UNA SOLUZIONE PER LAMPEDUSA

Un articolo è lo strumento con cui un giornalista informa i lettori o espone le proprie opinioni. Stavolta avviene l’inverso. Qui si esprimono le perplessità e sta ai lettori fornire le risposte.
Il problema dell’immigrazione clandestina è ridivenuto di stringente attualità e al riguardo è bene ordinare i dati di cui si è in possesso.
L’immigrazione non può raggiungere numeri indefinitamente alti. La politica delle “porte aperte” incontra dei limiti. Coloro che sono “generosi” oggi (ma i più “generosi” lo sono in astratto) potrebbero cessare di esserlo domani. E comunque basta chiedere: se invece di centomila fossero un milione, sareste ancora disposti ad accoglierli? E se invece di essere un milione fossero dieci milioni, sareste ancora disposti ad accoglierli? Dal momento che la risposta è evidentemente “no”, è chiaro che il problema si pone.
L’immigrazione via terra  (Nord Est) è difficile da controllare ma è anche la meno allarmante: gli immigranti sono in maggioranza bianchi e di religione cristiana. Invece l’immigrazione degli islamici, via mare, è vista con particolare apprensione. Non solo perché, come si dice, “non tutti gli islamici sono terroristi, ma tutti i terroristi sono islamici”, ma soprattutto perché essi non si integrano nella nostra società. Neanche quelli di seconda generazione, neanche quelli nati e cresciuti in Europa: da disperarsi. E tuttavia è molto difficile contrastarla. Eccone le ragioni:
a)    esiste l’obbligo di soccorrere chi, in mare, è in pericolo. Si spiega così che le motovedette italiane a volte trainano in porto i barconi stracarichi o addirittura prendono a  bordo gli emigranti;
b)    per lo stesso principio non si possono respingere in mare a colpi di cannone i natanti che arrivano fino ai nostri porti;
c)    dato che non si può evitare l’arrivo, o si accolgono questi emigranti a titolo definitivo oppure li si rimanda al loro Paese. Ma questa seconda soluzione è di ardua applicazione. Da un lato la nostra Costituzione prevede l’asilo politico, dall’altro i nuovi arrivati non portano documenti dai quali risulti la loro nazionalità e non si saprebbe a quale Paese riconsegnarli.
Per l’asilo politico si richiedono indagini, e comunque questo problema non interessa la maggior parte dei nuovi arrivati; il punto essenziale è dunque l’ultimo: come rinviare ai Paesi di provenienza persone che arrivano via mare e delle quali non si sa da dove vengono?
Attualmente, se vogliono, gli immigranti che giungono nel nostro Paese in modo illegale ci rimangono. L’Italia, mediante gli accordi con la Libia e la Tunisia, era riuscita a bloccare la partenza degli emigranti, ma l’arrivo non si è mai stati in grado di bloccarlo. Il problema sembra insolubile e tuttavia rimane vero che l’ipotesi di tenersi tutti gli immigranti clandestini, in  numero indefinito, non è sostenibile. Probabilmente la verità è un’altra: non è che non si trova una soluzione, è che non si ha il coraggio di adottarla. Per motivi di political correctness. Motivi che svanirebbero come neve al sole, se l’immigrazione divenisse di massa.
Qui si propone una linea di condotta. Gli immigranti sono accolti su una piccola isola e gli si vieta di venire sul continente. Essi rimarranno lì a tempo indeterminato a meno che non dichiarino la loro nazionalità e, possibilmente, ne forniscano la prova. Magari facendosi spedire i documenti dai parenti. In quel momento cesserebbe l’ospitalità e gli interessati sarebbero riportati al punto di partenza. Né si può chiamare detenzione la situazione di chi è gentilmente riportato a casa, se appena fornisce l’indirizzo. Si potrebbe parlare di “soggiorno coatto in attesa di rimpatrio”. Siamo certi che, dopo un paio di mesi, chiunque si convincerebbe che gli conviene tornarsene a casa. E non appena la notizia si diffondesse, non si imbarcherebbe più nessuno, per l’Italia.
Non sosteniamo di avere concepito una soluzione geniale cui al Viminale non erano giunti. Anzi diciamo umilmente: “D’accordo, abbiamo scherzato. Questa soluzione è sbagliata. Ma diteci perché è sbagliata”.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
8 marzo 2011

UNA SOLUZIONE PER LAMPEDUSAultima modifica: 2011-03-09T10:22:36+01:00da gianni.pardo
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