DI PIETRO IN PAPUASIA

È raro che si legga un articolo interamente dedicato ad Antonio Di Pietro. La prima ragione è  probabilmente la legittima difesa. Sarà un’impressione sbagliata, ma in più di un’occasione si è avuta la sensazione che i magistrati abbiano tendenza ad assolvere il nostro ex-pm e nel frattempo a condannare a congrui risarcimenti chi si sia permesso di criticarlo in modo pepato. Perché correre rischi? Si può tentare di parlarne solo dal punto di vista sociologico, se non addirittura etnologico.
Bisogna partire da un assioma: l’ignoranza è molto più vasta e profonda di quanto di solito non si creda. Non c’è niente che sia talmente facile e corrente da essere noto a tutti e capito da tutti. Un esempio evidente: le fasi della Luna. Tutti conoscono il nostro satellite, sanno che a volte c’è e a volte non c’è, a volta ha la gobba a destra e a volte a sinistra, sorge alle ore più impensate, ecc, e tuttavia quanti, se richiesti, dimostrerebbero di conoscere questa meccanica celeste, quanti riuscirebbero a spiegarla?
Ma non mancano solo i dati culturali: mancano anche i metodi di comprensione del reale. Secondo Lévi Strauss, per un certo gruppo di primitivi l’incantesimo dello stregone, prima della guerra contro la tribù vicina, era essenziale. Erano convinti che la vittoria non dipendesse tanto dal numero dei guerrieri, dalle armi impiegate e dal coraggio dimostrato, quanto da quell’incantesimo. Al punto che, in caso di sconfitta, non pensavano che gli altri erano stati più forti, ma che fosse stato più forte il loro stregone. Tutto questo può sorprendere, eppure è molto conforme alla natura umana. Neanche noi uomini cosiddetti civili siamo molto diversi. Quando, per evitare il temporale previsto per la mattina, decidiamo di uscire di pomeriggio, e poi ci piove addosso lo stesso, diciamo stizziti: “Era destino che mi bagnassi, oggi!” Le spiegazioni meteorologiche non sono necessarie e probabilmente non le capiremmo. “Il destino”, al contrario, ci pare un concetto chiaro, che spiega bene ciò che è avvenuto. Un ragionamento da Papuasia.
La nostra mente comprende più facilmente la spiegazione “magica” che quella scientifica. Per questo, malgrado secoli di scienza, esistono ancora i maghi, i veggenti, e i guaritori. Né mancano gli oroscopi, in tutte le televisioni. È più facile credere che si è scivolati, facendosi un male cane, perché si è incontrato uno iettatore, piuttosto che  ascoltare pazientemente la spiegazione di chi ci fa notare quanto basso sia il coefficiente di attrito fra una suola di scarpa molto liscia e una pavimentazione vagamente untuosoa. Concludendo magari, il seccatore, che siamo scivolati per colpa nostra.
Questo atteggiamento mentale vale anche per la politica. La battuta “piove, governo ladro!” è un indice prezioso. Uno Stato in tanto può offrire servizi solo in quanto riscuota tasse e imposte, ma è più facile stramaledire chi le riscuote: per questo fu linciato Giuseppe Prina. E dire che in Italia non c’è una tradizione di questa pratica barbarica: ma nel 1814 per un ministro delle finanze si poté fare un’eccezione.
Per il popolo, lo Stato ha il volto dei suoi esponenti più importanti. Il resto non conta. Naturalmente è una visione per primitivi: il governo è il sommo di un’immensa piramide e moltissime decisioni sono prese a livelli intermedi. Al vertice di certi problemi ci si interessa solo se si verifica qualche guaio. A quel punto l’opposizione chiede che “il ministro riferisca”, questi si informa con i suoi sottoposti (normalmente non sa niente della faccenda) e infine va a leggere qualcosa in Parlamento. Ma per il popolo minuto il responsabile di quel guaio è lui. Anzi, in Italia, è l’onnipresente, incombente, inevitabile Berlusconi.
Se c’è un’eccezionale ondata di maltempo e i trasporti ne risentono pesantemente, un politico serio, anche se di opposizione, esita a darne la colpa al governo. La natura non chiede permesso e non sa chi ha vinto le ultime elezioni. Ma il popolino – e con lui Di Pietro – non farà nessuna indagine. In questo, come in casi simili, darà la colpa a Berlusconi. Perché è il Capo del governo e tanto basta. “Piove, governo ladro”. Naturalmente, con questi livelli di rozzezza l’ex pm non può sperare di conquistare la maggioranza degli italiani: ma a lui basta rosicchiare voti al Pd.
Ecco perché è tanto difficile parlare di lui. Questo sedicente politico ha scelto una volta per tutte di farsi l’interprete di una mentalità e non c’è nemmeno da chiedersi se creda a tutto ciò che dice: reagisce a tutti gli avvenimenti come reagisce colui che inciampa dopo avere incontrato lo iettatore. La sua non è una politica, è una serie di “piove, governo ladro”. Con l’ovvia conseguenza che, se è ladro, va buttato in galera. In particolare, essendo Silvio Berlusconi il ladro capo di un governo ladro, bisognerebbe processarlo (per la forma) e poi chiuderlo in carcere e buttare la chiave. Così, magari, smetterà di piovere.
Il fenomeno Di Pietro non è politologico. È di competenza di Claude Lévi Strauss.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
5 gennaio 2010

DI PIETRO IN PAPUASIAultima modifica: 2010-01-05T08:58:54+01:00da gianni.pardo
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