LA SPIETATEZZA DELLA FIAT

La spietatezza è qualcosa di terribile. Si pensa ai torturatori, agli sterminatori, a tutti coloro che sono indifferenti al dolore altrui. Dirne bene è impensabile. E tuttavia, come per l’egoismo, per l’obbedienza e per parecchi altri concetti, il confine tra positivo e negativo è più incerto di quanto non si pensi.
In anni lontani, la Fiat è stata in tali difficoltà, da far temere per il lavoro di migliaia e migliaia di dipendenti. Per questo lo Stato è intervenuto a suo favore e nessuno l’ha dimenticato. Infatti, ora che la Società è disposta a dar lavoro agli italiani solo se può operare in modo economico, molti dicono: la Fiat ha ricevuto denaro dallo Stato, ora lo restituisca, operando qui in condizioni meno vantaggiose che altrove o addirittura in perdita.
Naturalmente la richiesta è assurda. Questi “regali” sono stati spesi decenni or sono e la Fiat non li tiene certo in cassaforte; se erano “regali”, non se ne può chiedere la restituzione; inoltre, come fare il bilancio fra ciò che la fabbrica ricevette e ciò che restituì in termini di ricadute positive per il Paese? E quanto costerebbe ora produrre in perdita, a tempo indeterminato? È chiaro che si tratta di chiacchiere da bar.
L’errore di tutto questo sta a monte. Se vedo un uomo che sta per affogare, e sono in grado di salvarlo, lo salvo senz’altro. Ma non devo aspettarmi nulla, da lui. Devo salvarlo in pura perdita, in nome del sentimento di umanità. Se viceversa qualcuno si trovasse in gravi difficoltà economiche ed io lo aiutassi, commetterei una grossa imprudenza. In questo campo chi è stato salvato una volta crede spesso di avere acquisito il diritto di esserlo di nuovo ed anzi, se non lo è, si arrabbia e minaccia di non restituire il primo denaro. Nello stesso modo: se il governo aiuta di nuovo la Fiat, sarà condannato da tutti i contribuenti italiani: “Perché dare ancora denaro agli Agnelli?”; se non l’aiuta, sarà condannato da tutti i lavoratori e tutti i sindacati italiani: “Il governo fa il Ponte sullo Stretto e pur di non aiutare la Fiat crea migliaia di disoccupati”. La soluzione? Ora forse non c’è ma un tempo ci fu: il governo non avrebbe dovuto mai aiutare la Fiat. Se aveva da fallire, che fallisse. E se gli operai avevano da rimanere disoccupati, che lo rimanessero: a chi chiedeva l’intervento dello Stato, si sarebbe dovuto rispondere che non si poteva aiutare un’impresa privata a spese dei contribuenti.
È una regola generale che si può applicare in mille direzioni. Dopo la guerra gli Stati Uniti concessero all’Europa grandi aiuti economici – il famoso “Piano Marshall” – e parecchi anziani lo ricordano ancora con gratitudine. Ma moltissimi sono pronti a dire: “Se hanno concesso aiuti, è segno che gli conveniva. Non l’hanno certo fatto per generosità”. E allora se ne deduce che, in casi simili, uno Stato deve aiutarne un altro solo se gli conviene. Quanto meno, quando sarà criticato, non si morderà le mani.
La regola vale anche ai livelli minimi. Un uomo rifiutò di vendere una casa alla sorella perché costei, che prometteva di pagare a rate, era troppo povera. Le diceva: “O pagherai le rate, affamando i tuoi figli e facendomi condannare da tutti come strozzino, o non pagherai le rate e io avrò perso l’appartamento”. La sorella si offese e ruppero i rapporti: ma li avrebbero rotti comunque.
In totale, non si può agire a fin di bene se si ha la certezza che, dopo, si sarà condannati da tutti. Perché se questo avverrà, sarà segno che si è agito male. E se non si può evitare la condanna, bisogna almeno evitare inutili perdite economiche.
Sergio Marchionne, avendo il coltello dalla parte del manico, non dovrebbe cedere su nulla. Tanto, anche a cedere fino a rischiare il fallimento, domani direbbero che, se la Fiat ha fatto questo o quello, è segno che le conveniva questo o quello.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
28 luglio 2010

LA SPIETATEZZA DELLA FIATultima modifica: 2010-07-28T13:48:56+02:00da gianni.pardo
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24 pensieri su “LA SPIETATEZZA DELLA FIAT

  1. Sempre il solito punto di partenza che il capitalismo non debba essere “etico”.
    Facciamo così, visto che la storia, l’opportunità, la legalità, la capacità … sono sicuramente soggettive e non universali, che Marchionne vada ad organizzare grandi coltivazioni di papavero con schiavi serbi o cinesi (black is quite impolite) da qualche parte, dove a tutti possa convenire.
    Così egli avrà i suoi 6,5 milioni di dollari l’anno (che gli americani “contestano” perché Crysler-FIAT è sotto Troubled Assets Relief Program), la famiglia Agnelli avrà la prosecuzione dell’Impero (iniziato con i carri armati del Duce), gli azionisti avranno i loro dividendi (money has no smell).
    Di risulta, in Italia potremmo dare qualche stabilimento automobilistico, abbandonato dall’attuale monopolista fallimentare, ai tedeschi o agli americani che pagano 55 dollari L’ORA i propri dipendenti, e non 55 dollari AL MESE.

  2. Etico no, illegale neppure. Sarcasmo fuor di luogo.
    E comunque l’aggettivo etico è preoccupante in tutte le salse. Stati come l’Unione Sovietica, l’Iran attuale, la Germania hitleriana ecc. sono stati etici. Dimenticavo la Cambogia di Pol Pot.
    Dolente, vorrei tanto che lo Stato fosse come le mutande: bisogna averle, ma non è necessario che si vedano.

  3. Dal discorso d’insediamento di Barak Obama

    Our challenges may be new.
    The instruments with which we meet them may be new.
    But those values upon which our success depends – honesty and hard work, courage and fair play, tolerance and curiosity, loyalty and patriotism – these things are old.
    These things are true.
    They have been the quiet force of progress throughout our history.
    What is demanded then is a return to these truths.”

    Le nostre sfide potranno essere nuove.
    Gli strumenti con cui le affrontiamo potranno essere nuovi.
    Ma i valori su cui si fonda il nostro successo – onestà e lavoro duro, coraggio e fair play, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo – sono antichi.
    Queste cose sono vere.
    Sono state la quieta forza del progresso attraverso tutta la nostra storia.
    Quello che ci è richiesto ora è un ritorno a queste verità.

  4. Belle parole, ma solo parole e nient’altro. Vanno bene per un discorso di insediamento (che dura lo spazio di un mattino), ma con le belle parole non si governa un bel nulla, nè uno stato nè un’azienda.
    La realtà come abbiamo visto è ben diversa. Anche per obama che non sta facendo in molti settori nulla di diverso da bush, però ogni tanto dice belle cose che piacciono alle anime semplici e ai sognatori.
    Quanto a Marchionne ha detto cose talmente banali e ovvie (gli stabilimenti devono funzionare e basta) che le ha capite e condivise persino D’Alema. Il quale con molta ragione sostiene non solo che è stato un grave errore da parte sindacale proteggere sempre e comunque gli assenteisti e i lavativi ma che l’operaio di un tempo mai si sarebbe dato malato o avrebbe danneggiato la produzione per una partita di calcio. E anche questa è etica.

  5. Stiamo qui discutendo di come la FIAT stia cercando di imporre con arroganza (“La spietatezza è qualcosa di terribile. Si pensa ai torturatori, agli sterminatori, a tutti coloro che sono indifferenti al dolore altrui …”) il proprio progetto di relazioni sindacali.
    Pardo sostiene che FIAT dovrebbe andare per la sua strada, qualunque essa sia (“Sergio Marchionne, avendo il coltello dalla parte del manico, non dovrebbe cedere su nulla.”) in virtù del fatto che, comunque faccia, incapperà in lodi e critiche, quindi tanto vale che persegua il proprio fine (“E se non si può evitare la condanna, bisogna almeno evitare inutili perdite economiche.”).

