IL PROCESSO BREVE

Se a sinistra Luciano Violante, Gerardo D’Ambrosio (http://www.ilgiornale.it/interni/limmunita_parlamentare_giusto_ripristinare_tutela/18-01-2010/articolo-id=414579-page=0-comments=1) e parecchi altri cominciano a ritenere opportuno che la politica disponga di una migliore difesa dalle iniziative dei magistrati, non è perché siano diventati berlusconiani: si rendono conto che, alla fine, è la politica che ha il coltello dalla parte del manico, se solo ha il coraggio di servirsene. Come sosteneva qualche giorno fa D’Ambrosio sul “Giornale”,  “Non esiste alcuna possibilità concreta che la magistratura esca vincente da uno scontro frontale”: è infatti il Parlamento che fa le leggi e può dare ordini ai magistrati, non l’inverso. Quanto a Violante, ha addirittura detto che i danni di questa guerra sono tali che una leggina a favore di Berlusconi sarebbe il male minore.
A proposito del “processo breve” l’opposizione lancia alla maggioranza non tanto l’accusa di votare una legge nociva per i cittadini quanto l’accusa di volere salvare Berlusconi dai suoi processi. Senza accorgersi che, se così fosse, dimostrerebbe di non avere affatto capito ciò che Violanto e D’Ambrosio segnalano. Infatti si rischia parecchio di più.
Ammettendo che la maggioranza voti una legge per difendere Berlusconi, saremmo arrivati ad un tale scontro tra poteri dello Stato che si è disposti a un abuso di potere gigantesco, ad una lex in privum lata (definizione latina del privilegio) ad una tragica stortura giuridica pur di sopravvivere a un’aggressione dei magistrati. A sinistra diranno che non c’è nessuna aggressione ma, come prima si è data per buona la tesi della legge ad personam, qui si dovrebbe dare per buona la tesi della persecuzione giudiziaria. In realtà, non importa se Berlusconi sia colpevole o innocente, se i magistrati abbiano torto o ragione. Importa che si sia arrivati ad uno scontro istituzionale; ad una crisi del modello democratico; ad un venir meno dell’equilibrio delle istituzioni. Proprio a quella guerra tra poteri dello Stato che la Costituzione del 1948 ha voluto scongiurare con l’art.68. Una guerra che infatti non si è avuta fino all’infausto 1993, quando quell’articolo è stato riformato.
Nella loro insipienza, i giustizialisti non capiscono che il governo del Paese è più importante dell’applicazione della giustizia penale in un singolo caso. Si chiama Ragion di Stato. In suo nome Craxi fece fuggire dall’Italia – applaudito da tutti – i terroristi dell’Achille Lauro, in suo nome Mitterrand dette asilo, per anni, a conclamati terroristi ed assassini e in suo nome Bush ha potuto consentire l’uso della tortura a Guantanamo. Guidare un Paese non è mestiere da crocerossine e neanche da legulei. In democrazia il Paese deve essere guidato non dalle persone che alcuni moralisti reputano degne di questo compito ma da coloro che il popolo ha mandato al potere. La Costituzione non impone in nessun articolo il dovere di un superiore livello etico, e se avesse voluto imporlo, chi avrebbe avuto il diritto di giudicare gli altri moralmente?
Al riguardo, gli ignoranti di diritto e gli ingenui, come Antonio Di Pietro, direbbero che come minimo bisogna avere il certificato penale immacolato. Senza accorgersi che così escluderebbero dalla vita politica – a parte possibili geni politici – coloro che sono stati condannati da un precedente governo dittatoriale per la loro attività di patrioti, come fu il caso di Pertini, o coloro che avessero commesso dei delitti per fini ideali, come Marco Pannella. Di un argomento così pedestre non val la pena di parlare.
Il Paese deve essere governato da chi è eletto dal popolo. Se qualcuno – poco importa se tecnicamente a torto o a ragione – usa il potere giudiziario per abbattere il governo, è legittimo il sospetto di eversione. In questo caso la maggioranza può reagire con le armi di cui dispone, in particolare con leggi che non piacciono ai magistrati. Senza dire che un governo senza scrupoli potrebbe un giorno servirsi dell’esercito e dei carabinieri per imporre la propria volontà al di là della legge. Si chiama colpo di Stato, d’accordo, ma perché tirare la coda al leone che dorme? Se vogliamo che la forza rispetti la debolezza, la debolezza deve rispettare la forza. Questo semplice principio sembra dimenticato.
Speriamo che un provvedimento qualunque salvi una buona volta Berlusconi e permetta di parlare d’altro, in un ambiente serenamente democratico. Il Cavaliere magari lo condanneremo all’ergastolo quando non sarà più Presidente del Consiglio e non c’importerà molto, di lui.
Ma forse allora di lui non importerà molto nemmeno ai magistrati.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
20 gennaio 2010


IL PROCESSO BREVEultima modifica: 2010-01-20T16:05:00+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo