VEDERE FINI, L’ELEFANTE

Il buon senso impone di non credere alle profezie. Non perché nessuna di loro si avveri mai, ma proprio perché non si sa quale si avvererà e quale no. Basta questo per renderle inutili. Né è gran merito dire che Silvio Berlusconi farà qualcosa di eclatante contro Gianfranco Fini: infatti o lo farà, o non lo farà, e chiunque ha il cinquanta per cento di probabilità di azzeccarci.
Ciò malgrado non può non colpire l’attuale coralità delle predizioni. Sono per la rottura traumatica la maggior parte dei commentatori e la maggior parte dei retroscenisti: quelli che un po’ scrivono e un po’ si trasformano in mosche per andare ad assistere ai conciliaboli più segreti. Non solo: in molti indicano anche la data, il trenta luglio, venerdì. Anche se nessuno di loro sa dire esattamente quale sarà la mossa del Cavaliere e non la conosce nemmeno Fini, stando alle interviste che rilascia.
Altra notizia corale – se notizia è, e non fantasia – è che gli intimi consigliano in tutti i modi a Berlusconi di astenersi da mosse violente ed avventate. In effetti è vero che la collera può essere pessima consigliera ma, anche questo, non sempre.
La differenza fra un politico medio e un politico straordinario sta nella capacità di vedere l’essenziale. Il professionista pesa tutte le ipotesi; prevede molti scenari; identifica mille pericoli prima che si concretizzino; non recide mai il nodo di Gordio e rimane un mediocre. Il grande uomo invece è capace di cogliere il punto fondamentale, di fare leva su di esso e di spazzar via tutti gli altri elementi. Un ottimo esempio lo fornisce l’Italia del 1993.
Con Tangentopoli una Democrazia Cristiana allo sbando, screditata, morente, si sentì delegittimata e impresentabile. Per questo cominciò a scindersi, a frazionarsi, a sfarinarsi. Ognuno aveva un proprio quadro ideologico, inseguiva una propria palingenesi e tutti presero a fondare partiti e partitini, dimenticando che la Dc era stata potente perché unita e soprattutto non per ciò che era, ma per ciò che non era: non era il Pci. Scomparsa la bandiera dell’anticomunismo, a un Pds ancora nuovo arridevano tutte le previsioni. La vittoria di Achille Occhetto appariva assolutamente fuor di dubbio e arrendersi con dignità l’unica opzione rimasta. E se questa era la situazione del più grande partito d’Italia, quante speranze poteva avere un partito di nuova formazione?
Solo un uomo dall’incredibile follia visionaria poteva levarsi contro questa logica. Silvio Berlusconi osò l’inosabile, sconfisse Occhetto e divenne Presidente del Consiglio. Come si spiega, tutto ciò?
Nell’agiografia di Berlusconi si parlerà di carisma, di colpo di genio, di straordinaria intuizione. In realtà Silvio probabilmente si disse che, come dispiaceva a lui, doveva dispiacere a milioni di italiani che i comunisti vincessero. E allora perché non raccattare la bandiera abbandonata?  Non c’era da aspettare che il partito affondasse le radici nel territorio e non c’era da lanciare un’ideologia. Ad un elettorato che non aspettava altro bastava dire: “Se siete contro i comunisti, votate per me”.
La Democrazia Cristiana non capì tutto questo perché era troppo raffinata. Le mancò un capo abbastanza pratico, abbastanza semplice, abbastanza umile per vedere l’elefante e non solo le sue pulci.
Forse oggi si è dinanzi ad una situazione analoga. Nella battaglia contro Fini ci sono mille ragioni per esitare. La situazione giuridica è in salita, le ricadute di provvedimenti di espulsione potrebbero essere politicamente negative e la maggioranza potrebbe assottigliarsi: ma forse Berlusconi ha capito che il risultato positivo, comunque raggiunto, gli sarà utile. Gli italiani non sono politologi. Non sono costituzionalisti. Non leggono molto neppure i giornali. Può darsi che oggi dicano: “Gianfranco Fini è un rompiscatole, anzi un traditore” e può darsi che domani, se Berlusconi sarà riuscito ad azzerarlo, dicano: “Ha fatto bene a toglierselo di torno. È quello che avrei fatto anch’io”. E i suoi consensi potrebbero addirittura aumentare.
È divertente scrivere tutte queste cose in un momento di poco precedente i fatti concreti: essi infatti potranno dimostrare quanto ci siamo sbagliati su tutta la linea e quanto sia difficile, vivendo il presente, prevedere il futuro.
Discutiamo sul tempo che farà, ma il cielo non ci ascolta.
Speriamo che non diluvi.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
28 luglio 2010

VEDERE FINI, L’ELEFANTEultima modifica: 2010-07-29T09:19:00+02:00da gianni.pardo
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