LE NEVROSI DI GRUPPO ITALIANE


Un individuo che ha un comportamento abnorme è nevrotico. Se è tanto geloso della moglie da impedirle di uscire di casa, a meno d’essere accompagnata da un membro della famiglia di sesso maschile; se è tanto geloso da vietarle di parlare con uomini o di farsi visitare da un medico; se è tanto geloso da non permettere a nessuno di guardarla in faccia, in Europa è considerato un pazzo. I cittadini dell’Arabia Saudita che si comportano così invece non sono nevrotici e nessuno di loro accetterebbe l’ipotesi d’essere un demente. Sono piuttosto gli Europei ad essere immorali.
L’orizzonte mentale e comportamentale di ogni individuo è il gruppo nel quale vive. Lo standard sociale è molto spesso l’unico metro del vero e del falso.
Questo concetto si rivela utile anche per capire l’origine di fenomeni che coinvolgono milioni di persone. Se alcuni hanno un’idea paranoica comune possono facilmente suggestionare un nuovo arrivato, soprattutto se la strada è spianata da un pregiudizio favorevole: per esempio la tendenza a trovare un capro espiatorio. Il singolo entra in contatto con degli antisemiti e quella che fino a quel momento era stata un’ipotesi saltuaria diviene una certezza: “Lo dicono tutti”; “Se loro ne sono così sicuri, è perché hanno studiato il problema meglio di me”. “E poi sto tanto bene con loro, non possono che avere ragione”. Così il gruppo si ingrossa e fa valanga.
Un altro esempio lo forniscono le Crociate. Per secoli, prima e dopo, la Cristianità si è occupata solo marginalmente dei “Luoghi Santi”. In quegli anni, invece, per migliaia e migliaia di persone divenne indispensabile ed impellente liberare la Palestina dagli infedeli. Chi avesse chiesto con aria ingenua: “Ma che ve ne importa? Vale la pena di fare una guerra, per questo?”, sarebbe stato guardato come un empio e un eretico.
Né la modernità ci ha resi più savi. Una trentina d’anni fa, dovunque ci fossero contratti pubblici si dovevano pagare tangenti ai partiti. Percentuali e coefficienti erano canonici e prestabiliti. “E qualcuno non denuncia tutto questo?”, chiedeva il solito ingenuo. Ma sarebbe stato inutile: le azioni giudiziarie erano regolarmente insabbiate e il guastafeste da quel momento non otteneva più un contratto. Tutti ormai trovavano questo stato di cose normale: i partiti ne vivevano, i magistrati soffrivano di cateratta bilaterale e i cittadini mettevano quelle somme nella colonna dei costi.
Poi, un giorno, cominciando da un certo Mario Chiesa, si scoprì che tutto questo era illecito. Centinaia di magistrati, miracolati da Santa Lucia, improvvisamente si misero ad inseguire e sbattere in galera migliaia di imprenditori e politici, azzerando interi partiti (ma non tutti). Gli italiani si spellavano le mani ad applaudirli. Giudicavano assolutamente inammissibile ciò che fino a quel momento avevano ammesso, insopportabile che ciò che avevano sopportato, illecito ciò che avevano giudicato normale e spregevoli criminali quegli stessi politici che prima avevano avvicinato col cappello in mano e della cui amicizia si erano vantati. La nevrosi collettiva aveva cambiato di segno. Quegli stessi magistrati che fino a un anno prima non si erano accorti di nulla erano ora considerati cavalieri dell’ideale ed incoraggiati ad essere perfino crudeli con gli accusati.
Questo genere di fenomeni sociali può provocare una sorta di sbigottimento. Lo spaesamento, lo smarrimento vagamente fantastico di chi, non essendo suggestionabile, vede un’intera folla che ammira gli abiti nuovi dell’imperatore in mutande. Questo stato d’animo può assalirci sentendo il coro di quelli che sostengono che la Resistenza (quella che avrebbe in maggioranza voluto Stalin al potere) ha creato i valori democratici delle rivoluzioni americana e francese. Come anche il coro di quelli che si sentono nobilmente spietati – piccoli Robespierre  – nel condannare Craxi senza attenuanti e rimpiangendo di non averlo potuto vedere in galera. Un coro che poi ha deviato la propria animosità su Berlusconi, trasformandola in odio cieco, ben più acido ed implacabile di quello riservato a banditi come Vallanzasca o assassine di innocenti come Anna Maria Franzoni. E soprattutto un odio ben più inestinguibile di quello sentito per mandanti di omicidi come Adriano Sofri: Berlusconi è un criminale impunito, un pendaglio da forca, Sofri una vittima del sistema, e al peggio uno che sbagliò. Lo penso io, lo pensano milioni di persone, lo certifica tutti i giorni “la Repubblica”: come potrebbe non essere vero?
Uno ripensa alla morale sessuale dell’Arabia Saudita, alle Crociate, ai Valori della Resistenza, a cento di queste cose e conclude: ma non vuole proprio suonare, la sveglia? Quando uscirò da questi incubi?
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
1 gennaio 2010

LE NEVROSI DI GRUPPO ITALIANEultima modifica: 2010-01-01T11:17:18+01:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “LE NEVROSI DI GRUPPO ITALIANE

  1. Tocqueville, nell’Ancien Régime et la Révolution, ha dimostrato che molta parte delle istituzioni francesi sono sopravvissute, immutate, a quella grande tempesta. Il popolo non cambia opinione da un giorno all’altro. Quando un Paese che ha il primo grande partito fascista d’Europa passa ad avere il più grande partito comunista del mondo libero, si conferma l’amore per il totalitarismo. Per questo non è strano che personaggi come Dario Fo, Giorgio Bocca, Eugenio Scalfari siano passati dal fanatismo fascista al fanatismo antifascista.
    (non è mia,l’ho incollata, non so di chi sia)

  2. Ho riconosciuto le idee e lo stile, ho controllato ed effettivamente… sono io che ho scritto quelle frasi, in un articolo intitolato “Il piccolo errore”, della fine del 2008.

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