IL MODO DI RACCONTARLA

Di George Friedman, dalla rivista americana di geopolitica Stratfor – 21 marzo

Forze degli Stati Uniti e di alcuni Paesi europei sono intervenute in Libia. Con l’autorizzazione delle Nazioni Unite, hanno imposto una no-fly zone, nel senso che abbatteranno qualunque aeroplano libico che tenti di volare sopra la Libia. Inoltre, essi hanno condotto attacchi contro aeroplani a terra, aeroporti, difese aeree e sistemi di comando controllo e comunicazioni del governo libico; aeroplani francesi e americani hanno colpito mezzi corazzati e forze di terra della Libia. Si parla pure di forze per operazioni speciali europee ed egiziane in attività nell’est della Libia, dove è centrata l’opposizione al governo, in particolare intorno alla città di Benghazi. In effetti, l’intervento di Questa alleanza è stato contro il governo di Muhammar Gheddafi e, per estensione, a favore dei suoi oppositori nell’est.
L’interezza delle intenzioni dell’alleanza non è chiara, e non è neppure chiaro che cosa gli alleati hanno in mente. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu autorizza chiaramente la no-fly zone. E, estendendo il mandato, questo logicamente autorizza attacchi contro gli aeroporti e gli obiettivi ad esso collegati. Molto largamente, esso definisce la missione dell’intervento come di protezione delle vite dei civili. In quanto tale, non proibisce specificamente la presenza di forze di terra, benché chiaramente stabilisca che non saranno permesse “forze di occupazione straniere” sul suolo libico. Può intendersi che i membri del Consiglio intendessero che le forze possano intervenire in Libia ma non rimanere in Libia dopo l’intervento. Ciò che in realtà tutto questo significa non è affatto chiaro.
Non si dice da nessuna parte che l’intervento abbia lo scopo di proteggere i nemici di Gheddafi dalle sue forze. Gheddafi aveva minacciato di attaccare “senza pietà” e aveva organizzato un assalto prolungato verso est che i ribelli si erano dimostrati incapaci di rallentare. Prima dell’intervento, l’avanguardia delle sue forze era alle porte di Benghazi. La protezione dei ribelli dell’est contro la vendetta di Gheddafi, accoppiata con attacchi alle basi sotto il controllo di Gheddafi, logicamente conduce alla conclusione che l’alleanza vuole il cambiamento di regime, cioè sostituire il governo di Gheddafi con uno guidato dai ribelli.
Ma tutto questo sarebbe troppo simile all’invasione dell’Iraq contro Saddam Hussein, e le Nazioni Unite e l’alleanza non sono andati tanto lontano, con la loro retorica, per non parlare della logica delle loro azioni. Piuttosto, lo scopo dell’intervento è esplicitamente di porre un termine alla minaccia di Gheddafi di annientare i suoi nemici, sostenere questi stessi nemici ma lasciare la responsabilità del risultato finale nelle mani della coalizione dell’est. In altre parole – e questo richiede un bel po’ di parole per essere spiegato – essi vogliono intervenire per proteggere i nemici di Gheddafi, sono pronti a sostenere questi nemici (benché non sia chiaro quanto lontano essi siano disposti ad andare per offrire questo sostegno), ma non saranno responsabili per il risultato finale della guerra civile.
Il Contesto Regionale
Per capire questa logica è essenziale cominciare considerando i recenti avvenimenti nell’Africa del Nord e nel mondo arabo nella maniera in cui li hanno interpretati i governi occidentali. Cominciando dalla Tunisia, espandendosi all’Egitto e alla Penisola Araba, gli ultimi due mesi hanno visto molte sommosse nel mondo arabo. Riguardo a queste sommosse si sono avute tre interpretazioni. La prima, che esse rappresentavano una larga opposizione popolare ai governi esistenti, piuttosto che manifestare lo scontento di minoranze frammentarie – in altre parole, che erano rivoluzioni popolari. La seconda, che queste rivoluzioni avevano lo scopo comune di creare una società democratica. La terza, che il genere di società democratica che essi volevano era simile alla democrazia europea-americana, in altre parole, un sistema costituzionale che sostenesse valori democratici occidentali.