    Per me, l’Impresa che abbia a cuore i soli interessi degli azionisti, l’Impresa che per ogni € di valore abbia già contratto 2,5 € di debito, l’impresa che tenga la propria forza lavoro poco al di sopra della soglia di povertà europea, deve chiudere (CHIUDERE).

    E la FIAT non ha il coltello dalla parte del manico, è solo un giocatore del casinò che millanta fama e ricchezze per avere credito al tavolo da gioco.

    Se fossimo seri, se avessimo rispetto dei “valori” (consiglio la rlettura dell’art. 41 della costituzione), lo andremmo a vedere il bluff di Marchionne
    – che non sa come vendere sulla rete CRYSLER risanata dagli americani con il TARP le Fiat500 di FABBRICA ITALIA made Zastava, Kragujevac (Serbia)
    – che non potrà che pagare l’acquisizione Crysler con FIAT Auto stessa, non avendo un euro di liquidità
    – che trasferirà la maggior parte del debito su FIAT Industrial (per poi farla fallire o venderela?)

    Questi sono dati, questi sono numeri, questi sono principi.

    Ma il banco del casinò è tenuto da “la gente”, il banco è Berusconi (Sacconi !!). E il casinò deve pagare gli affitti, i croupier, le ballerine e molti, a quanto pare, ucciderebbero anche la madre per … scelta prammatica (il sarcasmo è d’obbligo qui)

  6. L’art. 41 cost. è forse quello più insulso di tutto il titolo III (che pure di formulazioni vuote e vacue ne contiene). Frutto del solito compromesso consociativo è figlio di una concezione dell’impresa e della sua funzione vecchio come il cucco e di una cultura da piani quinquennali di infausta memoria. A leggerlo pare quasi che l’impresa sia qualcosa di pericoloso e potenzialmente infausto da controllare e incanalare verso misteriosi “fini sociali”. Insomma solo demagogia, si potrebbe abolire da subito e nessuno ne sentirebbe la mancanza.

  7. “l’impresa che tenga la propria forza lavoro poco al di sopra della soglia di povertà europea, deve chiudere (CHIUDERE)”.
    Se una simile impresa – e immagino parli della Fiat – deve chiudere in Italia, che cosa le importa se va a produrre altrove?
    Non vogliamo certo comportarci come quei mariti che piantano la moglie e poi sono gelosi se lei si mette con un altro, nevvero?

  8. Pardo, guardi che da quanto io leggo, è lei che vuole tenersi la FIAT in Italia e si piegherebbe al ricatto di marchionne. Io non sto nè coi piagnoni nei coi demagoghi.
    Non fanno auto che si vendono nonostante i salari più bassi dell’occidente e la rete di aiuti contestata dai tedeschi ed ora imposibile da riproporre ? Allora vadano pure … dove minacciano di andare !

  9. Ma non mi dica! Ma allora siamo d’accordo.
    1) O la Fiat se ne va;
    2) o gli italiani, non essendo d’accordo con Anthony, pur di tenersela si piegano alle sue condizioni.
    L’essenziale, per me, è che non si pretenda che la Fiat si pieghi, essa, all’idea di produrre in deficit. Perché questo ricadrebbe sui contribuenti, se conosco il mio Paese.

  10. Ho capito perché non ci capiamo.
    La produzione è un sistema chiuso. Scaricare i costi sui fornitori, sugli operai, sugli azionisti, sul cash-flow, non fa differenza. Se il sitema è in perdita, si è in perdita.
    La FIAT vuole che a pagare non siano gli Agnelli e i grandi azionisti (banche creditrici di 24 milioni di euro).
    In attesa della loro nuova grande crisi, producendo in Italia scaricheranno i costi sui contribuenti – indirettamente, surrettiziamente – ma lo faranno. E sperano che le borse premino la loro “capacità di azione” ricapitalizzando le esangui casse (crescita dei corsi azionari).
    In più, con il placet di Sacconi (!!), e la complicità dei lavoratori affamati, introdurranno in italia un sistema di relazioni sindacali da terzo-mondo. La globalizzazione di ritorno.
    E questo fa a pugni con la storia dell’occidente.

