IL PARTITO DELL’ODIO

Raccontano che il Grande Capo di un’industria aeronautica tenesse dietro la scrivania la gigantografia di uno scarabeo con sotto la scritta: “Un ingegnere aeronautico aveva detto: non potrà mai volare”. Né meno saggi erano i filosofi scolastici che affermavano: “ab esse ad posse valet illatio”, cioè “se una cosa è, è segno che può essere”. Riflessioni che vengono in mente quando un fatto, malgrado la sua evidenza, ci sembra incedibile. Se, per esempio, un giovane Antonio Di Pietro ci avesse prospettato la sua intenzione di divenire un leader della politica, ci saremmo messi a ridere. Ma, come si dice: who has the last laugh? Chi ride per ultimo?
Tutto questo viene in mente quando Silvio Berlusconi improvvisamente si mette a parlare d’amore e di partito dell’amore. Dichiarazioni di questo genere fanno pensare a La Pira buonanima e producono un brivido di disagio nella schiena. Pongono perfino interrogativi sulla salute mentale di chi parla. Ma se La Pira è rimasto confinato al folclore della politica e forse dell’agiografia, il Cavaliere è tutt’altro che un ingenuo. Un ingenuo non sarebbe mai arrivato dove è arrivato lui. In passato il Cavaliere ci ha già abituati all’idea che se lui ha un’idea pazza, può darsi che quell’idea pazza abbia successo. Fonda dall’oggi al domani un partito con un nome da slogan calcistico e quel partito diviene il primo d’Italia. Implora da Martinazzoli una migliore resistenza ad Occhetto, non l’ottiene, e realizza lui, il dilettante, quello che i professionisti della politica reputavano impossibile. Berlusconi, come lo scarabeo e perfino come Di Pietro, è meglio giudicarlo con prudenza. Tuttavia, dopo queste dovute genuflessioni, rimane l’interrogativo: il partito dell’amore? Stiamo scherzando?
Quando l’uomo di Arcore è sceso in politica, l’ha fatto in nome dell’anticomunismo, e sappiamo tutti che oltre metà degli italiani è risolutamente anticomunista. Poi ha parlato di diminuire le tasse, e sappiamo che alla totalità degli italiani non piace pagarle. Poi ha parlato di libertà e gli italiani, che sono naturaliter degli anarchici, non potevano che applaudire. Ma l’amore? Sin dai tempi di Dante se gli italiani qualcosa hanno amato, è stato scannare i concittadini. E figurarsi quelli di un altro comune. Nel corso dei secoli, in Europa francesi, inglesi, spagnoli e tedeschi hanno dato prova, con azioni di gruppo, di grandi capacità guerriere. I giapponesi sono un vero popolo: un insieme in cui il singolo è pronto a sacrificarsi per la comunità. E gli americani, nel Pacifico, ne hanno saputo qualcosa. Gli italiani invece amano solo le guerre intestine.

Sarebbe stato accettabile se Berlusconi avesse propugnato non l’amore, ma l’amore libero. Perché moltissimi, almeno nei nostri desideri, siamo puttanieri quanto lui. Ma l’amore dell’avversario? Anzi – siamo in Italia – del nemico?
Certo, può darsi che ancora una volta Berlusconi tiri fuori dal cilindro un coniglio sgambettante: ma stavolta è lecito dubitarne. Forse non ne uscirà niente – e sarebbe il male minore – forse una cartolina di Buon Anno. Il Cavaliere è poco oltre i settant’anni ed oggi le speranze di vita sono rosee anche per persone della sua età: non è ancora il momento che dia segni di sbandamento mentale. Si può dunque accettare che dichiari di amare Dario Franceschini, Furio Colombo e persino Marco Travaglio, purché sotto sotto prepari qualche bazooka per trasformarli in pulviscolo. Diversamente, dovremo trovarci un altro Cavaliere. Oppure prepararci all’idea che torni Romano Prodi e ci farfugli qualcosa che non capiremo. Ma allora non sarà perché avrà parlato di amore, sarà semplicemente perché l’eloquio del Professore è l’equivalente acustico della scrittura cuneiforme.
Se ora avessimo il coraggio di Di Pietro, al cui confronto Garibaldi era un timido e un codardo, dovremmo fondare il partito dell’odio. Con questo programma: “Non odiamo la sinistra, non odiamo la destra, odiamo tutti. E non perché abbiano fatto qualcosa o contino di farla: odiamo tutti e basta. Ci riserviamo di odiare anche i nostri compagni di partito e una parte di odio la riserviamo a colui che la mattina vediamo allo specchio”. Quest’ultima affermazione spingerebbe a prendere la tessera, fra i primi, Antonio Di Pietro e Marco Travaglio. E li capiremmo senza difficoltà.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
29 dicembre 2009

IL PARTITO DELL’ODIOultima modifica: 2009-12-29T10:23:00+01:00da gianni.pardo
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