Ognuno dei Paesi in cui si svolgevano queste sommosse era molto diverso dagli altri. Per esempio, in Egitto, mentre le telecamere si concentravano sui dimostrati, spendevano ben poco tempo a filmare la vasta maggioranza del Paese che non si è sollevata. Diversamente dal 1979 in Iran, i negozianti e i lavoratori non hanno protestato in massa. Che essi sostenessero i dimostranti della Piazza Tahrir è materia di ipotesi. Possono averlo fatto, ma i dimostranti erano una piccola frazione della società egiziana, e mentre essi chiaramente volevano una democrazia, è molto poco chiaro che volessero una democrazia liberale. Ricordate che la rivoluzione iraniana ha creato una Repubblica Islamica più democratica di quanto i suoi critici siano disposti ad ammettere, ma radicalmente illiberale ed oppressiva. In Egitto è chiaro che Mubarak era generalmente detestato ma non è chiaro che il regime in generale fosse rigettato. Né è chiaro dal risultato finale ciò che avverrà ora. L’Egitto potrebbe rimanere com’è, potrebbe divenire una democrazia illiberale o potrebbe divenire una democrazia liberale.
Considerate anche il Bahrein. Chiaramente, la maggioranza della popolazione è sciita e si vede chiaramente il risentimento riguardo al governo sunnita. Deve presumersi  che coloro che protestano desiderano aumentare di molto il potere degli sciiti, e le elezioni dovrebbero realizzare questo. È molto più problematico stabilire che essi vogliano creare una democrazia liberale perfettamente allineata con le dottrine delle Nazioni Unite sui diritti umani.
L’Egitto è un Paese complicato, e qualunque affermazione semplice riguardo a ciò che sta avvenendo si dimostrerà sbagliata. Il Bahrein in qualche modo è meno complesso, ma anche qui vale la stessa cosa. L’idea che l’opposizione al governo significhi sostegno per la democrazia liberale è in tutti i casi una convinzione temeraria – ed è problematica l’idea che ciò che i dimostranti  dicono di volere dinanzi alle telecamere sia veramente ciò vogliono. Ancor più problematica, in molti casi, è l’idea che i dimostranti nelle strade semplicemente rappresentino una volontà popolare universale.
Tuttavia, è emersa una “narrative” (“modo di raccontarla”) di ciò che sta avvenendo nel mondo arabo ed essa è divenuta la trama del modo di pensarla riguardo alla regione. La narrative dice che la regione è spazzata da rivoluzioni democratiche (nel senso occidentale) che si sollevano contro regimi oppressivi. L’Occidente deve sostenere queste sollevazioni con delicatezza. Questo significa che non si deve sponsorizzarle ma nello stesso tempo bisogna impedire ai regimi oppressivi di schiacciarle.
Questa è una manovra complessa. Il sostegno ai ribelli degli occidentali si volgerà in un’altra fase dell’imperialismo occidentale, secondo questa teoria. Ma se non si sostiene la sollevazione si tradiranno fondamentali principi morali. Lasciando da parte il problema se la narrative sia accurata o no, mettere insieme questi due principi non è facile – ma essa ha una particolare attrattiva per gli europei, con la loro preferenza per il “soft power” (potere morbido).
Gli Occidentali hanno camminato su una corda tesa fra questi principi contraddittori; la Libia è il posto in cui essi ne sono caduti. Secondo la narrative, ciò che è avvenuto in Libia è stato una delle tante sollevazioni, ma in questo caso soppressa con una brutalità che andava oltre ciò che poteva essere tollerato. Il Bahrein, a quanto si direbbe, era all’interno di questi limiti, l’Egitto era stato un successo, ma la Libia era un caso nel quale il mondo non poteva rimanere inerte mentre Gheddafi distruggeva una sollevazione democratica. Ora, il fatto che il mondo fosse rimasto inerte per più di quarant’anni mentre Gheddafi brutalizzava il suo popolo ed altri popoli non era un problema. Nella narrative che si seguiva, la Libia non era più una tirannia isolata ma parte di una sollevazione generale – e quella in cui l’integrità morale dell’Occidente era sottoposta alla prova più importante. Ora le cose erano diverse rispetto a prima.