    La terza via è semplice, la FIAT “inventi” i sistemi per fare buoni prodotti, come BMW, VW, Ford, …
    Lo stato non deve conedere nulla. I sindacati non devono concedere nulla, i lavoratori non devono indietreggiare di un passo, e l’azienda deve piegarsi alla sua missione: fare buone macchine.
    La patata bollente è nelle mani di Marchionne (e delle banche).

  11. Direi invece che la patata bollente è nelle mani dei sindacati, anzi della fiom, e l’ha capito bene quella volpe di marini che parla di “scossone salutare” da parte di marchionne.
    E’ la fiom che deve decidere una volta per tutte se è d’accordo con l’obiettivo prioritario del recupero della produttività, sul quale si sono già espressi positivamente cisl e uil (fiom lo scorso anno non firmò accamopando motivazioni pretestuose), o se preferisce continuare a difendere assenteismo e massimalismo anti produttivo.

  12. Caro Anthony, credo di avere a mia volta capito perché dissento da lei. Profondamente. Lei scrive: “La terza via è semplice, la FIAT “inventi” i sistemi per fare buoni prodotti, come BMW, VW, Ford, … Lo stato non deve conedere nulla. I sindacati non devono concedere nulla, i lavoratori non devono indietreggiare di un passo, e l’azienda deve piegarsi alla sua missione: fare buone macchine”. In altre parole, lei non capisce che un’impresa non ha alcun dovere, se non nei confronti di se stessa. Non è un organo dello Stato. L’idea che un’impresa abbia dei doveri etici, o debba seguire criteri diversi dall’economia, è un’idea o religiosa o sovietica, ammesso che tra le due cose ci sia differenza. Dunque il fatto che lei le indichi i suoi doveri, anche al di là dell’economia, è vagamente assurdo, come sarebbe indicare ad un francescano che deve operare seguendo criteri economici redditizi.

  13. Enrico, che c’entrano i sindacati ?
    E poi perché ciò che dice la FIOM non va bene e ciò che dicono CISL e UIL adesso è oro colato?

    I certrificati medici li firmano i dottori. E’ truffa ai danni dello stato ed è reato penale. Facciano accertamenti invece di lanciare accuse generiche e calunniose (oggi è consentito persino utilizzare investigatori privati).

    Provino ad aumentare le paghe, invece di ridurle, e vedano se un turnista da 13.000 euro l’anno (anno!), potendosi permettere una pizza in allegria con gli amici, riesce a migliorare anche il suo stato di salute, che non è solo fisica, ma anche mentale. La salute del lavoratore è obbligo del datore di lavoro.

    Gli egizi avevano schiavi e architetti. Qui non ci sono gli architetti.
    I romani hanno avuto architetti eccelsi, e servivano loro meno schiavi.
    Qui si vogliono più schiavi.

    Il recupero di produttività è compito dei manager ultrapagati. Qui si palrla di 33 ore di lavoro per assemblare una automobile intera. Non c’è più nulla da ottimizzare se non a livello progettuale. Ricerca e sviluppo si chiama.
    Non la si deve fare per avere riduzione delle tasse (legge Tremonti) ma per ideare oggetti facili da produrre, integrati in scala mondiale, con distinta base corta, e che possibilmente possano avere una bella carrozzeria.

    Le forniture in un sistema industriale integrato complesso sono gestite da “geni” ultrapagati. E’ matematica, informatica, fisica. Gli operai non c’entrano. Comakership si chiama.

    La FIAT “vuole”, ma con umiltà deve invece “fare”.

    Le idee di Marchionne (20.000 euro al giorno) e del suo staff di luminari extra-pagati sono da scuola di economia del 1700.

    Gli analisti finanziari hanno calcolato che FIAT abbia gettato alle ortiche 66 miliardi di euro in 10 anni. Avendo però fabbricato alcune decine di milioni di automobili, la FIAT perde quindi migliaia di euro ogni auto prodotta. Migliaia di Euro!
    Che c’entra la produttività degli operai !
    E un problema progettuale che l’azienda non ha le energie per risolvere.

