PERCHÉ L’ITALIA NON AFFONDA

 

Recentemente si è qui manifestato un pessimismo così atroce da doverci rifugiare nell’ironia, riponendo le nostre speranze nella Cgil. Ed un amico ha protestato: “Se bene o male siamo tra i Paesi più importanti del Mondo (e questo è del tutto indiscutibile) sforzati un po’ di cercare le ragioni di questa nostra perpetua inaffondabilità”.
L’argomentazione è ineccepibile. Sarebbe facile rispondere sottolineando nel titolo dell’articolo le parole: “in politica”. Ma la sfida vera è un’altra: come si concilia il livello dell’Italia con una politica, anzi, con una vita sociale che peggiore non si potrebbe?
L’uomo è un animale sociale ma la sua socialità conosce gradi diversi. Mentre in tutti i luoghi e a tutti i livelli l’individuo è legato alla propria famiglia da vincoli affettivi costanti, al di là di essa i legami di solidarietà vanno allentandosi. Possono essere abbastanza solidi all’interno della tribù, perché il rapporto con gli altri è ancora personale, ma divengono evanescenti e per così dire teorici quando la società diviene numerosa. Allora l’unione è fatta dalla lingua e dalla storia comune: cioè dalla cultura. Qualcosa di meno forte.
La solidità dei legami all’interno di una società dipende anche da ciò che il singolo si aspetta da essa. Il giapponese sa che qualunque altro giapponese farà il suo dovere nei confronti della Patria e dunque anche lui dovrà farlo, se non vorrà “perdere la faccia”. L’italiano al contrario è convinto che del bene della Patria si parla puramente per fini retorici, mentre al dunque ognuno tira l’acqua al proprio mulino. Il generale che gli ordina l’attacco in cui probabilmente morirà nel frattempo avrà fatto in modo che suo figlio stia nelle retrovie. “E io dovrei morire per questa manica di vigliacchi?”
Non importa quanto giustificato sia questo atteggiamento: da noi il singolo non si aspetta dallo Stato che tasse e guai. E pensa di non dovergli nulla. Non è un cittadino: è un individuo allo stato di natura che si trova a vivere sul suolo italiano; che cerca di sopravvivere – e se possibile da prosperare – in una guerra di tutti contro tutti (il bellum omnium contra omnes di Hobbes).
Questo non gli impedisce di avere un notevole senso morale. Vede benissimo, e depreca con estrema violenza, il dottorino che fa carriera perché raccomandato, la corruzione nei lavori pubblici, gli sprechi dello Stato, i privilegi che i potenti si arrogano, l’ipocrisia di chi predica bene e razzola male e ogni altra forma di “male”. Il problema è che questa sensibilità si dimostra estrema quando si tratta degli altri, ma trova mille esimenti quando si tratta di se stessi. I professori deprecano l’evasione fiscale degli artigiani ma accettano e fanno raccomandazioni; i negozianti schivano le imposte con un preciso sentimento di autodifesa contro un Stato usurpatore ed esoso, ma deprecano gli impiegati di Stato che hanno un reddito privo di rischi e non si strapazzano certo; gli impiegati a loro volta ammettono di lavorare poco ma in rapporto a quello che lo Stato li paga fanno ancora troppo: e infatti i negozianti hanno automobili ben più lussuose delle loro. Persino i ladri si giustificano dicendo che sono costretti a rubare perché non hanno quello che altri hanno: come se questi altri ciò che hanno l’avessero anche loro rubato.
Noi siamo molto morali quando si tratta degli altri e lo siamo molto poco quando si tratta di noi stessi. Dal primo atteggiamento nasce l’indignazione che ben conosciamo, a volte tanto appassionata da sfociare nell’antipolitica, dal secondo nasce la volontà di cavarcela in qualunque modo, senza scrupoli.
L’italiano è un pessimo cittadino, quasi un asociale, in particolare al Sud; ma nel frattempo è il campione di coloro che sanno cavarsela nelle situazioni più difficili. Si allena a questo sin dall’infanzia. Per questo a volte i meridionali, emigrando, fanno faville: erano abituati a galleggiare nelle rapide con un semplice kayak e si trovano a competere in pacifiche regate.
La prosperità della nazione italiana e il suo status nel mondo dipendono dal fatto che, confermando le teorie dell’economia classica, dalla somma degli egoismi può nascere la prosperità di un intero Paese. Gli italiani si battono con tanta vigoria, nel fare il proprio interesse senza tener conto di nient’altro, che alla fine, volendo procurarsi la ricchezza, con l’occasione la producono. Contro venti e maree e persino contro uno Stato che cerca di sequestrare i profitti delle imprese.
Lo Stellone non esiste. Esistono gli italiani, persone intelligenti e senza remore che finiscono col mandare avanti la baracca. L’Italia è una gabbia di matti produttivi.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it
27 agosto 2011

PERCHÉ L’ITALIA NON AFFONDAultima modifica: 2011-08-27T10:28:28+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “PERCHÉ L’ITALIA NON AFFONDA

  1. Lo Stato mi è corso dietro per circa 15 anni per 50.000 lire che io, tramite un sindacato, continuavo a dimostrare di non dovere.
    Sono stato uno dei primi a cui hanno sequestrato la macchina in garage.
    La faccenda mi è costata circa un 1.000.000 di lire.
    Dopo circa tre, forse quattro, anni mi arriva un rimborso di circa 300 euro per “un pagamento non dovuto”. Senza altri riferimenti o indicazioni. Esplorando attentamente questa comunicazione intravvedo un numerino, si accende la famosa lampadina e lo vado a confrontare con il documento del sequestro. Si trattava proprio di questo.
    Ultimi freschissimi: ho tre figlie tutte e tre nate in ospedale nella città di residenza. In due documenti diversi le hanno fatte nascere in città diverse. Ho dovuto rettificre e pagare. Anche il mio cognome era storpiato. Ed ho pagato. Se sbaglio io pago con le dovute spese, more, interessi e ammennicoli vari. Sbaglia lo Stato o chi per lui e a pagare sono sempre io.
    Tra me e lo Stato che è il fellone???

  2. Solo chi non c’è passato può non crederle.

    Lo Stato m’ha perseguito più volte, per anni, per le imposte del 1990, regolarmente pagate e per cui, sin dalla prima volta, ho esibito le ricevute. Ho dovuto vincere due o tre ricorsi sulla stessa materia.

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