CIO’ CHE GLI ITALIANI PENSANO DI SÉ

L’immaginario collettivo degli italiani è costantemente lontano dall’epopea perché da secoli noi non crediamo in noi stessi e men che meno nelle nostre istituzioni. Mentre Francia, Inghilterra, Spagna e Austria avevano grandi monarchie nazionali e influivano pesantemente sulla politica europea, l’Italia da un lato era occasionalmente solo un campo di battaglia, dall’altro percepiva il provincialismo dei conflitti interni. Più risse che guerre.  Come collettività gli italiani sentono per se stessi e per i propri governanti una tenace disistima che arriva al pregiudizio.
Scotland Yard, la famosa polizia inglese, in questi giorni è stata coinvolta nello scandalo delle intercettazioni dei giornalisti di Murdoch e gli inglesi ne sono profondamente indignati. Tuttavia quando in Inghilterra si scopre che in un’istituzione c’è del marcio, gli inglesi pensano che il marcio prima non c’era, che ora ci si metterà rimedio e che in futuro tutto tornerà come deve essere. Qui, quando si scopre del marcio, si pensa che c’è sempre stato, che ora si farà la mossa di metterci rimedio e che tutto rimarrà come prima.
Questo atroce pessimismo è anche una conseguenza del fascismo. Un tempo l’Italia era stata una nazione periferica, priva d’importanza politica (“un’espressione geografica”) e anche dopo essere divenuta un Paese unitario si era adattata senza traumi alla sua situazione. Il Fascismo con Mussolini ebbe invece l’ambizione di svegliarla, di darle una grande fiducia in se stessa e nel proprio valore. L’orgoglio del suo passato e la coscienza delle proprie possibilità future. L’impresa era disperata: perfino mio padre, galantuomo placido quant’altri mai, dovette mettersi in divisa e avere al fianco un pugnale col manico nero che finiva con una aggressiva testa d’aquila. Poi la Seconda Guerra Mondiale provocò un tale risveglio dal sogno, una delusione così cocente che si è ricadutati non nel pessimismo nazionale di prima, ma in un inguaribile disprezzo di sé: e da allora l’Italia contiene sessanta milioni di anti-italiani. Un folto gruppo di loro per la verità ama proclamarsi un modello di virtù ma non ne ha alcun titolo: dunque non riesce a farsi credere e si rende soltanto antipatico. Come ha scritto Ricolfi.
L’idea dominante è che noi siamo i peggiori di “tutti”, i più disonesti, i più sporchi, i più disorganizzati, i più corrotti. Non raramente, per condannare qualcosa, si comincia con le parole: “In nessun Paese del mondo…” Come se li avessimo esaminati tutti e come se l’Italia fosse peggiore di tutti loro. In queste condizioni il nostro immaginario collettivo finisce con l’essere deviato: non comprendiamo che, come sarebbe sciocco pensare che siamo tutti buoni e gentili e ci amiamo come fratelli, sciocco sarebbe pure pensare che tutti gli italiani siano corrotti e disonesti. Infatti alcuni, forse spinti dalla carità di patria, fanno una distinzione. Dicono che non sono corrotti e disonesti gli italiani in generale: lo sono i politici, e per loro non trovano parole di condanna abbastanza aspre e definitive.
Non si accorgono di quanto strano sarebbe che da un sacco che contiene solo palline bianche poi, quando servono, escano soltanto palline nere.
È vero, non tutto il mondo è paese. Ci sono cose che vanno peggio da noi che in Francia o in Germania. Ma non è che gli olandesi nascano onesti e noi no. Se in Sicilia o a Napoli la legge è meno osservata, la colpa non è dei siciliani o dei napoletani: è dello Stato che non è presente. Lo Stato non stanga i professori che aiutano i ragazzi agli esami di maturità, i professori non stangano i ragazzi che copiano agli esami, alla fine quei ragazzi crescono con l’idea (giusta) che bisogna fare i propri interessi, quando lo Stato guarda da un’altra parte. E dal momento che cammina sulle gambe di questi ragazzi divenuti uomini, da noi lo Stato guarda sempre da un’altra parte.
Ma forse anche questa è una conseguenza della storia italiana. Dal noi lo Stato spesso era un grande feudo, o il risultato di un’invasione straniera (il sud dopo Garibaldi), oppure era sentito come ipocrita (lo Stato della Chiesa): per una ragione o per un’altra, il divorzio fra Stato e cittadini qui è eterno. Lo Stato è cosa loro, “Cosa Nostra” è la mafia: come potremmo mai batterla?
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it
22 luglio 2011

CIO’ CHE GLI ITALIANI PENSANO DI SÉultima modifica: 2011-07-22T17:22:24+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “CIO’ CHE GLI ITALIANI PENSANO DI SÉ

  1. Per fare la Francia ci son voluti 50 Re,parimenti alla gran Bretagna. Da noi 150 anni sembrano davvero pochi. In Francia il Paese è sostanzialmente unitario ma in Gran Bretagna per governare si son divuti mantenere tre Stati.Forse è quello che avremmo dovuto fare noi.

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