    Ma comunque (qui Pardo potrebbe fare analisi) anche dal punto di vista del diritto non ci siamo. La FIAT attualmente vuole trasferire 5000 lavoratori in una azienda nuova (con soli 50.000 euro di capitale sociale! – ma questa è un’altra storia) che non applica un contratto.
    Si passa cioè ad un sistema nel quale il giudice del lavoro non ha schemi di valutazione delle controversie. Rimane solo la legge 300.

    Lo farà anche senza chiudere la fabbrica vecchia, senza licenziare (pagare le liquidazioni !!) e poi riassumere, senza passare per la conciliazione obbligatoria.
    Penso che sia materia per qualche accertamento penale d’ufficio.

    Io penso che si dovrebbe passare ad un nuovo sistema di relazioni contrattuali, ma lo si deve fare nelle commissioni di studio, in parlamento, in luoghi dove le pance e i ricatti non entrano.

    Vogliamo allora parlare degli aspetti finanziari?
    L’esposizione FIAT è oltre il doppio del valore dei suoi asset. FIAT è della banche, FIAT è nelle mani dele banche, FIAT punta il coltello al collo delle banche minacciando di travolgerle nel fallimento.
    La partita finanziaria è enorme. In termini di interessi e dividendi si parla di cifre che consentirebbero di pagare 2 Pomigliano. Che c’entrano i sindacati, gli operai.
    Il rating di FIAT è bassisimo, ci sarà un perché

    I problemi sono di FIAT (manager e proprietà) – il resto è fumo negli occhi per chi non vuole vedere e per chi non ha competenze.

  14. Caro Pardo, non è come dice lei. E può trovarne tracce anche nei suoi beneamati codici.
    Ad un’impresa la società “consente” di fare impresa, per uno scopo che è principalmente collettivo.
    Dall’utilizzazione del suolo, delle acque, dei cieli, le proprietà demaniali … tutto è “concesso”, normato, e, sempre, per periodi determinati (in genere trentennali).

    Lo chiamano il “libero mercato”: impresa in un sistema di valori comuni e condivisi.

  15. La società consente all’impresa di esistere. Un’idea sovietica. (In parte, questo è vero, consacrata nella Costituzione. Ma la Costituzione, in questo, è stata influenzata proprio dai comunisti. E comunque è “predicazione”, non “normativa”).
    Infine tutti i suoi bei discorsi non impediscono che, se la Fiat è così cattiva e improduttiva, lei deve essere contento che se ne vada dall’Italia. Deve, deve, deve… Io credo di sognare. Se è un male, liberiamocene.
    Infine, mi scusi: se per decenni la Fiat ha operato male, se oggi, con Marchionne, opera male, mi spiega perché dovrei essere convinto che diretta da lei, Anthony, opererebbe meglio?

  16. In questo paese una volta erano tutti allenatori della nazionale ora pare siano tutti ad della fiat e se fossero al posto di marchionne saprebbero fare sicuramente molto meglio di lui. A parole.
    Quanto alla società (misteriosa entità non meglio identificata) che “consentirebbe” di fare impresa per uno scopo “collettivo” pare una frase presa pari pari proprio da qualche piano quinquennale o da qualche noiosissimo documento da centro studi delle frattocchie. Per chi ha nostalgia di tali istituti non si può che rimandare ai fantastici risultati che hanno conseguito.

  17. Consiglierei la lettura di Capitalism and Freedom di Milton Friedman (1970).
    Egli cerca di spiegare, e ci riesce credo, che l’impresa ha una “responsabilità sociale”.
    E questa coincide nel non creare danno ai propri didendenti, azionisti e clienti.
    Questo, in un sistema dotato di garanzie, si sintetizza nel “fare utili”.
    Non capisco tutto questo parlare di allenatori, PolPot, …
    Le garanzie devono esserci e bisogna fare utili.

    Siccome io sono un antipatico, sulla vostra supposta inesistenza dell’etica d’impresa, aggiugno che ai tempi del’Imperatore Tiberio io non avrei fabbricato croci e chiodi, nonostante sicuramente legali e remunarative; ai tempi dell’Afghanistan talebano io non avrei prodotto ciotoli, nonostante sicuramente legali e remunerativi …

  18. Pardo scrive: Ma la Costituzione, in questo, è stata influenzata proprio dai comunisti. E comunque è “predicazione”, non “normativa”).

