L’ITALIA È UNA REPUBBLICA FONDATA SULL’EQUIVOCO

“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Così comincia la Costituzione Italiana. Renato Brunetta ha detto che è un articolo da modificare e molti – naturalmente in primo luogo il giurista Di Pietro – gli hanno dato addosso: la Costituzione non si tocca. Ma che cosa bisogna pensarne, in realtà?
Bisogna cominciare col dire che la Costituzione si tocca, dal momento che non pare sia stata scolpita su tavole di pietra sul Monte Sinai. Bisogna solo vedere che cosa significhino quelle famose parole e quale guaio conseguirebbe alla loro eliminazione.
All’università si studia che la legge è del tutto indipendente dai lavori preparatori. Il richiamo alle ragioni per le quali si è stabilita una data norma fa parte dei metodi interpretativi ma non è nemmeno il principale. In diritto si considera la legge come un testo atemporale, da applicare partendo esclusivamente dalle parole che la costituiscono. Questo può anche condurre ad applicazioni diverse da quelle previste dal legislatore (interpretazione evolutiva) e la cosa non costituisce affatto un’illegalità. Se dunque si sostiene, come fanno in molti (e come le discussioni del 1947 autorizzano a fare) che quella formulazione echeggia la mentalità sovietica di buona parte della Costituente, non si dice nulla di veramente importante. Né salverebbero quella formulazione le parole dette già sul momento da Amintore Fanfani, quando sostenne che essa vieta che la Repubblica “possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui”. Perché questo non era necessario escluderlo: non era venuto in mente a nessuno. L’art.1 potrebbe essere valido ed importante quali che siano state le motivazioni per il suo varo perché quelle parole vivono di vita propria. L’unica condizione è che, appunto, esse significhino qualcosa.
Qualcuno ha fatto dell’ironia chiedendo se sarebbe stato possibile scrivere che l’Italia è una Repubblica fondata sull’ozio. Ma proprio questa “falsificazione” fa meglio capire che l’unico significato possibile – e allarmante – è che la Repubblica “ama di più” e “favorisce” i lavoratori dipendenti e li “preferisce” agli imprenditori, ai liberi professionisti, agli operatori di Borsa, ai pensionati, e a tutti coloro che nessuno immagina in tuta blu. Naturalmente non solo questo è un assurdo – dal momento che anche chi dirige la Banca d’Italia è un lavoratore, eccome – ma il principio andrebbe contro l’art.3, il quale stabilisce l’uguaglianza dei cittadini.
La verità è che Renato Brunetta ha torto, nel voler cambiare l’art.1: esso è talmente insignificante che, come dicevano i romani, vitiatur sed non vitiat, non ha senso ma non fa neanche male. E se piace tanto a Di Pietro, perché toglierglielo?
Come tanti altri articoli della Carta fondamentale, l’art.1 fa parte del “lato retorico” di quel testo, e ne condivide la pericolosità. Ad esso si possono dare interpretazioni lesive dei diritti di persone che, per qualche vaga ragione, si vogliano escludere dal novero dei “lavoratori”, come si può dare qualunque interpretazione si voglia al principio (art.3) che stabilisce l’uguaglianza fra tutti i cittadini. In fondo esso potrebbe anche servire a stabilire il diritto di un paralitico sessantenne ad essere assunto fra i pompieri operativi: non sono forse uguali, tutti i cittadini?
Ogni volta che lo desiderano, i magistrati e la Corte Costituzionale, per non applicare o modificare le leggi sgradite, possono far finta di applicare quei bei principi: ma sarebbe giusto rispondere col proverbio francese che qui veut noyer son chien l’accuse de la rage, chi vuole annegare il suo cane dice che ha la rabbia. Le interpretazioni non assolutamente letterali della Corte Costituzionale sono atti politici, non giudiziari. E chi ha inserito nella Costituzione grandi principi insieme ad un organismo, la Corte Costituzionale, chiamato ad applicarli, forse non si è reso conto che ha dato ad un corpo non elettivo il potere di annullare la volontà del corpo elettivo più importante del Paese: il Parlamento. L’art.1, in questo senso, è fra i meno dannosi.
Ma non è politicamente corretto dire tutto questo e ci si può aspettare di essere condannati alla gogna.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
6 gennaio 2010

L’ITALIA È UNA REPUBBLICA FONDATA SULL’EQUIVOCOultima modifica: 2010-01-07T10:13:26+01:00da gianni.pardo
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