestato la loro animosità nei suoi confronti, il Premier ha cercato di ricusarli, gli è stato risposto di no. Quando ha obiettato la patente violazione della competenza territoriale, si è dovuto attendere l’intervento della Cassazione per veder ristabilita la legalità. Il giudice Mesiano ha condannato la Fininvest a un risarcimento per compensare “i possibili guadagni” che De Benedetti avrebbe potuto avere (se non avesse perso la causa in tutti i gradi di giudizio, fino alla Cassazione), per una somma equivalente a una finanziaria. E questo senza neanche nominare un perito per valutare il (possibile) danno. Come dire che si condanna il ladro di un biglietto della lotteria a rifondere il valore del primo premio, dal momento che quel biglietto avrebbe potuto essere vincente. La Corte Costituzionale, per rigettare il “Lodo Schifani” e poi il “Lodo Alfano”, ha inventato nuovi e imprevedibili motivi (la mentalità giuridica del lupo di Fedro).

E val la pena di ricordare l’ultimo episodio in ordine di tempo, il processo Mills. Il momento in cui si commette il reato di corruzione in atti giudiziari per una falsa testimonianza è ovviamente quello dell’accordo fra corrotto e corruttore o, al più tardi, quello della testimonianza stessa: e dunque il reato sarebbe prescritto. I giudici allora (esplicitamente quelli d’appello) hanno stabilito che la commissione di questo reato non si è avuta con la testimonianza (mancando del resto la prova di qualsivoglia intesa in questo senso fra i due), ma nel momento in cui Mills sarebbe stato pagato. Facciamo un’ipotesi: Mills uccide autonomamente e senza alcun accordo con nessuno un giudice che indaga su Berlusconi e dopo l’omicidio Berlusconi, grato, gli fa un regalo. I giudici allora stabiliscono: primo, che Berlusconi è colpevole di omicidio e, secondo, che il momento in cui il reato è stato commesso non è la morte del magistrato ma quello in cui viene incassato il regalo. Non si sta inventando niente: la motivazione della sentenza parla chiaramente di “corruzione successiva alla testimonianza”. Insomma il lampo che segue il tuono. Secondo questa giurisprudenza, se si incarica un sicario e dopo l’omicidio non lo si paga, bisognerebbe essere assolti. Infatti non si sarebbe colpevoli di essere i mandanti dell’omicidio stesso, perché il momento in cui si consuma il reato è quello in cui esso viene remunerato. E se non è remunerato non esiste. Si può discutere di diritto, così?

Berlusconi, pur essendo stato assolto molte volte, è stanco di battagliare per vedere riconosciuta la propria innocenza.  Né ormai è sicuro che gli vada sempre bene. Non aver fatto nulla di male non basta affatto per essere al riparto da una condanna infamante.

Per tutti questi motivi oggi il Cavaliere sembra risoluto ad ottenere – stavolta sì – una legge ad personam che lo salvi da questa indebita persecuzione. La sua totale sfiducia nella magistratura è divenuta del resto la sfiducia della maggioranza degli italiani, che diversamente non lo sosterrebbero tanto convintamente: e questo è un autentico disastro per la democrazia.

Se si riuscisse a mettere punto a questa ignobile vicenda chissà che, fra un decennio o due, i cittadini non riescano di nuovo a convincersi che i giudici amministrano la legge imparzialmente e senza intenti politici. Purtroppo attualmente il nostro non è uno Stato di diritto, ma uno stato di guerra civile a bassa intensità. Sediamo  sulle macerie di una nazione dominata non dall’equilibrio dei poteri ma da un odio fanatico. Gli antiberlusconiani viscerali volevano abbattere un uomo ed hanno quasi assassinato la democrazia. Per fortuna l’età sconsiglia a Berlusconi di passare il Rubicone: ma nessuno dovrebbe dimenticare che i propri eccessi possono provocare simmetrici eccessi della controparte.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

22 novembre 2009

 

IL LAMPO CHE SEGUE IL TUONOultima modifica: 2009-11-22T10:44:00+01:00da gianni.pardo
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