IL DIRITTO ALL’ODIO

Grif era una gatta equilibrata ed intelligente. Un giorno incontrò una scolopendra, non si sa come arrivata lì, al terzo piano: la guardò come ipnotizzata e non osò avvicinarsi. Era un animale troppo grande per essere un insetto, troppo freddo per essere mangiabile, troppo inquietante per essere affrontato. E se fosse stato velenoso, se avesse avuto un pungiglione come gli scorpioni? Grif lasciò la scolopendra dov’era.
La diffidenza è normalmente un atteggiamento ragionevole: figurarsi quando si sono avute cattive esperienze, come quelle che l’Europa ha fatto riguardo ai rapporti con gli islamici. Sono esperimenti gravidi di insegnamenti.
Uno è stato quello francese. Da sempre Parigi si è sentita legata da un rapporto speciale con l’Africa e con il Maghreb in particolare: per questo tendenzialmente le sue porte sono sempre state aperte. Durante il periodo della colonizzazione, quelli algerini erano addirittura “dipartimenti d’oltremare”. Figurarsi dunque se gli algerini non avevano il diritto di andare a vivere in Francia. Anche dopo la guerra di liberazione le porte sono state aperte, soprattutto per gli harkis, che avevano combattuto insieme con i francesi. Il risultato è stato l’inserimento di centinaia e centinaia di migliaia di nordafricani nella società francese.
Con moltissimi di loro, si è naturalmente avuta una convivenza pacifica: e tuttavia non sono mancati chiarissimi segni di una mancata integrazione. Tanto più inquietanti in quanto manifestatisi non tanto in coloro che erano arrivati da emigranti, ma nei loro figli e nipoti, nati e cresciuti in Francia. Si sono avuti moti di piazza con centinaia di automobili incendiate, atti di vandalismo, scontri con la polizia: le banlieues, in certi momenti, sono divenute un campo di battaglia. La Francia in passato ha inghiottito senza problemi flussi enormi di emigranti dall’Italia, dalla Spagna, dal Portogallo e oggi un cognome italiano o ispanico non si nota affatto. Ma tutto questo non vale per gli immigrati islamici: essi si sentono – e sono sentiti – come diversi.
Qualcosa di analogo si è verificato in Gran Bretagna. Per qualche tempo (oggi non sappiamo) i cittadini del Commonwealth hanno avuto la possibilità di andare a stabilirsi sul suolo della madrepatria. Questo ha dato luogo a consistenti gruppi, quartieri interi di allogeni di religione islamica. Purtroppo, anche qui, molti dei discendenti non sono divenuti inglesi. Lo sono giuridicamente ma non di cuore. Dunque abbiamo assistito a sanguinosi attentati (senza contare i  molti che sono stati sventati) contro cittadini ignari ed inermi, compiuti da giovani che non hanno conosciuto solo l’Inghilterra e tuttavia la considerano l’oppressore e il nemico. Nessuna integrazione.
Ci si può naturalmente chiedere se la maggioranza degli immigrati condivida le posizioni estreme delle teste calde. Il primo istinto è di dire di no. Purtroppo, guardando più da vicino, si può arrivare alla conclusione che il punto di vista dei più è lo stesso che si ha a proposito di una rapina al furgone portavalori. Non si dimentica che si tratta di un grave reato ma molti non possono esimersi da un segreto sentimento di simpatia e quasi d’invidia: “Certo che se io fossi nei loro panni, se mi ritrovassi da un momento all’altro con due milioni di euro, tutti i miei problemi sarebbero risolti…”
La maggioranza degli arabi immigrati non è violenta, non infrange la legge, vive di lavoro, ma il suo cuore, che lo confessi o no, è con gli estremisti. Si è visto quando sono crollate le Torri Gemelle. La tragedia è stata letteralmente “vista”, attraverso i filmati televisivi, in tutto il mondo e in quell’occasione nei paesi islamici ci sono state scene di giubilo: e le folle non erano certamente composte solo da terroristi. Per loro, chi colpisce gli Stati Uniti, anche in modo sleale, anche ammazzando persone del tutto incolpevoli, anche con modalità che gridano vendetta agli occhi di qualunque società civile, merita l’applauso. Inoltre in occasione dei molti attentati (e non parliamo di quelli compiuti in Israele!) non ci sono mai stati chiari segni di dissociazione e di condanna, nemmeno da parte dei governi.
Se gli arabi hanno ragione o no di odiare l’Occidente non è problema che interessi: è giusto che essi abbiano il diritto di avere i sentimenti che vogliono. Ma a casa loro.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it1
6 marzo 2011

IL DIRITTO ALL’ODIOultima modifica: 2011-03-07T09:33:54+01:00da gianni.pardo
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