Naturalmente, come riguardo agli altri Paesi, c’è stata una massiccia divergenza fra la narrative e ciò che è veramente avvenuto. Certo, il fatto che ci siano state sommosse in Tunisia e in Egitto ha fatto sì che gli oppositori di Gheddafi abbiano riflettuto sulle opportunità, e l’apparente facilità di successo dei moti tunisini ed egiziani li abbia più o meno incoraggiati. Ma sarebbe un enorme errore vedere ciò che è avvenuto in Libia come una sollevazione di massa, liberale e democratica. La narrative deve essere veramente forzata, nella maggior parte dei Paesi, ma in Libia è del tutto insostenibile.
La Sollevazione Libica
Come abbiamo fatto notare, la sollevazione libica era formata da un gruppo di tribù e personalità, alcune all’interno del governo libico, alcune all’interno dell’esercito e molti altri oppositori di lunga data del regime, i quali tutti vedevano un’opportunità in questo particolare momento. Benché molti, in porzioni occidentali della Libia, e in particolare nelle città di Zawiya e Misurata, si identifichino con l’opposizione, essi non rappresentano il cuore dell’opposizione storica a Tripoli, che è ad est. È in questa regione, nota prima dell’indipendenza come Cirenaica, che si trova il nocciolo del movimento di opposizione. Uniti forse solo dall’opposizione a Gheddafi, queste persone non hanno un’ideologia comune e certamente non aspirano ad una democrazia di tipo occidentale. Piuttosto, essi hanno visto un’opportunità per avere più potere, ed hanno tentato di conquistarlo.
Secondo la narrative, Gheddafi avrebbe dovuto essere velocemente spodestato, ma non lo è stato. Egli ha di fatto avuto un notevole sostegno da parte di alcune tribù e dell’esercito. Tutti questi sostenitori avevano molto da perdere, se egli fosse stato rovesciato. Per conseguenza, essi si sono dimostrati di gran lunga più forti, collettivamente, dell’opposizione, anche se essi sono stati sorpresi dai successi iniziali dell’opposizione. Con sorpresa di tutti, non solo Gheddafi non è fuggito, ma ha contrattaccato e respinto i suoi nemici.
Questo non avrebbe dovuto sorprendere il mondo tanto quanto ha fatto. Gheddafi non ha dominato la Libia  gli ultimi quarantadue anni perché è uno sciocco e neppure perché non aveva sostegno.  Egli è stato molto accurato nel ricompensare i suoi amici e nel colpire ed indebolire i suoi nemici, e i suoi sostenitori erano molti e ben motivati. Una delle parti di questa narrative è che il tiranno sta sopravvivendo soltanto con la forza e che la sollevazione democratica l’ha già sbaragliato. Il fatto è che il tiranno aveva molto sostegno, in questo caso, che l’opposizione non era particolarmente democratica, e ancor meno organizzata e coesa, e che è stato Gheddafi che li ha sbaragliati.
Mentre Gheddafi si avvicinava a Benghazi, la narrative si è spostata dal trionfo delle masse democratiche alla necessità di proteggerle contro Gheddafi: da qui le urgenti richieste degli attacchi aerei. Ma questo è stato temperato dalla riluttanza ad agire in modo decisivo sbarcando truppe, impegnando l’esercito libico e trasferendo il potere ai ribelli: bisognava evitare l’Imperialismo facendo il meno possibile per proteggere i ribelli mentre li si armava per sconfiggere Gheddafi. Armati e addestrati dagli Occidentali, forniti del dominio dell’aria dalle forze aeree straniere, ecco la linea arbitraria al di là della quale il nuovo governo apparirebbe un fantoccio degli Occidentali. Attualmente esso sembra un po’ al di là di questa linea, ma ecco come la storia viene raccontata.
Di fatto, gli Occidentali attualmente stanno sostenendo un gruppo di tribù ed individui molto diversi e a volte vicendevolmente ostili, tenuti insieme dall’ostilità nei confronti di Gheddafi e da non molto altro. È possibile che col tempo essi possano coagularsi in una forza combattente, ma è molto, molto più difficile immaginare che essi possano in tempi ragionevolmente brevi sconfiggere Gheddafi, e ancor meno che siano capaci di governare insieme la Libia. Ci sono semplicemente troppi motivi di dissenso, fra loro. Sono in parte queste divisioni che hanno permesso a Gheddafi di rimanere al potere per tanto tempo. È difficile concepire la capacità dell’Occidente di imporre l’ordine fra loro senza governarli, particolarmente nel breve termine.  Essi mi ricordano Hamid Karzai in Afghanistan, unto dagli americani, privo della fiducia della maggior parte del Paese e sostenuto da una coalizione frammentaria.
