LE PROSPETTIVE DOPO LA ROTTURA

Quando una casa rovina, il polverone impedisce di vedere le macerie. Per questo i commenti sulla rottura Pdl-Fini risentono ancora di dubbi e perplessità che solo il tempo sarà in grado di chiarire.
Fino all’ultimo momento, nessuno sapeva che cosa intendesse fare Silvio Berlusconi. Come mi scriveva l’amico Alberto Merzi, già questo era fra gli altri un punto a suo favore: “Sembra una storia scritta da Sun Tzu [il famoso “maestro della guerra” cinese]. Mai sottovalutare il nemico, e Fini l’ha fatto. Mai usare le stesse mosse per più di due volte contro il nemico, e Fini son anni che fa sempre le stesse cose. Mai accettare battaglia dove e quando vuole il nemico, e Berlusconi ha aspettato in momento giusto. Mai fare ciò che il tuo nemico si aspetta che tu faccia; e mentre, per lungo tempo, le mosse di Fini sono state monotone, ripetitive e prevedibili, il Cavaliere ha reagito ora col silenzio, ora con l’understatement, ora con stizza, ora con battute di spirito. Dici che in molti non riescono ad immaginare in che modo possa agire Berlusconi? E’ per questo che vincerà, secondo Sun Tzu”.
Oggi i giornali annunciano brutalmente che Gianfranco Fini e i suoi sono stati buttati fuori dal Pdl e questo è formalmente falso: Bocchino, Granata e Briguglio sono stati deferiti al giudizio dei probiviri del partito. Fini, in quanto non imparziale e in quanto sfiduciato dalla formazione politica che l’ha eletto, è stato soltanto dichiarato ideologicamente incompatibile sia col Pdl che con la carica di Presidente della Camera dei Deputati. Ma l’espulsione è sostanzialmente vera: se la totalità del Consiglio, salvo tre finiani, dichiara che Fini e i suoi amici non fanno ideologicamente parte del Pdl e sono quasi dei traditori, essi sono stati effettivamente buttati fuori. Se parleranno contro Berlusconi o contro il Pdl, si potrà far spallucce. “Non c’entrano, col Pdl, si dirà. Sono già stati invitati ad andarsene; sono solo oppositori; sono stati espulsi”.
Un risultato sicuramente conseguito è quello di avere fatto felici i sostenitori del Pdl. L’indignazione nei confronti di Fini e di personaggi urticanti come Italo Bocchino era tale che la base del partito oggi gongolerà. Si udranno gli alti lai degli interessati e gli attacchi forsennati dalla sinistra ma a questi strepiti si è fatto il callo. I dissidenti in sostanza saranno membri di un partitino d’opposizione, ironicamente costituito d’autorità da Berlusconi e non più credibile dell’Idv.
Rimangono sul tappeto la sorte del governo e quella di Fini.
In primo luogo, bisognerà vedere quanti saranno, concretamente, i dissidenti. Finché non si avranno dati certi, meglio non vendere la pelle dell’orso. In secondo luogo, il governo non dovrebbe correre eccessivi pericoli perché Berlusconi deve avere usato il pallottoliere, prima di fare questa mossa. In terzo luogo i dissidenti, anche se tali, si dichiarano leali alla maggioranza: sanno che, con nuove elezioni, rischierebbero di sparire dagli schermi radar. In quarto luogo, la maggioranza potrebbe aprirsi all’Udc. In quinto luogo è vero che, con numeri risicati, sarà molto difficile votare le leggi e fare le riforme, ma da un lato si potrà sopravvivere ciò malgrado (Prodi docet), dall’altro il governo forse spera proprio di cadere. È la tesi del giornalista Riccardo Barenghi. Berlusconi avrebbe organizzato tutto questo per andare a nuove elezioni e stravincerle. Così eliminerebbe del tutto Fini e chi lo segue: l’attuale legge elettorale gli concederebbe una buona maggioranza in Parlamento anche se il risultato delle urne non fosse entusiasmante. Insomma, secondo Barenghi, si direbbe che l’attuale maggioranza non possa che cadere in piedi ma il futuro è sulle ginocchia di Giove.
Interessante è la sorte di Gianfranco Fini. È vero, non c’è uno strumento costituzionale per costringerlo a dimettersi. Ma è anche vero che oggi come oggi, per restare seduto su quella poltrona, non ha altra legittimazione che non sia la forza con cui si aggrappa ad essa. Parecchi infatti dicono che, per dignità, dovrebbe dimettersi. Inoltre ora, se appena appena sgarra, dovrà aspettarsi, che il Pdl lo additi come fazioso e inadatto a ricoprire quella carica. Né il sostegno della sinistra gli sarà utile: per gli italiani sarà la prova del suo tradimento.
Un’altra ipotesi gravida di conseguenze e fonte di dibattito fra i costituzionalisti sarebbe il voto di sfiducia ad personam. È strano che nessuno ne abbia parlato. Questa pratica fu inaugurata – con notevole sorpresa di chi scrive – contro l’integerrimo Ministro di Giustizia del governo Dini Filippo Mancuso, colpevole di avere ordinato un’ispezione sui magistrati di Mani Pulite. La sfiducia andò in porto e il ministro, coraggiosamente abbandonato da Lamberto Dini, dovette dimettersi. Se fosse sfiduciato dalla Camera che dovrebbe presiedere, Fini non potrebbe rimanere al suo posto.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
30 luglio 2010

LE PROSPETTIVE DOPO LA ROTTURAultima modifica: 2010-07-30T11:04:44+02:00da gianni.pardo
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