L’INTEGRAZIONE DEI MUSULMANI? IMPOSSIBILE

Il Corriere riporta una diatriba fra Tito Boeri (http://www.corriere.it/politica/10_gennaio_04/musulmani-boeri-risponde-sartori_60cb5c78-f95c-11de-9441-00144f02aabe.shtml) e Giovanni Sartori (http://www.corriere.it/politica/10_gennaio_05/sartori-replica-islam_ddd2dd00-f9c4-11de-ad79-00144f02aabe.shtml) sull’integrabilità degli islamici nella società occidentale. I loro argomenti sono seri e complessi, ma c’è un punto assolutamente centrale che merita commento. Secondo Sartori, l’“integrazione richiede soltanto che [l’immigrato] accetti i valori etico-politici di una Città fondata sulla tolleranza e sulla separazione tra religione e politica. Se l’immigrato rifiuta quei valori, allora non è integrato”.
Il problema riporta ad un quesito che bisogna discutere preliminarmente: la democrazia può ammettere nel suo seno un partito il cui scopo sia quello di eliminare la democrazia? Il dilemma non è insignificante. Se si risponde sì, la democrazia è in pericolo; se si risponde no, si annulla un caposaldo fondamentale della democrazia stessa, la totale libertà politica.
Ognuno è libero di pensarla come vuole, ma il buon senso dice che non si può chiedere a nessuno di suicidarsi. Meglio un limite alla libertà che perderla tutta. Meglio poter dire e fare tutto, salvo predicare l’assassinio del principe, che avere un principe che non permette nessuna libertà a nessuno e soprattutto non la libertà di cambiare il governo.
Si accenna a tutto questo perché la religione islamica è anche una dottrina politica che richiede l’unicità del potere. Il califfo è – e deve essere – contemporaneamente un capo religioso e un capo politico che governa in nome di Dio, secondo i principi stabiliti nel Corano. E come c’è un solo Dio non ci può essere che un solo tipo di governo. Qualcuno obietterà che questi sono i principi di bin Laden e degli estremisti in generale, ma non si può negare che essi esprimano la più rigorosa ortodossia. Non diversamente da come, nella religione cristiana, non si può negare che San Francesco sia stato più vicino alla predicazione del Vangelo di quanto siano stati i papi suoi contemporanei.
In Occidente, dalle parole: “Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” si è fatta derivare la separazione della sfera laica (e politica) da quella religiosa: ma un simile invito non esiste nella religione islamica. Mentre da noi chi si mette contro lo Stato in nome della religione è sottoposto a sanzioni penali, nel mondo islamico la ribellione in nome della religione è dovuta e obbligatoria. Il pio musulmano non può servire due padroni. La sua scelta è fra Dio e la morte per apostasia.
Le persecuzioni contro i cristiani costituiscono in questo senso un fenomeno interessante, anche se nato da un fraintendimento. I romani non invitavano quei credenti a divenire pagani, ad essere devoti di Mitra o Iside, ma soltanto a dichiarare la loro fedeltà allo Stato. E pure se essi rifiutavano per motivi di fede, le persecuzioni rimanevano politiche, non religiose: i cristiani erano visti come potenziali traditori. E sorridendo si potrebbe aggiungere che non vorremmo – come temeva Oriana Fallaci – che in Europa si finisse con un nuovo editto di Costantino a favore di Maometto.
La distinzione fondamentale è fra democrazia – governo di popolo quand’anche il popolo dovesse rendere lecito un peccato come il divorzio – e Islàm, in cui il potere appartiene a Dio, secondo l’interpretazione dei suoi rappresentanti. Per i maomettani più ortodossi i governanti laici sono abusivi. E questa non è l’ultima ragione per la quale i governi dei Paesi islamici moderati guardano agli integralisti con sospetto e allarme.
E se, a rigore, è illegittimo giurare fedeltà ad uno Stato come l’Egitto o la Giordania, guidati da musulmani, che dire di uno Stato guidato da un infedele?
Il musulmano ortodosso che venisse chiamato a giurare fedeltà alla Costituzione Italiana avrebbe la scelta fra abiurare la sua religione o mentire. E mentire potrebbe facilmente: mentre è inammissibile che il pio maomettano menta ad un altro maomettano, la menzogna è ammessa se si parla ad un infedele. E diverrebbe così uno di quei cittadini a mezzo servizio, come ce ne sono tanti in Francia e in Gran Bretagna, che non si integrano e si sentono soggetti ad un’altra autorità civile e morale: prova ne sia che chiedono il diritto di mantenere le loro costumanze (per i cibi, per la poligamia), di avere una giustizia propria (la sharia) e in alcuni casi (pochissimi per fortuna) si spingono a diventare terroristi contro il Paese che ha concesso loro la cittadinanza.
L’integrazione degli islamici non è facile come dice Tito Boeri. Essa è possibile solo al prezzo di una sostanziale apostasia. È ragionevole chiedere una conversione che molti accetterebbero solo a fior di labbra, perché accoppiata con un lavoro che rende bene?
La cosa migliore, se c’è bisogno di lavoratori, sarebbe rivolgersi verso est. Oppure accettare i musulmani, ma senza farsi illusioni sulla loro integrazione. L’esperienza francese ce lo insegna.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
5 gennaio 2010

L’INTEGRAZIONE DEI MUSULMANI? IMPOSSIBILEultima modifica: 2010-01-06T09:03:08+01:00da gianni.pardo
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