Altri Fattori
Naturalmente ci sono altri fattori di cui tenere conto. L’Italia ha un interesse al petrolio libico e il Regno Unito ha dimostrato di avere interesse ad accedervi anch’esso. Ma come Gheddafi era felice di vendere il petrolio, così lo sarebbe qualunque regime che gli succedesse; questa guerra non era necessaria per garantire l’accesso al petrolio. Anche la politica della Nato ha avuto una parte. I tedeschi hanno rifiutato di partecipare a questa operazione e questo ha spinto i francesi più vicini agli americani e agli inglesi. Poi c’è la Lega Araba, che sosteneva la no-fly zone (benché abbia fatto dietro front quando ha scoperto che una no-fly zone includeva il fatto di bombardare cose) ed ha offerto l’occasione di operare col mondo arabo.
Ma sarebbe un errore pensare che questi interessi passeggeri abbia precedenza sulla narrative ideologica, la genuina credenza che fosse possibile tessere un legame fra umanitarismo e imperialismo – che fosse possibile intervenire in Libia su basi umanitarie senza con ciò interferire negli affari interni di un altro Paese. Era pure in gioco la credenza che uno possa ricorrere alla guerra per salvare le vite degli innocenti senza, nel corso della guerra, provocare la morte di ancor più innocenti.
Il paragone con l’Iraq è ovvio. Ambedue i Paesi avevano un mostruoso dittatore. Ambedue sono stati sottoposti alla no-fly zone.  Le no-fly zone non intimidiscono i dittatori. Col tempo, essa si trasforma in un massiccio intervento nel quale il governo è rovesciato e l’opposizione si trasforma in una guerra civile mentre, nello stesso tempo, attacca gli invasori. Naturalmente, alternativamente, la vicenda potrebbe andare come nella guerra del Kosovo, dove si vide il governo rinunciare alla provincia dopo un paio di mesi di bombardamenti. Ma in quel caso era in gioco solo una provincia. In questo caso, benché ostensibilmente incentrata sulla Cirenaica, l’azione richiede a Gheddafi di rinunciare a tutto, e la stessa cosa dovrebbero fare i loro sostenitori: un’impresa molto difficile.
Dal mio punto di vista, muovere guerra per perseguire un interesse nazionale è solo raramente necessario. Muovere guerra per ragioni ideologiche richiede una chiara comprensione dell’ideologica e un’ancor più chiara comprensione delle realtà sul terreno. In questo intervento, l’ideologia non è per nulla chiarissima, contorta com’è fra il concetto dell’auto-determinazione e l’obbligo di intervenire per proteggere la fazione favorita. La realtà sul terreno è ancor meno chiara. La realtà delle rivolte democratiche nel mondo arabo è moto più complicata di come la narrative vorrebbe rappresentarla e l’applicazione della narrative alla Libia semplicemente non sta in piedi. Vi è una protesta, ma la protesta prende varie forme e quella democratica è soltanto una fra le molte.
Ogni volta che si interviene in un Paese, quali che siano le intenzioni, si interviene a fianco di qualcuno. In questo caso, gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna stanno intervenendo a favore di un gruppo di tribù molto mal definite, vicendevolmente ostili e sospettose e fazioni che non sono riuscite a coalizzarsi, almeno fino ad ora, fino a creare una significativa forza militare. L’intervento potrebbe certo riuscire. La questione è se il risultato creerà una nazione moralmente migliore. Si dice che non ci può essere niente di peggiore rispetto a Gheddafi ma Gheddafi non ha governato per 42 anni semplicemente perché è stato  un dittatore che usava la forza contro degli innocenti, ma piuttosto perché egli si rivolge ad una possente e reale dimensione della Libia.

Traduzione di Gianni Pardo

IL MODO DI RACCONTARLAultima modifica: 2011-03-23T15:51:00+01:00da gianni.pardo
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