ELEGIA SULLA MORTE DELLA SINISTRA

Elegia sulla morte della sinistra: una morte che non si è ancora verificata ma che potrebbe aversi, se non nello spirito – ché l’essere di sinistra è una categoria mentale e caratteriale ineliminabile – certo nella vita politica.
Non c’è da compiacersene. Anche se è più facile dichiararsi vincitori quando l’avversario non si presenta, in democrazia la presenza di partiti contrapposti è garanzia di libertà e perfino di correttezza. Se, per tanti anni, la Democrazia Cristiana – e più tardi anche il Psi – hanno potuto imporre tangenti sui lavori pubblici, cioè istituzionalizzare il peculato, è stato perché il Pci – che non è mai andato al governo – non protestava. E non protestava perché anch’esso faceva i suoi bravi affari sottobanco e riceveva anche inconfessabili finanziamenti dall’Unione Sovietica. In quella situazione bloccata, il “bipolarismo imperfetto”, i due grandi blocchi hanno trovato una sistemazione di comodo estremamente lontana da quella legalità che oggi è diventata un mantra nazionale.
Forse, se il Pci avesse reputato concretamente possibile andare al governo, malgrado la divisione del mondo in due blocchi, avrebbe cavalcato la tigre della legalità quanto e più di oggi. Non sarebbe stato difficile: la corruzione era universale ed evidente. E infatti, non appena qualcuno decise che, essendo cessato il “pericolo comunista”, si poteva scoperchiare il Vaso di Pandora, è venuto giù tutto. Ed è nato il bipartitismo perfetto.
L’opposizione in democrazia non è un fastidio da eliminare, è una significativa componente del sistema se ha reali possibilità di andare al governo. Ciò la rende insieme audace e responsabile. Purtroppo un simile modello di opposizione in Italia è in pericolo. E per spiegarlo bisogna allineare alcuni dati.
È venuta meno la speranza palingenetica che teneva in piedi il Pci e la sinistra ha meno appeal che in passato. Nessuno crede che, andando al governo, essa possa, o debba, cambiare il modello di società. Si tratta dunque di qualche aggiustamento pragmatico della rotta. È troppo poco, per le menti semplici.
È venuta meno l’innegabile centralità dei successori del Pci. Non solo si sono abbassate di molto le percentuali dei consensi (dal 36%, se non ricordiamo male, del 1976, al 26% attuale, dieci punti), ma del vecchio partito è crollato perfino il sistema: si è passati dal monolitismo alla moda imperante di sparare a zero contro li Segretario.
Come se non bastasse, si era pensato ad un rinnovamento totale della linea politica, approfittando della nuova legge elettorale (voluta anche dai “democratici”), con lo slogan: o votate per noi, o disperdete il vostro voto. E poi si commisero due errori esiziali: prima si permise a Di Pietro di entrare nella coalizione col proprio simbolo, poi non si capì che bisognava contrapporsi a lui, quando cominciò a “sparare sul Comitato Centrale”, per usare l’espressione di Mao Tse Tung. Ci si lanciò invece in una rincorsa all’estremismo parolaio e questo ha portato il Pd all’afasia. Non solo non ha un programma ma teme sempre e soltanto di essere scavalcato a sinistra.
Infine, il caso Vendola. Dal momento che il Pd non ha saputo proseguire sulla strada del “partito di sinistra, moderato e ragionevole, adatto a governare”, la competizione si è spostata sul piano della protesta; del più stupido e sterile antiberlusconismo; del massimalismo utopistico; del sogno vago e confuso, ma sonoro e armonioso, di un Nicola Vendola.
Costui ha tutto per affascinare chi si accontenta dell’eleganza delle formulazioni astratte. È capace di inserire nel suo discorso politico la parola “racconto”, confessando così, freudianamente, di non collegare la politica alla realtà effettuale. E nel contempo ha tutto per allarmare i moderati: è di estrema sinistra; si proclama omosessuale; porta un orecchino che non significa niente ma disgusta gli anziani; non rifiuterebbe l’alleanza con la sinistra oggi extra-parlamentare; e infine ama proporre un profilo anti-partito, come se dovesse cambiare il mondo, mentre la nazione non crede più alle favole.
In queste condizioni, una vittoria della sinistra capace di governare diviene improbabile. Ecco perché si parla tanto di governi denominati con i nomi più fantasiosi, mentre la banale realtà è che, andando al voto, la sinistra teme di perdere. E teme, se vincesse, di trovarsi anche peggio di come si è trovato Prodi, col suo ultimo governo.
Non sta a chi non è di sinistra proporre un rimedio. Sia perché nessuno può farlo meglio degli interessati, sia perché forse un rimedio non c’è.
Tutto questo spiega la malinconica elegia. Il Pci era un partito antidemocratico e pericoloso, ma gli arrise per decenni un grande successo. La sinistra attuale è sinceramente democratica ma sta affondando nell’irrilevanza.
Gianni Pardo
giannipardo@libero.it
2 dicembre 2010
Le contestazioni argomentate sono gradite e riceveranno risposta.

ELEGIA SULLA MORTE DELLA SINISTRAultima modifica: 2010-12-02T11:29:11+01:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “ELEGIA SULLA MORTE DELLA SINISTRA

  1. non si possono argomentare contestazioni all’ovvio e all’evidente.
    ma per non fare la figura della iena anziché del leone Lei Pardo dovrebbe riconoscere che la politica è morta anche nella cosiddetta destra; se si sorvola sull’incomprensibile(per me) effetto del “pifferaio magico” la politica degli ultimi vent’anni, dall’una e dall’altra parte potrebbe definirsi “nulla” quanto a risultati concreti per la comunità dei cittadini(praticamente nessuna delle strombazzate, sempre promesse e mai realizzate, per quanto obiettivamente necessarissime riforme di ogni ordine e grado).
    spero che ciò non Le piaccia e la spinga ad analizzare con obiettività la perdurante, tragica ingovernabilità di questo povero paese sprovvisto, per corruzione culturale, di senso dello stato.
    non spari sulla croce rossa e ci faccia capire, al di fuori degli slogan, belli ma risaputi, chi tra i politici attuali, secondo Lei, liberale di vecchio conio, potrebbe essere ancora credibile, dal momento che a me sembrano tutti irrimediabilmete screditati.
    che in fondo abbia ragione Grillo che li manderebbe tutti a casa dopo due legislature, senza eccezioni neanche per i “meritevoli”, dando così un segnale forte che la politica deve essere un servizio, spesso più oneroso che lucroso, per il cittadino che sa in tal modo in anticipo che “quella” non è la vera vita ma solo una corvée civile?
    io, che sono più estremista di Grillo, istituirei degli “albi elettorali” in cui i cittadini che ci credono possano iscriversi, dichiarando le loro peculiarità (cioè le attitudini a ricoprire incarichi di utilità comune, suffragate da studio ed esperienza), e lascerei alla sorte la scelta dei governanti pro tempore, sicuro che la dea bendata talora ci vede meglio dei segretari di partito (in tal modo non sarebbe neanche necessaria la riforma della legge elettorale, tanto desiderata ma politicamente inattuabile).
    utipie o forse ubbie; tuttavia sarei curioso di saper come “veramente” la pensa al di là degli schieramenti, su un argomento di così cruciale importanza

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