    Bah. Io scriverei innanzitutto che la Costituzione non è stata solo influenzata, in questo, dai comunisti. La Costituzione tutta è stata “fatta” dalle forze democratiche del nostro Paese, tra cui il Pci. Poi se vogliamo aprire un dibattito sulla controversa storia del Pci e dei suoi legami col Pcus sarebbe un discorso lunghissimo e meritevole di approfondimenti storici prima di poter essere affrontato. Ad ogni modo, malgrado i suoi difetti il Pci è il Partito Comunista Italiano non il partito comunista sovietico e tutti gli storici non disonesti lo definiscono così come l’ho definito io sopra.
    Riguardo all’attribuzione della qualifica di “predicazione” alla Costituzione non c’è bisogno di una possente cultura giuridica per sapere che la Costituzione è la prima norma della nostra Repubblica.
    Lo sa anche Berlusconi, che pure non è un esperto del ramo, visto che dichiara a ogni piè sospinto che la Costituzione gli impedisce di governare.
    Oppure lei saprà che Tremonti ha proposto di cambiare proprio quell’articolo della Costituzione a cui lei si riferisce.
    A questo punto glielo spiega lei a queste insigni personalità del centrodestra che la Costituzione è solo “predicazione” e ci si può scrivere a piacimento ciò che meglio pare?
    Ne ho sentite di tesi bizzarre…

  19. Ho scritto in passato parecchi articoli che rispondono – a mio parere – alle sue tesi. Mi consenta di non riprenderli, o dovrei riscriverli qui.
    La Costituzione contiene norme giuridiche e norme che non sono tali, dal punto di vista giuridico.

  20. Inizio scusandomi per gli errori di battitura del mio precedente post.

    Chi si loda si sbroda, ma con una punta di orgoglio leggo su L’Espresso di oggi che Massimo Riva esprime le mie stesse perplessità (certo in uno stile non da pseudo-ad polpottiano) sulla spietatezza della FIAT [http://espresso.repubblica.it/dettaglio/quanti-errori-a-mirafiori/2131641]
    Invito a leggere ed estraggo:
    “… il punto cruciale è che la Fiat non ha saputo o voluto sfruttare i benefici delle sue delocalizzazioni per dedicarsi in Italia alla ricerca di produzioni a più elevato valore aggiunto. Anzi, siamo ora al paradosso per cui si vuole trasferire dalla Polonia a Pomigliano la fabbricazione della Panda, che è il modello più economico ed elementare della gamma Fiat. Scelta in forza della quale si avanza la pretesa di ottenere anche in Italia condizioni produttive e salariali almeno pari se non più competitive di quelle praticate altrove …

  21. Mi consenta, caro Anthony, di manifestare un certo fastidio anche per le righe di Massimo Riva. La Fiat avrebbe dovuto fare questo, avrebbe dovuto fare quello, avrebbe dovuto essere più capace, più manageriale, più innovativa, più sociale, più questo e più quello. Posso ricordare a Lei e a Massimo Riva che la Fiat non ha alcun dovere, come non ha nessun dovere nessuna impresa?
    Nel mondo dell’economia di un Paese libero una buona impresa è premiata dal profitto e una cattiva impresa è punita dal fallimento. Tutti i ragionamenti di Riva o della Fiom non valgono una riga dei testi di Ricardo, Stuart Mill ecc.
    Lei mi dirà che in passato lo Stato ha forse ha salvato la Fiat dal fallimento. Se così fosse, avrebbe sbagliato lo Stato allora, non la Fiat oggi. E lo Stato non l’avrebbe comunque fatto per sostenere l’azienda, ma per non avere il problema sociale di decine di migliaia di disoccupati. Non un aiuto alla Fiat ma un aiuto a se stesso.
    Pressoché ogni volta che si interviene dall’alto nell’economia la si danneggia.

  22. Mi scusi, poi ne parleremo magari in un’altra occasione, ma Ricardo e Mills sono mutuamente esclusivi. Il primo fissava il salario al livello di sussistenza del lavoratore (ragionevole forse solo in una società agricola) mentre Mills teorizzava quella etica dei sistemi produttivi che lei ha deriso qui sopra.
    buona domenica

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